Incontro Silvia a Roma, nel cuore del caos, motorini, clacson, passi veloci, turisti ovunque, trolley come se piovessero.

La nostra location è Piazza dell’Esquilino: l’hotel che ci ospita è elegante e maestoso, un rifugio imponente ma discreto nel trambusto della città.

Una mattinata luminosa, in cui l’aria sa di possibilità.

Silvia Raga è una “Paper Florist” ovvero un’artista che crea fiori con la carta. Ma non aspettatevi qualcosa di fragile o effimero. I suoi fiori hanno presenza, carattere e forza. «Spesso chi li vede per la prima volta pensa siano di legno», mi dice ridendo. «Succede spesso! I miei fiori hanno un aspetto così solido, così presente, che è difficile pensare siano fatti solo di carta».

Intorno a noi Roma scorre.
L’area corrispondente al Colle dell’Esquilino, ai tempi dell’antica Roma, era una zona esterna alla città, occupata in parte da una necropoli tra il IX e il I secolo a.C.

Verso la fine del I secolo, Gaio Cilnio Mecenate, amico e consigliere dell’Imperatore Augusto, bonificò questa zona, costruendovi la sua villa suburbana e i famosi Horti Maecenatis.

Pensare che, nel corso dei secoli questo luogo sia passato dall’essere un cimitero a un giardino rigoglioso ha qualcosa di simbolico. E forse non è un caso che oggi ci troviamo proprio qui, senza saperlo, su un terreno che ha sempre ospitato fiori.

Scrivendo questo articolo, mi rendo conto che la nostra location potrebbe non essere stata scelta per caso…

Gli antichi Romani portavano fiori sulle tombe per onorare i defunti: simbolo d’amore, di rispetto, per celebrare la vita del defunto, sperando che lo stesso fosse accolto bene nell’aldilà. La loro bellezza e fragilità rappresentano la transitorietà della vita e la rinascita, ma anche il ricordo che persiste della persona a noi cara.

In sintesi questa usanza rimane un gesto carico di significato, che affonda le radici in tradizioni millenarie e che continua a essere praticato per esprimere affetto, rispetto e ricordo.

Davanti a un drink, Silvia mi racconta di come la carta abbia sempre fatto parte della sua vita.

«È una passione che ho da sempre», dice. «Ero una bambina molto manuale: tagliavo, incollavo, costruivo. Facevo origami, piegando fogli quadrati senza forbici né colla. Si possono fare anche fiori con la tecnica origami, ma non è il mio caso. Quella passione è stata trasformata in una vera arte.»

Lei usa cartoncino di ottima qualità: meno morbido e più impegnativo da modellare. «Mi piace avere un risultato più stabile nel tempo, concreto e strutturato.»

Dietro ogni fiore c’è una tecnica precisa. Si parte da un disegno digitale, si passa al taglio, eseguito da un plotter a lama e poi inizia la fase della modellatura. Petalo dopo petalo, ogni elemento viene plasmato e assemblato a mano. Il risultato? Fiori che non appassiscono mai, che arredano, durano, decorano.

Nata e cresciuta a Milano, la nostra creatrice ha respirato design sin da piccola.

«A Milano siamo cresciuti con l’idea che ogni oggetto debba avere un senso estetico e funzionale. Ho frequentato il liceo artistico sperimentale, lì ho studiato anche grafica. Il mio primo lavoro è stato come illustratrice.»

Questo background le ha dato un occhio attento per volumi pesi e colori: un’eredità visiva che oggi riversa nella composizione dei suoi bouquet.

Le sue creazioni sono richieste per ogni tipo di occasione: bouquet da sposa (compreso quello “da lancio”, più piccolo), centrotavola, bomboniere e decorazioni personalizzate. Ma più di tutto, sono pezzi unici che arredano in modo originale.

«I miei fiori non perdono vigore, non cambiano tonalità, non ti chiedono nulla, eppure restano lì, a rendere lo spazio più accogliente…sono una bellezza che rimane.»

C’è una frase che racchiude bene il suo pensiero:

«L’arte è contemplazione, il design è funzionale. Io provo a fare entrambe le cose: un fiore che ti piace guardare, ma che è anche parte del tuo spazio.»

Lei propone soluzioni già composte, pensate per entrare direttamente in casa. «I miei clienti si affidano a me perché propongo il risultato. Gli risolvo il problema».

Lo dice con una semplicità disarmante, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Il suo stile è riconoscibile, personale, in continua evoluzione. È il frutto di studio, osservazione, pazienza.

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Studia i fiori reali, i loro cicli naturali, le variazioni sottili delle forme e delle sfumature.

Il suo è un lavoro che rifiuta la fretta.

Un’arte che si affida alle mani, al tempo, al silenzio. Ogni fiore racconta un’emozione, senza bisogno di parole.

Mentre la ascolto, mi rendo conto che Silvia non lavora semplicemente la carta; ma con la permanenza, con il desiderio di fermare un istante, una tonalità, un profilo... e di renderli eterni.

Quando ci salutiamo è passata molto più di un’ora, ma il tempo non si è fatto sentire. Fuori, Roma ha ripreso la sua corsa.

Dentro di me, però, questo incontro ha lasciato un’eco sottile e un’ammirazione profonda per un’artista che, con mani esperte e spirito lieve, continua a far fiorire la carta.