L’arte e la vita di Giancarlo Marcali si legano indissolubilmente e il luogo in cui avviene questo incontro è il corpo. La sua è una poetica che “accade” e si dispiega attraverso differenti mezzi espressivi, trasparenze e sovrapposizioni di una “visione aperta e onesta” che dischiude mondi diversi di immagini e livelli diversi di esperienza dove il reale e l'onirico sembrano toccarsi, in maniera delicata ma potente. In una lotta corpo a corpo con la percezione ordinaria, in un’apertura delle dimensioni spazio-tempo, Giancarlo mette in movimento le emozioni, le azioni e le sensazioni corporee dello spettatore per accompagnarlo al di là dell'apparenza delle cose. Lo incontriamo a pochi giorni dall’inaugurazione della sua personale INTRACORPI… et nos cedamus amori al Museo Vignoli di Seregno.

Qual è il pensiero/progetto che sta dietro le tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità?

Questa è una domanda che mi fanno spesso e alla quale voglio rispondere con molta franchezza. Generalmente le mie installazioni vengono fuori da una visione: un oggetto, una forma, ma anche un movimento. Improvvisamente vedo la mia installazione che occupa uno spazio. In seguito cerco di mettere a fuoco la mia visione seguendo la mia poetica e quelli che sono i rigori estetici con i quali ricerco un'idea di bellezza, quella bellezza alla quale non posso rinunciare.

Nelle tue installazioni lo schema corporeo e l’immagine corporea si “incorporano” restituendo un’immagine complessa, intima e collettiva al tempo stesso...

Da quando sono bambino ricordo di aver sempre subito il fascino della bellezza del corpo. Solo in età più adulta ho cominciato ad ammirarlo oltre che per la sua bellezza anche e soprattutto per il modo in cui parla della persona. Occhi, spalle, mani, piedi, ogni parte del nostro corpo ci parla e parla agli altri di noi, delle nostre emozioni ma anche delle nostre attitudini e delle nostre capacità psico-fisiche. Nelle mie installazioni cerco di far parlare questi corpi così come li “ascolto” ogni giorno, ed è per potermi esprimere in maniera più esaustiva che ho cominciato a lavorare con le trasparenze e con la scrittura. Le trasparenze, le sovrapposizioni di immagini e anche i supporti pseudo-invisibili come vetro, specchio o pellicola, mi permettono, da una parte, di esprimere le più intime sfaccettature dell’essere umano e, dall’altra, di immergermi in un mondo dove il reale e l'onirico sembrano sfiorarsi, in maniera delicata ma potente. La scrittura, invece, rappresenta la parte “materica” delle mie installazioni. La scrittura è il mio pennello e i testi che scrivo rappresentano l'anima delle persone: il dolore che si “legge” negli loro occhi e nelle loro mani... il peso del corpo che si “legge” nelle mani e nei piedi. Ogni installazione rappresenta, canta l'essenza di cui è intrisa.

A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?

Non so bene a che cosa possa aprirsi il mondo attraverso l'arte, non sono un gran pensatore, sono una persona piuttosto pratica. Posso dire, però, in che maniera il mondo si è aperto a me attraverso l'arte. L'arte per me è una grande opportunità ma anche e soprattutto una grande fortuna. Nella mia vita la qualità che sicuramente mi è sempre mancata è la perseveranza e solo l'arte ha generato in me quella passione viscerale che permette di portare avanti con determinazione i propri progetti, anche in momenti molto difficili. L'arte è un terzo occhio rivolto al mondo di cui noi siamo parte, ed è per questo che diventa uno specchio del mondo in cui noi riusciamo a vedere noi stessi.

Il soggetto ideale della società contemporanea è ridotto alla condizione di consumatore di tempo e spazio. Per te, per il tuo lavoro, che significato hanno il tempo e lo spazio?

Proprio per il linguaggio artistico che ho scelto, l'installazione, il tempo e lo spazio hanno una grande importanza. Senza lo spazio un'installazione non può esistere, è solo lo spazio o l'assenza dello stesso che moltiplica la potenza e l'intensità di un’installazione. Lo spazio è la terra che nutre la pianta, lo spazio è il grembo materno, è il sangue che pompa. E il tempo, è il modo con cui il mio lavoro e la mia poetica si affacciano, si confrontano e dialogano con il nostro periodo storico: è il modo con cui il mio pensiero ha un senso nel XX secolo... “Posso dire qualcosa che abbia un senso ora e per sempre?”. E' questo il grande dilemma dell'artista... Come potrò mai sapere se quello che ho fatto è giusto?... non vivrò mai abbastanza a lungo.

Nella personale che inaugurerai il prossimo 14 giugno al Museo Vignoli, INTRACORPI… et nos cedamus amori esporrai 7 installazioni di grandi dimensioni, 2 inedite e 5 che hai definito come le opere che hanno segnato ogni fase di quella che è la tua ”ebollizione” artistica di una visione. Ci racconti di questa mostra che per te ha un grande valore emotivo e personale oltre che professionale?

Da sei anni vivo e lavoro ad Albiate, un paesino della Brianza nel quale sono cresciuto fino alla fine delle scuole superiori. Poi la vita mi ha portato a vivere e lavorare lontano da qui. Quando l'anno scorso Eroska e Michelangelo (Mikeroart) mi hanno proposto di fare questa mostra, a tre chilometri da casa mia, è stato un po' come un colpo di fulmine. Dopo tante mostre in tutta Italia, nelle quali mi sono confrontato con tanti bravi artisti e con quelli che sono gli addetti ai lavori, avevo davanti a me la possibilità di mostrare il mio percorso artistico in una location come il Museo Vignoli a Seregno, che si sposa meravigliosamente con le mie installazioni, e soprattutto potevo condividere questo mio percorso con le persone del luogo, con le quali sono cresciuto. Vorrei che questa mostra fosse visitata dalle famiglie che vi portano i loro figli, dai giovani e dagli anziani. Vorrei avere la possibilità di mostrarmi senza pregiudizi. Il mio lavoro è la mia vita ed è questo che voglio mostrare.

“Il valore di un’opera d’arte è nell’essere espressione di un individuo, oggetto destinato a suscitare emozioni, soluzione o posizione di un problema, interpretazione del proprio tempo, investimento economico”: tu che valore dai alle tue opere?

Un unico valore, un valore per me imprescindibile: l'onestà. In un periodo storico in cui quasi tutto è possibile grazie alle tecnologie, l'onestà è qualcosa dalla quale non possiamo esimerci, per non allungare le file di venditori di fumo.

Ti capita di avere idee che ritieni impossibili da concretizzare in un’installazione?

Ogni giorno! E ogni giorno metto quell’idea in un cassetto, e prima o poi so che mi tornerà utile.

Quali sono le “sfide” che proponi a te stesso come artista? Come continui a sperimentare?

Ogni volta che progetto o che espongo una mia installazione, ogni giorno della mia vita è una sfida con me stesso, e anche con l’ultima opera che ho realizzato. Vivo in maniera abbastanza pesante il pensiero di non essere all'altezza. Ultimamente il mio lavoro ha avuto un certo riconoscimento grazie ad alcune opere particolarmente fortunate e, ogni volta che propongo un nuovo progetto, vivo il timore che non possa mai esserne all'altezza. Sperimentare, sperimentarmi, mi permette di mettere una giusta distanza tra me e questo timore e rappresenta una grande parte del mio lavoro, della mia ricerca. In occasione dell'inaugurazione al Museo Vignoli, ad esempio, per la prima volta, in coppia con la poetessa/performer Paola Turroni, sarò a contatto con il pubblico come performer, in una rappresentazione in testi e musiche della mia inedita installazione “… et nos cedamus amori”.

Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...

Parto dalla domanda che avrei voluto tu mi facessi, riguarda un aspetto del mio lavoro, qualcosa a cui sto pensando da tempo: è una domanda che non viene mai fatta. “Come ti fa sentire realizzare un’opera d'arte?”. Fare arte è una scelta di vita, è qualcosa che non si può fare a tempi alterni. Significa accettare di sé anche i lati più oscuri. Fare arte significa aprire gli occhi al mattino con un chiodo fisso, addormentarsi la sera con un chiodo fisso. Fare arte è ansia, palpitazioni, una crescente foga che bisogna imparare a domare, è il tempo che scorre, che vola e che non è mai abbastanza. Fare arte è uno stato di grazia e in quanto tale difficilmente ripetibile nelle stesse forme e modalità.