È un mondo fiabesco quello che ci regala Marc Chagall, un mondo fiabesco in cui innamorati volano abbracciati insieme a violinisti, ad asini dagli occhi buoni. Eppure quel mondo fiabesco che, grazie ai colori pastello, fa sognare ad occhi aperti, custodisce anche un’umanità povera, afflitta e perseguitata, quella della comunità ebraica di Vitebsk in cui l’artista nacque nel 1887, oggi in Bielorussia al confine con la Lettonia. Un mondo contadino in cui la fatica la fa da padrona e dove l’alba ha sempre un significato di dono e il tramonto sa di zuppa calda oltre le finestre illuminate dal fuoco che arde finché ce n’è. Questo mondo poetico e malinconico trova una sede prestigiosa per celebrare un grande maestro della pittura e del sogno.

A Palazzo di Diamanti di Ferrara dall’11 ottobre all’8 febbraio 2026 verrà ospitata una retrospettiva di straordinaria intensità “Chagall, testimone del suo tempo”, 200 opere, tra dipinti, disegni e incisioni e due sale immersive che ci portano nell’universo di uno dei più importanti e amati maestri dell’arte del Novecento. La mostra evidenzia la profonda umanità dell’opera di Chagall, artista plurale, visionario e testimone del suo tempo, cantore della bellezza e custode della memoria. Volti scissi, profili che si moltiplicano, ritratti che si specchiano: attraverso il tema del doppio egli rivela la sua straordinaria capacità di cogliere la dualità dell’esistenza umana. E ancora amanti volanti, animali parlanti, bouquet esplosivi, diventano, trascendendo il visibile, metafore universali. Attraverso il suo sguardo poetico, Chagall trasforma l’esperienza personale in riflessione condivisa, svelando come dietro l’apparente semplicità delle sue creazioni si celino temi che toccano ogni essere umano: l’identità, l’esilio, la spiritualità e la gioia di vivere.

In un’epoca di frammentazione, egli ci ricorda che l’arte può essere ponte tra mondi diversi, sintesi di tradizioni apparentemente inconciliabili, specchio fedele delle aspirazioni e delle contraddizioni dell’umanità. La sua opera celebra quella verità emotiva che rende tangibili i sentimenti più profondi dell’animo umano, elevando lo spirito verso una bellezza capace di trovare, anche negli orrori del tempo, barlumi di pace e comprensione.

La mostra è organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Arthemisia ed è curata da Paul Schneiter e Francesca Villanti. “Nel laboratorio segreto di Marc Chagall - si legge nel testo critico - il tempo non obbedisce alle leggi della fisica. Sposi volano sopra campanili mentre violinisti danzano sui tetti di Vitebsk; profeti biblici conversano con capre azzurre; la memoria dell'infanzia si intreccia alla cronaca del presente in un'unica, vertiginosa simultaneità. Ma dietro questa apparente anarchia temporale si cela la lucidità di chi ha attraversato il Novecento come un equilibrista, trasformando la propria biografia in linguaggio universale”.

Nato nel 1887 a Vitebsk, cittadina dell’Impero russo, Chagall intuisce precocemente che l'arte moderna dovrà fare i conti con la frantumazione. Ma invece di celebrare questa frattura - come faranno le avanguardie - sceglie la via più difficile: ricucire gli strappi attraverso la forza visionaria della pittura. Il suo genio consiste nell'aver compreso che il tempo dell'arte non coincide con quello della cronaca. “Nei suoi dipinti - prosegue il testo - vige quella che potremmo chiamare "memoria affettiva": ciò che è stato amato continua a esistere, ciò che è stato perduto può essere ritrovato, ciò che appare impossibile diventa necessario. È la temporalità del sogno e della memoria.

Per Chagall, il racconto pittorico non è semplice trascrizione degli eventi, ma trasfigurazione poetica che ne custodisce il nucleo emotivo e spirituale. A partire da volti, luoghi, simboli della propria biografia, costruisce una memoria che diventa collettiva, in cui vicenda personale e storia universale si riflettono e si contaminano. La sua opera, in apparenza distante dalla cronaca, è in realtà una delle più acute testimonianze visive della modernità. Il tempo, nei suoi dipinti, non segue la linearità della cronaca ma si dispone come spazio interiore, dove immagini lontane e vicine convivono in simultaneità. Passato e presente si fondono in un continuum affettivo: ciò che Franz Meyer ha definito “tempo del divenire interiore” dove la memoria non è archivio inerte ma esperienza viva e creativa. Ne deriva una concezione circolare del tempo, un eterno presente in cui la casa d’infanzia si affaccia sui boulevard di Parigi, il ricordo di Bella si intreccia con la presenza di Vava e la memoria biblica risponde alle tragedie del Novecento.

Questo microcosmo ebraico, con le sue tradizioni secolari, i ritmi delle festività religiose e la quotidianità di un modo di vita ormai scomparso, costituisce il nucleo generativo di un repertorio iconografico che lo accompagnerà per tutta la vita. Tra cortili brulicanti di capre e galli, tra le melodie chassidiche che escono dalle sinagoghe e il profumo del pane del sabato, si forma l'immaginario che Marc Chagall porterà con sé come un bagaglio prezioso”. Quella Vitebsk delle isbe e delle tradizioni millenarie diventerà il suo "paese dell'anima". Una mostra che rappresenta una restituzione, un monito e un auspicio.