Sergio Baroni ospita nella sua galleria in via Madonnina, 17 una esposizione di specchiere di rara bellezza e mai esposte in un numero così rilevante tutte assieme.

Ha chiamato la sua mostra Riflessi di Narciso.

Entrando in galleria si è avvolti da bagliori iridescenti che riflettono e rimandano luci infinite, in un intreccio di immagini che si attraggono, si sovrappongono e si respingono allo stesso tempo, incantano e stordiscono. Riflettono comunque, anche nel senso del pensare.

Le cornici, per la maggior parte settecentesche, sono davvero regali, preziosi supporti a quella misteriosa materia che è concreta ma che si annulla per riflettere altro da sé e si capisce come possa attrarre, ma anche spaventare, suscita una sorta di odio/amore, certo non lascia indifferenti ed è solo tramite lo specchio che ci vediamo, che ci conosciamo, altrimenti, non sapremmo come siamo fatti e, per quello che ne sappiamo, potremmo anche essere senza volto. Terrificante! Volenti o nolenti il senso di identità passa da lì. In psicoanalisi si è tanto parlato della fase allo specchio come momento evolutivo nello sviluppo psicosomatico della persona, Lacan è uno dei pensatori che ha sottolineato l’importanza di questa esperienza.

Ma precursore dello specchio, per Winnicott è lo sguardo della madre che può rimandare al suo bambino bellezza e bontà, oppure bruttezza e cattiveria, o ancora peggio il niente, il non esistere, come lo sguardo opaco della madre morta (A. Green).

In qualsiasi caso quello che rimanda l’essere riflessi è di cruciale importanza per la costituzione del sé e per il sentimento di sè. Non a caso le persone insicure hanno un bisogno irrinunciabile e continuo di rispecchiamenti buoni, ne sono famelici, pena una profonda infelicità per un sentimento di non valore.

Persino i miti e le fiabe sono ricchi di avvenimenti dove lo specchio ha un significato simbolico importante e dove costituisce una sorta di personaggio della storia con una sua funzione fondamentale. Anche Freud ha attinto al mito di Narciso per raccontare una forma di sofferenza che affligge gran parte dell’umanità, soprattutto nella società odierna, dove il dolore della mancanza ha preso il posto della lotta tra il desiderio e la proibizione, al malessere del conflitto si è fatto avanti il dolore della inadeguatezza, dell’inconsistenza, il senso di vuoto, la perdita, l’essere soli.

Ho intrapreso una lunga psicoterapia con un ragazzino Down che presentava un’importante disregolazione delle emozioni e delle pulsioni. È stato un percorso difficile, a volte pesante, voglio qui riportare un passaggio altamente significativo della nostra storia che si correla al tema della mostra.

Dopo più di un anno di lavoro insieme, un giorno, nell’attraversare la solita anticamera che conduce alla nostra “stanza”, Marco si è fermato davanti allo specchio che tutte le altre volte sembrava non aver notato, si è guardato a lungo, ha fatto delle boccacce, si è tirato l’esterno degli occhi con la punta delle dita come per sottolinearne la forma orientaleggiante, ha schioccato la lingua e poi con voce grave e solenne ha esclamato: Io sono un Down!

Si è riguardato e poi sempre attraverso lo specchio ha guardato me, forse anche per vedere la mia reazione, per vedere se ero spaventata di fronte alla “mostruosità” della sua dichiarazione, se avevo provato disprezzo, ripugnanza, allontanamento…Le sue parole erano risuonate nella stanza come una bomba. Era come un proclama di verità che forse pensava sorprendente per me, come se prima di quello svelamento davanti allo specchio io non avessi potuto conoscere la sua “macchia”.

Ho provato un piacevole stupore per lo straordinario lavoro psichico compiuto da Marco per arrivare a questa consapevolezza e anche ammirazione per la sua capacità di specchiarsi davvero, per la forza di poter vedere riflessa la sua diversità tollerando il dolore mentale dello svelamento. Ci siamo parlati pacatamente, sorridendo, condividendo lo spessore emotivo della sua comunicazione e poi lui ha distolto gli occhi dai miei e si è riguardato, abbiamo contemplato a lungo le nostre immagini riflesse nello specchio. Vedevo il suo viso, le mani, il corpo segnati inequivocabilmente dal marchio della sindrome e ho provato una grande tenerezza…allo stesso tempo lui ha leggermente inclinato il capo verso di me come per affidarmi il peso dei suoi pensieri che adesso, cominciando a pensarli in due, diventavano meno pesanti. Ci siamo guardati, sempre tramite lo specchio, in silenzio, condividendo un momento così solenne, di grande intensità emotiva dove dolore e liberazione potevano trovare ospitalità, vivendo quella straordinaria esperienza di essere all’unisono: tranquillità, fiducia, affidamento conferivano all’atmosfera un senso di pace e di riposo, insieme al vissuto irripetibile di grande intimità.

La sacralità di questo momento non ha potuto non richiamare “la fase dello specchio”, locuzione con cui Lacan intende sottolineare quel particolare momento in cui l’infante riconoscendosi nell’immagine riflessa dello specchio prova giubilo e allegria scoprendo di essere un’unità. Ma ancora di più mi sono ritrovata in Winnicott, psicoanalista dell’area inglese, che sottolinea come il bambino necessiti della presenza della madre che lo accompagni in questa esperienza di scoperta di sé, dove la superficie riflettente rimanda l’immagine di entrambi, per cui sperimenta per la prima volta la diversità tra di loro, vede che sono separati, è una svolta importante, prova un piacere narcisistico esaltante “io sono quello lì”, ma soprattutto “io esisto”. E la madre è lì con lui ad incoraggiare questa scoperta in un clima di condivisione e festosità. Questa “vignetta” tratta dalla storia terapeutica con XY è toccante, emoziona perché ci rende partecipi del mistero di cui siamo fatti e dell’indispensabilità del rapporto con un’altra persona per poter pensare i pensieri, soprattutto se sono particolarmente dolorosi.

La vita complessa di questo ragazzino ci ha reso testimoni di come un rispecchiamento emotivo traslato poi nell’uso reale dello specchio sia fondamentale per il riconoscimento di sé e ci ha permesso di vivere in diretta quella poesia ineffabile che è la mente.

Ma diamo voce anche ad una grande poetessa, Alda Merini che ci racconta del suo rapporto con lo specchio. “Da anni mi guardo nello specchio. È uno specchio fragile, multiforme, intercambiabile, uno specchio che non vive in nessun luogo e nessun momento: è lo specchio multiplo della mia coscienza e forse anche della tua.

Molti anni fa trovai il piacere della prima scoperta: ero una giovane randagia con un poco di polvere umana che raccoglieva dalla strada grandi amori. E lo specchio fu decapitato.

Ora domando…che nesso ci sia tra il genio, la parola e lo specchio e se non valga la pena di mandarlo in frantumi una volta per sempre. Perché checchè se ne dica anche l’anima ha i suoi riflessi d’argento. Se vuoi puoi abitare nel mio stesso specchio e guardarti con me.”

Un sentito grazie a Sergio Baroni per aver ideato e realizzato la mostra delle specchiere che ha sollecitato tanta poesia.

La mostra Riflessi di Narciso è poesia.