Dal 1545 al 1563 -ad eccezione di un breve periodo- Trento ospitò uno degli avvenimenti più importanti della storia moderna, il XIX Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, divenendo in quei diciotto anni uno dei principali centri politici e religiosi d’Europa. Ma perché i maggiori rappresentanti della Chiesa cattolica scelsero proprio Trento, allora piccola capitale di un principato alpino, come località in cui riunirsi? Cosa aveva da offrire questa cittadina, affacciata sulle acque dell’Adige, ai tanti messi imperiali e legati pontifici, teologici e cardinali, che parteciparono al Concilio? E ancora quale significato sottintende la definizione di papa Paolo III “sito commodo, libero e a tutte le Nazioni opportuno” riferita a Trento nella bolla di indizione del 1542?
Innanzitutto, nella scelta di Trento a sede conciliare giocarono un ruolo fondamentale tre fattori: la posizione geografica che, al confine con l’Austria, rendeva la città ideale trait d’union tra la penisola italica e il mondo tedesco, il peculiare statuto politico, poiché era governata da un vescovo vassallo dell’imperatore e ciò offriva garanzie sia al Papato che all’Impero, e non ultimo l’intuito politico del Principe Vescovo di Trento Bernardo Cles. Amico delle più influenti personalità della cultura europea del tempo, Bernardo Clesio dal 1515 in poi trasformò Trento da semplice borgo medievale d’impronta nordica con vicoli stretti e lunghi incassati tra le case in una delle più belle ed eleganti città rinascimentali del Nord Italia.
Lo sviluppo urbanistico e sociale di Trento crebbe di pari passo con la prestigiosa ascesa di Bernardo Cles nelle maggiori corti d’Europa. Ecco perché Trento alla metà del Cinquecento acquisì una posizione di rilievo, tale da essere scelta quale sede del Concilio Ecumenico. Lo storico e politico Paolo Paruta, giunto in città con l’ambasciatore veneto Michele Soriano, scrisse che Trento era diventata “gran teatro di tutte le genti”, perché quasi tutte le nazioni vi erano rappresentate. In effetti nel corso del Concilio Tridentino ospitò 284 tra prelati e delegati, provenienti da quattordici paesi; senza contare i molti corrieri, che ogni giorno arrivavano e partivano per portare notizie alle corti. I Padri, i prelati e i delegati dei principi vennero al Concilio, accompagnati da una schiera più o meno numerosa di servitori, guardie e domestici. Chiese, palazzi, osterie e strade iniziarono così a essere frequentate da principi tedeschi e nobili spagnoli, italiani e francesi, mentre i trentini stupiti, affittarono loro stalle e abitazioni.
Nel 1562 i forestieri raggiunsero le 4.000 unità, quasi più degli stessi abitanti, che si aggiravano fra i 6.000 e gli 8.000. Le discussioni preparatorie al sinodo si tennero nelle abitazioni dei legati pontifici, a palazzo A Prato prima e a palazzo Thun poi. Oggi di palazzo A Prato, trasformato in raffineria di zuccheri nella prima metà dell’Ottocento e distrutto da un incendio nel 1845, possiamo ammirare solo la facciata di mezzodì, parzialmente modificata e inglobata nel Palazzo della Posta.
Ben diversa è la storia di Palazzo Thun, per quattro secoli, a partire dal 1454, proprietà della famiglia Thun, un’antica stirpe feudale originaria della Val di Non, il cui stemma campeggia ancora sugli spigoli della facciata e sulla chiave d’arco del portale. Acquistato nel 1873 dall’amministrazione comunale per stabilirvi la sede del Municipio, nonostante la nuova funzione l’edificio ha mantenuto l’originaria facies di signorile dimora rinascimentale. L’attuale facciata del palazzo risale alla metà del Cinquecento e riprende uno schema basato su quattro ordini di finestre architravate. Il prospetto principale, però, affacciato sull’antica Contrada Larga, presenta alcune precedenti tracce di un portale e di finestre ad arco acuto e una decorazione pittorica a finto bugnato, scoperta durante i restauri del 1997.
Gli aspetti più importanti legati alla storia architettonica del fabbricato risalgono alla seconda metà del XV secolo, quando i Thun, entrati in possesso di un complesso di caseggiati, già di proprietà della nobile famiglia Belenzani, fecero realizzare da ignoti capomastri, che accorparono queste preesistenze medievali, una delle più grandi e prestigiose residenze private della città. Tra il 1561 e il 1563 Palazzo Thun ospitò due grandi protagonisti del Concilio: il cardinale Ercole Gonzaga, vescovo di Mantova e legato pontificio, e il suo successore nella presidenza dell’assemblea, il cardinale milanese Giovanni Morone. All’epoca il padrone di casa era il barone Sigismondo Thun che, detto l’Oratore (1487-1569), partecipò attivamente ai lavori conciliari in qualità di rappresentante dell’imperatore Ferdinando d’Asburgo. Sin dall’inizio dei lavori il cardinale Gonzaga fu da tutti considerato il capo del Concilio, benché formalmente avesse la stessa dignità degli altri quattro legati pontifici.
Il 24 aprile 1562 costoro ricevettero a palazzo Thun gli ambasciatori della Repubblica di Venezia Nicolò da Ponte e Matteo Dandolo. Nel salone d’onore del palazzo -oggi Sala del Consiglio Comunale- si svolsero le congregazioni preparatorie della terza fase del sinodo, prima del trasferimento delle sedute nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Al termine delle sessioni preparatorie il XIX Concilio ecumenico fu solennemente annunciato da una processione, che si svolse il 12 dicembre 1545 ed ebbe come meta la chiesa di Santa Maria Maggiore, ove al centro della navata fu disposta una tribuna in legno, innalzata per accogliere i convenuti. Pure la fase conclusiva del sinodo fu organizzata qui, a partire dal 13 aprile 1562.
Questo luogo di culto, commissionato da Bernardo Cles all’architetto comasco Antonio Medaglia ed elevato a titolo di basilica nel 1864, fu costruito tra il 1520 e il 1524 sui resti di un’ecclesia paleocristiana, in un’area che ha restituito numerose testimonianze archeologiche della romana Tridentum. Eretto secondo i canoni stilistici ed architettonici rinascimentali, rappresenta il primo modello trentino di tempio ad aula unica. Nel 1902, a ricordo delle congregazioni generali del Concilio, il pittore marchigiano Sigismondo Nardi ne decorò la volta con scene e personaggi del sinodo.
Le 23 sessioni ufficiali del Concilio si svolsero nella cattedrale di San Vigilio, nota anche con l’appellativo di Duomo. Segnalata fra i monumenti nazionali italiani con regio decreto del 1940, la chiesa mescola lo stile tardo romanico con quello gotico d’oltralpe e si erge sull’impianto di una basilica paleocristiana di ragguardevoli dimensioni (14 m. di larghezza e oltre 43 m. di lunghezza), fondata da Vigilio, terzo vescovo di Trento (381 ca.). Le entrate alla chiesa sono due. L’ingresso utilizzato per le processioni conciliari fu quello sul fianco sinistro, affacciato su Piazza Duomo. Il sinodo iniziò con una messa celebrata dal cardinal legato Giovanni Maria Del Monte.
Nella cattedrale furono appesi pregiati arazzi fiamminghi, acquistati dal cardinale Bernardo Clesio e oggi custoditi al Museo Diocesano Tridentino, mentre nel coro, sopraelevato di quattro metri rispetto all’attuale, fu allestita un’apposita aula, provvista di copertura per motivi climatici e acustici, dove si svolsero le sessioni della prima e seconda fase. Sul prospetto meridionale della chiesa si trova la Cappella del Crocifisso, innalzata tra il 1682 e il 1687 dal principe vescovo Francesco Alberti Poja per ospitare il grande crocifisso ligneo, davanti al quale furono proclamati i decreti conciliari. Poco distante dal Duomo si trova la torre arcidiaconale, denominata anche Torre del Massarello. Questa massiccia costruzione medioevale, alta 20 metri, originariamente abitazione degli arcidiaconi del Capitolo della cattedrale, da maggio 1545 fino alla fine del 1563 fu residenza di Angelo Massarelli di San Severino Marche, che svolse le funzioni di segretario e cronista del Concilio, eccetto nei periodi di interruzione, in cui si recò a Roma come segretario di papa Giulio III.
Tra i personaggi più rappresentativi che parteciparono al sinodo vi fu pure l’ambasciatore di Spagna Claudio Fernandez de Quiñones conte di Luna. Ambizioso e altezzoso, diede origine alla “disputa per le precedenze”: non tollerava che gli altri delegati potessero precederlo nelle cerimonie ufficiali. Incaricato di rappresentare il re Filippo II al Concilio di Trento, scelse di alloggiare a Palazzo Roccabruna, pagando un affitto di cinquanta scudi d’oro al mese. L’edificio, innalzato tra il 1557 e il 1562 per iniziativa del canonico Girolamo II Roccabruna, stretto collaboratore del principe vescovo Cristoforo Madruzzo, successore di Bernardo Cles, attualmente è proprietà della Camera di Commercio di Trento e sede dell’Enoteca Provinciale del Trentino.
Invece il cardinale legato Ludovico Simonetta, vescovo di Lodi, dimorò a Palazzo Geremia che, costruito tra XV e XVI secolo, rappresenta uno dei primi esempi dell’architettura rinascimentale trentina e anticipa molte soluzioni adottate nei palazzi di epoca clesiana. Inoltre l’anonimo artefice degli affreschi nella facciata del palazzo, manifesta una cultura figurativa affine a quella veronese e vicentina di fine Quattrocento. Nelle immagini, che raffigurano l’incontro dell’imperatore Massimiliano I con la cittadinanza, la ruota della Fortuna, Marco Curzio a cavallo, il sacrificio di Muzio Scevola e di Lucrezia sono evidenti i temi storico-morali.
Il vescovo di Venosa, Alvaroz de la Quadra, un napoletano di origini spagnole, trovò alloggio a Casa Mirana, ospite di Girolamo Mirana, medico trentino e console nel 1554. Tra i più vecchi edifici della città, Casa Mirana risale al Medioevo. Sul lato nord sono ancora visibili le mura tardogotiche, ma alcune decorazioni appaiono chiaramente rinascimentali. All’ingresso dell’abitazione si osserva lo stemma della nobile famiglia Mirana, proprietaria dell’immobile. Bernardo Cles scelse di abitare nel Magno Palazzo, disposto a ridosso delle secolari mura urbiche. Lo fece realizzare accanto al Castelvecchio, la parte più antica del castello del Buonconsiglio, tra il 1528 e il 1536, anno in cui fu ufficialmente inaugurato.
I pittori Girolamo Romanino, Marcello Fogolino, Dosso e Battista Dossi sono gli autori dei mirabili cicli affrescati, che adornano gran parte degli ambienti interni. Maestranze italiane, soprattutto venete e lombarde, si alternarono a imprese nordiche nella conduzione del cantiere e nell’esecuzione degli arredi, di quella che è considerata una delle più ricche residenze principesche dell’Italia settentrionale. Bernardo Cles si adoperò per organizzare il Concilio nel tentativo di trovare una mediazione tra la riforma protestante, che si stava diffondendo nelle terre dell’Impero, e l’autorità papale, ma morì prima della sua apertura. Per volere di Ferdinando I d’Asburgo gli successe il cardinale Cristoforo Madruzzo, che ospitò in castello prelati e ambasciatori, allestendo nel Magno Palazzo e nei giardini sontuosi banchetti.
Davvero Martin Lutero, il monaco tedesco che con le sue teorie rivoluzionarie aveva dato origine alla riforma protestante, non si presentò mai a Trento negli anni del Concilio? Dopotutto il sinodo era stato indetto proprio con l’obiettivo di ricomporre la frattura tra cattolici e protestanti. Sulla presenza di Martin Lutero a Trento durante il Concilio si raccontano almeno due storie. Secondo la tradizione popolare, pare che Lutero, arrivato alle porte della città, abbia fermato una vecchina per chiederle informazioni su quanto stava accadendo. L’anziana donna gli rispose che in città c’era un gran via vai di cardinali e prelati importanti, ma la persona più attesa era Martin Lutero. Costui, però, faceva bene a non presentarsi, poiché nella chiesa di Santa Maria Maggiore era già pronto un pentolone colmo di olio caldo e, se quell’eretico si fosse fatto vivo, la sua fine sarebbe stata quella di cuocervi dentro. Udite tali parole Lutero ritornò da dove era venuto.
Un altro racconto popolare narra che Martin Lutero una notte si recò in incognito nella chiesa di Santa Maria Maggiore, rimanendo nascosto tutto il giorno in un confessionale. La notte successiva scappò. Prima di andarsene da Trento, segnò sulla parete della chiesa, esattamente al centro della navata, sette misteriose M, disposte a forma di piramide. La scritta, rivolta al cardinale e principe di Trento, fu interpretata così: “Maledetto Mandruzzo, Martino Mai Muterà, Meglio Morire”. La frase fu subito cancellata e per esorcizzare i segni di maledizioni da parte di Lutero si celebrò una santa messa.














