L’Oltrepò pavese, situato all’estremità meridionale della Lombardia e incuneato tra Piemonte ed Emilia, è una terra dall’antica tradizione enoica. Nello spirito di un’escursione un po' avventurosa, l’itinerario proposto, lungo un centinaio di chilometri, privilegia strade panoramiche collegate alla Statale 461 Voghera-Varzi-Passo del Penice e, dalla piana alluvionale oltre il corso del Po, attraversando ampie e luminose vallate minori, scavate dagli affluenti del Grande Fiume e sparuti paesini, risale fino alle cime dell’Appennino emiliano.

Per le difficoltà del tracciato, con continui saliscendi e qualche curva di troppo, si consiglia l’utilizzo di un’auto spartana o di una moto. Un week-end è il tempo richiesto per apprezzare le peculiarità storico-artistiche di questa zona di cerniera ma, data l’elevata disponibilità alberghiera, si può tenere in considerazione l’eventualità di dedicare altro tempo per una sosta nel centro termale di Rivanazzano o a Salice Terme per una visita a prestigiose cantine.

Punto di partenza dell’itinerario è Voghera, raggiungibile con l’autostrada A21 Torino-Piacenza-Brescia, uscita Voghera e con la A7 Milano-Genova, uscita Casei Gerola. Collocata allo sbocco della Valle Staffora, dove convergono le strade provenienti da Milano, Alessandria e Piacenza prima di attraversare l’Appennino, questa città è il capoluogo geografico dell’Oltrepò pavese. Snodo commerciale sin dai tempi dei Romani, Voghera, nel Medioevo Viqueria, era attraversata dalla strata Romea, principale asse di transito di tutto il territorio oltre padano continuatore della romana Postumia-Julia Augusta.

A Voghera, sul finire del 1100, per coloro che intraprendevano un pellegrinaggio era ormai divenuta abitudine recarsi sia a prendere che a deporre bastoni e bisacce alla chiesa monastica di S. Ilario. Fra i diritti che negli ultimi decenni del XII secolo l’antica pieve di S. Lorenzo si era vista usurpare dalla recente chiesa di S. Ilario vi era infatti anche quello di imporre “burdones et scarsellas peregrinantibus”. Questa suggestiva chiesetta si trova nei pressi del castello. Seminascosta dagli alti edifici circostanti, è anche chiamata dai Vogheresi “chiesa rossa” per la caratteristica colorazione dei mattoni in pietra a vista della muratura esterna. Di origine longobarda, il tempietto, ricostruito dai monaci benedettini nell’VIII secolo, dal 1952 è Tempio Sacrario della Cavalleria italiana.

Se la consuetudine di benedire gli oggetti qualificanti del viaggio aveva assunto importanza tale da essere annoverata tra i diritti parrocchiali, divenendo addirittura causa di contrasto fra i due luoghi di culto, per i Vogheresi compiere un iter peregrinale doveva costituire una pratica piuttosto comune. Ciò nonostante è sicuro che sin dall’Alto Medioevo i devoti in partenza da Voghera fossero solo una trascurabile minoranza rispetto ai viandanti che, provenendo da terre lontane seguendo la Via Francigena, transitavano dall’abitato per raggiungere i luoghi più battuti della cristianità.

Non a caso patrono di Voghera è San Bovo, un pellegrino che, partito dalla natia Provenza e diretto alla tomba di San Pietro a Roma, colpito da infermità morì in città nell’ultimo decennio del 900. Rapidamente santificato e nobilitato nel racconto locale come un importante signore provenzale in incognito, eroe della lotta contro i Saraceni, San Bovo è raffigurato a cavallo in un bassorilievo medievale collocato all’ingresso della navata destra del duomo di S. Lorenzo.

Voghera, dominio del ducato di Milano, già nel Trecento era nota per la produzione di mostarda, apprezzata anche da Gian Galeazzo Visconti, che in una lettera datata 1397 chiese al podestà di Voghera di inviargli un mastello di mostarda con la senape. Il castello di Voghera, tipico esempio di architettura viscontea di pianura, fu costruito nel 1360 dall’ingegnere Ottarello da Meda per volere di Galeazzo II Visconti, signore di Milano, e ampliato nel 1372 sino a raggiungere l’attuale pianta quadrata con quattro torri agli angoli. Proprietà della famiglia Dal Verme dal 1436 al 1485, già nel secondo Quattrocento il maniero aveva perso l’originaria funzione di caposaldo militare. In seguito alla caduta del ducato di Milano, nel 1499 la città venne infeudata al generale francese Ludovico di Lussemburgo, conte di Ligny che, agli inizi del primo decennio del Cinquecento ordinò la ristrutturazione dei fabbricati delle ali sud e nord del castello e commissionò tre diversi nuclei pittorici in tre sale al primo piano dell’ala est.

Scoperti nel 1995 dal funzionario della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano, questi affreschi, di rara bellezza e di grande qualità artistica, sono stati realizzati molto probabilmente dal Bramantino tra il 1499 e il 1503. Le decorazioni a fresco raffigurano nella prima sala un grande stemma, nella seconda otto bellissime muse sedute in trono e incorniciate da una partitura architettonica a lesene e, nella terza, un loggiato architravato, le cui campate, poco sotto il capitello delle lesene, lasciano intravedere al centro la verzura di un albero.

Superato il ponte sullo Staffora, eretto a un centinaio di metri dai resti dell’antico ponte romano di S. Alessandra, pochi chilometri di fondovalle separano Voghera da Torrazza Coste. Seguendo le indicazioni per la frazione Pontasso, una serpeggiante stradicciola, molto probabilmente un tratto di un’antica Via del Sale, conduce al santuario della Beata Vergine. Un oratorio di origine longobarda che, dichiarato monumento nazionale, nasconde nel coro uno dei più antichi esempi di pittura murale dell’Oltrepò. Commissionati nel XIII secolo da un membro della famiglia pavese dei Beccaria, raffigurato in ginocchio nella parete di sinistra accanto al proprio stemma araldico, gli affreschi, recentemente restaurati, raffigurano una splendida Annunciazione, accompagnata dalle figure di quattro angeli che reggono la volta su cui è dipinto un imponente Cristo benedicente.

Lasciata Torrazza Coste, la prospettiva si allarga verso l’Oltrepò collinare e protagonista indiscusso dell’itinerario diviene il paesaggio, dai mille colori, dalle infinite sfumature. Una sinuosa panoramica in ripida salita tra pendii scoscesi ricoperti di fitti boschi di latifoglie e ordinati vigneti collega la Val Schizzola alla Valle Ardivestra. Centro di questa valle minore è Rocca Susella ove, circondata da campi, si trova la pieve romanica di S. Zaccaria. Eretta probabilmente tra il 1100 e il 1150 e restaurata nel 1970, non manca di affascinare per l’essenzialità delle linee e la scarna e geometrica scelta decorativa della facciata, costruita in corsi orizzontali alternati di laterizi e conci di arenaria.

Otto chilometri separano Rocca Susella da Montesegale, un caratteristico borgo collinare situato sull’ampio e lievemente ondulato versante di sinistra della bassa valle Ardivestra. Il castello di Montesegale, arroccato sulla cima di un colle e circondato da boschi, da oltre un millennio è a guardia della vallata. Edificato nei primi decenni del 900 e rimaneggiato più volte nel corso dei secoli, questo complesso architettonico è costituito da un insieme articolato di corti e di edifici di diversa datazione, protetti da una cinta fortificata con torri e mura merlate.

Da Montesegale percorrendo vie ricavate sul dorso di colline immerse nel lussureggiante paesaggio dell’Oltrepò centrale, dove prati, seminativi e boschi di querce e castagni si alternano a minuscole frazioni e solitari casolari in pietra, raggiungiamo la Valle Staffora per visitare la rocca di Oramala. Ritenuto senz’ombra di dubbio il castello più leggendario dell’Oltrepò pavese, questo possente maniero, edificato sulla sommità di un colle a 750 m di altezza e concesso nel 1164 da Federico Barbarossa a Obizzo Malaspina, al pari delle più raffinate e mondane corti della Francia meridionale, ospitò nel Duecento poeti e trovatori provenzali. L’austera rocca difensiva domina a 360 gradi sul borgo di Oramala, sulle torri di Varzi e su tutte le vette e i valichi dell’alto Oltrepò.

Poco lontano, in un’ampia conca dell’alta valle dello Staffora si trova Varzi, principale centro dell’Oltrepò montano, conosciuto per la produzione artigianale di salame (Dop) a grana grossa. Punto d’incontro di antichi tracciati, che attraverso il sistema appenninico seguendo la Via del Sale collegavano la Pianura Padana a Genova e alla Riviera di Levante, nel Medioevo Varzi era sede di un importante mercato. Ancor oggi questa graziosa località ha mantenuto una chiara impronta urbanistica medievale nel centro storico con caratteristici portici e stretti vicoli dalla pittoresca denominazione. Da Varzi ha inizio la zona montuosa con pascoli e pendii a prato. Risalendo una stretta panoramica che collega la Valle Staffora alla Val Tidone, costeggiamo gli ultimi coltivi e raggiungiamo Pietragavina, un borgo di crinale adagiato su di una sella rocciosa, caratteristica formazione geomorfologica ricorrente nel paesaggio dell’Oltrepò, comunemente detta “gava”, da cui l’aggettivo “gavi”.

Oltrepassati il Passo di Pietragavina e gli abitati di Rossone e di Crociglia in un susseguirsi di faggete, pinete e abetaie arriviamo a Zavattarello, in alta Val Tidone. Un pittoresco paesino dalle case in pietra a vista che, sviluppatosi all’incrocio delle valli dei torrenti Morcione e Tidone, è adagiato ai piedi di un contrafforte roccioso, occupato dalla cupa mole di un maniero, dal XVI secolo al 1975 possesso della famiglia Dal Verme e dagli anni Ottanta proprietà del Comune.

Proseguendo per le frazioni di Tovazza e Pradelle giungiamo a Romagnese, nell’estrema punta meridionale della provincia di Pavia. Il suggestivo nucleo medievale di quest’abitato, racchiuso a sud dal monte Penice (1460), a ovest dalle cime del Costa d’Alpe (1250) e del Calenzone (1150), a est dal Pietra di Corvo (1080) e dal Pian del Poggio (1300), è protetto da un poderoso castello vermesco. Giunti fin quassù, anche il vicino giardino alpino di Pietra Corva, con il piccolo museo didattico dedicato all’ambiente collinare e montano dell’Oltrepò, val bene una visita.

Da Romagnese, seguendo la Statale 412, costeggiamo il corso del torrente Tidone e superiamo il lago di Trebecco, all’estremo confine con il Piacentino. Il percorso volge in discesa nell’area compresa tra la bassa Val Tidone e la Valle Versa, considerata la zona vitivinicola per eccellenza dell’Oltrepò pavese. Attorno a noi rigogliosi vigneti, regno del moscato e dello spumante, coprono interamente morbidi rilievi, dove argillosi terreni geomorfologicamente uniformi e lievemente ondulati presentano un’alta vocazione enoica.

Una curiosità sull’Oltrepò pavese. Ricordate le strampalate vicende di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno? Create nel Seicento dallo scrittore bolognese Giulio Cesare Croce, le schermaglie verbali tra l’astuto contadino Bertoldo e il re dei Longobardi Alboino sono ambientate tra Verona e le campagne bagnate dall’Adige. Secondo un curioso racconto, nato dalla creatività popolare oltre padana, l’arguto villano “figliuolo del quondam Bertolazzo, del già Bertuzzo, di Bertin, di Bertolin da Bertagnan” sarebbe invece originario delle colline dell’Oltrepò pavese e precisamente di Ca’ Bertuggia. Uno sperduto angolo di mondo nelle vicinanze di Retorbido, da cui si gode un’incomparabile vista sulla Pianura Padana e sulle Alpi, ove c’è ancora un’antica abitazione rurale che la tradizione vuole sia stata la residenza di Bertoldo. E, nel rispetto della leggenda, sarebbe proprio da qui che oltre dieci secoli fa una nebbiosa mattina di novembre questo contadino dalla sagace battuta scese alla vicina Ca’ Reggia e incontrò il Re.