Io non so dove vanno a finire le parole che non si riescono a dire, ma se penso a quel muro che le avrebbe infrante so di non averle perse per sempre. È per questo che le scrivo, è per questo che scrivo. Ecco, sarei una che scrive, anche per non correre il rischio di restare nel vuoto, o in uno spazio senza parole. Ci si sta malissimo. Da me stessa però sono impresentabile. È soprattutto di me, che non riesco a dire, forse è che temo… di essere fraintesa.
Profilo o biografia sono voci che poi non sempre mi piacciono, almeno per quanto mi riguarda e per quel non cadere nella trappola di un elenco che, per paradosso, finisce per essere impersonale. Non basta dare informazioni per dire di sé. Nella quarta di copertina di Mr Gwyn di Alessandro Baricco ho letto di come “Jasper Gwyn diceva che tutti siamo qualche pagina di un libro, ma di un libro che nessuno ha mai scritto”. Credo che sia vero.
Ecco io sto cercando in qualche modo e da qualche parte di scriverlo quel libro, di lasciare qua e là, in quello che faccio, una pagina nella quale ritrovarsi e dire di sé.
Al bando quindi il definirsi solo per quello che si è scelto di mettere in pratica, che sia titolo o luogo di lavoro, laurea o albo professionale. Diciamo che in quella famosa pagina, ancora non del tutto scritta, tra tante cose e per quanto mi riguarda, ci sta sicuramente dentro l’esercitare bene quel mestiere di scrivere secondo un valore originario, quello che ho sempre dato alla scrittura. Appartengo alla categoria di chi sceglie, ogni volta, le parole con cura.
Così come provo a fare in questo spazio, tra pagine possibili e ogni volta diverse, tra molte cose da dire, scelte per essere raccontate, non solo pubblicate. Provo anche qui e adesso, dove una storia, un viaggio, un’immagine, forse un dipinto e la sua arte, a volte un evento e il suo dialogo, le domande e le risposte, e tutto ciò che nasce da una trama, può venire in aiuto del mio voler dire, nero su bianco. Provo, ancora una volta, attraverso la parola scritta, sempre sinonimo di verità, capace di definire descrivendo, di mettere in chiaro. Provo con il sentire quale suono possono avere ancora le parole, quale voce riescono a dare alle immagini divenute spesso troppo ingombranti.
Chissà che ne venga fuori un bozzetto di vocaboli, un piccolo racconto sparpagliato del mio percepire la vita pensata, in quell’indispensabile esistere che si vuole dedicare anche al saper cogliere le impressioni, catturando quel piglio autentico che può star dentro ad una situazione, a un luogo, un carattere, o al divenire della vita di ogni giorno, e che solo la parola scritta imprigiona nella chiarezza.
La vita è fatta di piccole cose, e scrivere è un po’ cercare dentro ogni parola la sua piccola verità, o il modo migliore di assomigliare al cielo quando è limpido, e di ascoltare che cosa, quello stesso cielo, così trasparente, ogni giorno riesce a suggerire in diverse e buone maniere.
L’ho trovato scritto anche in un libro, un altro, in uno di quelli che non ero nemmeno andata a cercare, eppure, aveva ragione Mr Gwyn, c’ero tutta dentro. Mi è capitato tra le mani e mi ha ricordato che:
C’è bisogno di così poco, per scrivere. Si ha bisogno solo di una vita povera, talmente povera che non ne voglia sapere nessuno e che trovi asilo in Dio, o dentro alle cose.
È Christian Bobin, lo ha scritto in Mille candele danzanti.
Chissà allora che da qui, da queste pagine nuove, mai scritte, digitate, non ne venga fuori un altro bozzetto, quello di chi ha ancora da scrivere, di chi, in un mondo che domanda di compiere giri continui, così dominato dall’esteriorità, dall’insistente dire per apparire, non si possa riguadagnare quel “gusto per la parola chiara, l’amore per la parola vera”. Perché “con la parola nuda torna ogni verità. Con la verità torna tutta l’anima".
Si forse il profilo di chi si dedica alla scrittura dovrebbe essere, ogni volta, quello di un personale ritorno dell’anima. Di quante parole ho scritto, come giornalista o copy, o autrice, da quando e per quanto tempo e con quali titoli e autorizzazioni o moderne definizioni di professione, ecco, di queste “informazioni” preferisco che restino nel foglio abbozzato di un curriculum o in quello spazio virtuale e “social” dove le lascio galleggiare come dati compilati. Ma qui, in questo spazio voglio dire che scrivo e se mi chiedessero cos’è esattamente scrivere, in questo momento, risponderei “leggendo” tra righe dedicate alla preghiera:
E cos’è esattamente pregare. È fare silenzio. È allontanarsi da sé nel silenzio. Forse non sappiamo pregare come bisogna: sempre troppo rumore sulle nostre labbra, sempre troppe cose nei nostri cuori. Nelle chiese non prega nessuno, tranne le candele. Si dissanguano. Consumano tutto il loro stoppino. Non trattengono nulla per sé. Danno ciò che sono e questo dono si trasforma in luce. La più bella immagine della preghiera, la più chiara immagine delle letture, sì, sarebbe quella, il consumarsi lento di una candela.
È ancora Mille candele danzanti.
Solo un’ultima cosa, adesso. Il domani sorge sempre al tramonto, è stato il mio primo romanzo. Forse una preghiera. Tutto il resto, anche quello che deve ancora venire, è riposto e consegnato in uno scrivere sparpagliato che magari, anche da questo spazio e da queste pagine, proverò a mettere in ordine o a farne ritratto e preghiera.