La storia turistica di Lanzarote è legata a doppio filo con la figura di César Manrique, un personaggio a dir poco eclettico, un artista poliedrico, un pittore, uno scultore, un architetto e un attivista che ha fatto del rapporto arte/natura il suo manifesto. La sua volontà era di essere “la mano libera che dà forma alla geologia”. E se avrete la curiosità di visitare le sue opere disseminate sull'isola, scoprirete che ci è riuscito.

Non si può, però, capire l'opera di questo artista senza conoscere il suo vissuto. Chi era, dunque, César Manrique? Nasce proprio a Lanzarote, più precisamente ad Arrecife, nel 1919 e studia presso l'Accademia delle Belle Arti di San Fernando a Madrid. Nella capitale spagnola vi rimane fino al 1964, occupandosi di arte figurativa e approfondendo il ruolo della materia, che diventa la protagonista principale delle sue opere. Ispirazione per le sue opere sono sempre state le emozioni derivanti dal paesaggio vulcanico della sua isola madre.

Nel 1964 si trasferisce a New York, dove espone le sue opere alla galleria Catherine Viviano. Il periodo newyorchese è fondamentale per la sua crescita artistica. Nella città della grande mela viene, infatti, a contatto con l'arte pop, la nuova scultura e l'arte cinetica. L'influenza di queste correnti la potrete vedere, neanche tanto celata, all'interno delle sue case.

Dopo la metà degli anni Sessanta, ritorna a Lanzarote e vi si stabilisce. Non si trasferirà più sul continente, ma non mancheranno numerosi viaggi per conoscere il mondo. Ma perché Manrique decide di tornare nella sua Lanzarote?

In questi anni l'isola inizia a proporsi e, di conseguenza, ad infrastrutturizzarsi, come destinazione turistica. Manrique vuole fare la sua parte e collabora con il Consiglio insulare di Lanzarote, presieduto da Josè Ramirez Cerdà. Per l'artista era chiaro che la principale attrazione dell'isola era il suo paesaggio, che andava valorizzato e reso fruibile, senza, però, farlo cadere nelle mani di speculatori che l'avrebbero compromesso irreversibilmente. Promosse, quindi, un modello d'intervento che si basasse sulla sostenibilità e sul rispetto del patrimonio naturale e culturale. Anche grazie alle basi da lui gettate, nel 1993 Lanzarote viene dichiarata dall'UNESCO “Riserva della Biosfera”.

Ma concretamente come traduce i suoi ideali? Elabora un nuovo pensiero estetico che chiama Arte-Natura/Natura-Arte, in cui pittura, scultura, murales, architettura e urbanistica vengono inseriti in luoghi specifici creati dalla natura. La nuova architettura si plasma in base al carattere del luogo in cui viene realizzata. Sono principalmente terrazze panoramiche, giardini, belvederi, adattamenti di spazi degradati, riscoperte di parti di litorale, centri culturali in cui elementi della tradizione locale e nuove concezioni moderne dialogano con la natura per permettere al visitatore di vivere un'esperienza nuova. Tutti luoghi in cui il faro guida, neanche a dirlo, è il genius loci.

Le sue opere si possono trovare anche nelle altre isole dell'arcipelago delle Canarie e nella Spagna continentale. Lanzarote rimane, però, l'isola che ospita la massima espressione del suo genio artistico. Manrique muore nella sua isola natia, in seguito ad un incidente stradale, nel 1992, non prima di essere stato insignito di numerosi premi, fra questi il Premio mondiale per l'Economia e il Turismo nel 1979.

Inquadrato il personaggio, non resta che perdersi fra le sue architetture. Come prima visita consiglio di trascorre due orette alla Fundación César Manrique, a Tahiche, per tuffarsi a capofitto nel mondo di quest'artista. Questo edificio fu veramente la casa dell'artista per 20 anni! La straordinarietà è la capacità di costruire non su un terreno, ma a partire da un terreno. La casa, infatti, è progettata attorno a 5 bolle vulcaniche naturali collegate da tunnel scavati nella lava. Ogni bolla ospita uno spazio diverso caratterizzato da mobili, sculture e quadri di un colore acceso, chiaro rimando alla cultura pop e da qualche eccentricità, vedi gli alberi piantati al centro della stanza la cui chioma fuoriesce dalla bocca della bolla. Le pareti e i pavimenti, bianchi, e il soffitto, in pietra vulcanica, rimangono, invece, neutri e legati ai colori dell'architettura locale. Anche la forma irregolare della piscina suggerisce che quello era l'antico sedime di una spaccatura vulcanica. La casa ha anche ampie vetrate da cui rimarrete sicuramente impressionati dal contrasto cromatico visibile. L'edificio candido è attorniato da una colata lavica nera. Anzi non è solo circondato, divertitevi a scovare la lava che Manrique ha “fatto entrare” in casa.

Le case di Manrique presenti sull'isola, però, non sono finite. Merita una veloce visita la sua casa-museo di Haria, immersa in un giardino di palme, in cui l'artista visse nell'ultima parte della sua vita. È la ristrutturazione di una vecchia masseria bianca, con patii interni, ampi saloni per ricevere e stanze piene di pezzi d'arte da lui collezionati. Una rilettura moderna e dotata di comfort di una tipica architettura locale. I bagni scateneranno la vostra invidia! Interessante anche il laboratorio semi-ipogeo di Manrique, rimasto intatto dal giorno della sua scomparsa.

Non è un progetto dell'architetto di Lanzarote, ma nasce comunque da una sua intuizione sviluppata, poi, dall'amico Jesus de Soto, la casa LagOmar, a Nazaret. Costruita su una cava vulcanica, è un edificio bianco e, secondo me, una delle più scenografiche costruzioni di Lanzarote. Camminare fra le sue forme sinuose abbarbicate sul pendio per inserirsi nel sito naturale e perdersi fra i suoi spazi labirintici che sfociano in belvederi o specchi d'acqua azzurri vi farà sentire dei divi di Hollywood. Non a caso ci abitò Omar Sharif, prima di perderla a carte!

Se il jet-set non è il vostro forte e preferite la botanica non potete perdervi il Jardin de Cactus, appena fuori dal piccolo paese di Guatiza, centro votato alla coltivazione dei cactus da cocciniglia. Non potete mancarlo, un grosso cactus di metallo (landmark voluto e ideato da Manrique) ne segnala la presenza. Varcata la biglietteria, vi troverete davanti a un un anfiteatro al cui interno sono ospitati, disposti su terrazzamenti, centinaia di cactus, appartenenti a 1400 specie diverse e provenienti da tutto il mondo. Il complesso è integrato cromaticamente con l'intorno grazie alla pietra vulcanica scura e alle aiuole realizzate con il tipico sassolino nero che sostituisce la terra. Spicca su uno dei terrazzamenti più alti, un mulino a vento bianco, da qui la vista sulla moltitudine di cactus è fantastica. Prima di passare alla prossima tappa, godetevi un po' d'ombra sotto una sgargiante tenda rossa fra i cactus. Un curioso hamburger di cactus, accompagnato da un bel bicchiere di succo di cactus fresco, è d'obbligo per una insolata pausa.

Se dopo tutto questo vagare avete voglia di sostare a guardare il panorama, andate verso il nord dell'isola e quando vedrete una scultura raffigurante un pesce e un uccello, fermatevi: siete al Mirador del Rio. Sul Risco de Famara, a 475 metri dal mare sottostante, Manrique decise di recuperare un forte militare, mimetizzarlo il più possibile nella montagna, per dare ai visitatori uno dei più bei panorami di Lanzarote. Divertitevi (vertigini permettendo, non sottovalutate le scogliere a picco sul mare) a raggiungere le due terrazze esterne che vi offriranno scorci sul paesaggio intorno, ma prendetevi anche del tempo per sorseggiare un caffè nella sala interna: una alcova rivestita di calce bianca con una grande vetrata che incornicia l'isola de La Graciosa. Resisterete o il giorno dopo prenderete un traghetto per visitarla, come ho fatto io?

Se, come me, durante la vostra permanenza a Lanzarote sarete diventati fan numero uno del buon Manrique vorrete sicuramente fare un salto in questo sito, ma se avete pochi giorni saltatelo, godetevi piuttosto qualche ora alla Playa del Papagayo. Nel cuore dell'isola, a San Bartolomé, si trova il Monumento al Campesino, un'architettura che Manrique ha dedicato agli agricoltori e agli artigiani dell'isola. È costituito da una serie di edifici ispirati all'architettura tradizionale di Lanzarote, un insieme di bianche costruzioni derivanti dagli elementi tipologici più caratteristici delle diverse aree geografiche dell’isola. All'interno dei diversi edifici si trovano vari artigiani, se volete comprare dei souvenir troverete sicuramente qualcosa. Al piano interrato è presente un ristorante, la scala per scendere è davvero scenografica, il ristorante molto meno. Interessante, invece, la locanda (uno degli edifici tipologici). Il landmark di quest'opera è davvero imponente, non potrete non notarlo: la bianca scultura Fecundidad, pensata da Manrique e realizzata da Jesus de Soto, con antiche cisterne d’acqua di barche a vela e vari oggetti dipinti e assemblati tra loro.

Non si può venire a Lanzarote senza visitare il Parco Nazionale di Timanfaya. Il landmark è un simpatico diavoletto e El Diablo è il nome del ristorante disegnato da Manrique, unica struttura costruita all'interno del parco. Da qui partono i bus per la visita, adiacente c'è un piccolo gift shop e sul suo piazzale potete assistere a piccole esibizioni vulcaniche. Il percorso è stato studiato da Manrique e realizzato da Jesus de Soto. Attrazione speciale di questa piccola costruzione scura, come la lava che lo circonda, è una griglia su cui dalla mattina cuociono i polletti con il solo calore proveniente dalle viscere della terra. Vi consiglio di fermarvi per il pranzo, se ci andate presto vi daranno uno dei tavoli lungo la scenografica vetrata. Vi gusterete un polletto dimenticabile con una vista indimenticabile su un paesaggio vulcanico unico e surreale. Ai confini del Timanfaya si trova, invece, Los Hiervideros.

Secondo me è interessante per capire la sensibilità di Manrique. Se la natura si è già maestosamente manifestata, l'artista può fare, anche, un passo indietro. E così ha fatto Manrique: un semplice cartello in corten ad indicare il luogo e i sentieri segnati semplicemente con pietre vulcaniche. Un accento nel territorio per dire “fermati qui!”, guarda dall'alto la potenza dell'oceano blu che sembra ribollire nelle grotte che si è scavato fra la pietra lavica scura.

Da non perdere, invece, l'opera più bella che Manrique ha regalato a Lanzarote: lo Jameo del Agua. Il landmark scelto è un granchietto, vedremo poi perché. Ma cos'è uno Jameo? 4000 anni fa, il vulcano La Corona eruttò e si formò un tubo di lava lungo 6 km. Col passare del tempo, alcune porzioni del tubo sono crollate, creando delle aperture, gli Jameos. Partendo da 3 Jameos, l'architetto ha arricchito lo spazio con un ristorante, un discobar, una piscina, un piccolo museo e un auditorium.

Il percorso di visita si articola con sali e scendi che portano il visitatore a scoprire pian piano i vari spazi. Indubbiamente lo spazio più scenografico, è lo Jameo che ospita un lago salato i cui abitanti sono dei piccoli granchi ciechi e albini. Andateci verso mezzogiorno, il riflesso della luce che entra dall'apertura sul soffitto della grotta e colpisce l'acqua azzurrissima vi rimarrà nel cuore e vi farà dimenticare la bellissima piscina in cui purtroppo non si può fare il bagno. Lo Jameo de Agua è l'ultimo tratto del condotto prodotto dal vulcano La Corona. Se siete curiosi e non claustrofobici, potete recarvi alla vicina Cueva de los Verdes e, con una guida, addentrarvi per un chilometro all'interno del condotto. L'illuminazione ideata da Jesus de Soto renderà la visita magica e… inaspettata. Qui si nasconde il segreto di Lanzarote ma… no spoiler.

Spostandovi da un'architettura all'altra, vi accorgere però che Manrique ha lasciato molto di più a quest'isola di queste nove attrazioni. E non parlo solo delle interessanti installazioni che l'artista ha disseminato nelle rotonde o alle entrate dei paesini. Grazie alle sue idee e alle sue pressioni, qui la speculazione edilizia non ha preso il sopravvento, il turismo c'è ma si è sviluppato in armonia con il territorio. L'isola ha mantenuto la sua identità e il suo bilanciamento fra costruito e natura. Rimangono i suoi paesini di case bianche o in pietra vulcanica, a uno o due piani, con le porte in legno blu o verde e i giardini realizzati con i sassolini vulcanici neri. Dispiace solo che nella capitale, Arrecife, e nel sud, a Playa Blanca, qualcuno stia cercando di fare il furbo e aggirare queste norme. Ma la Fondazione rimane ben salda sulla sua colata lavica a ricordare il lavoro fatto da César Manrique per avere una Lanzarote naturalmente turistica.