Ogni volta che si affronta la Fotografia, la maiuscola è qui obbligatoria, si evocano riferimenti che la nobilitino agli occhi degli osservatori. Sembra quasi una ricerca di identità, e sarebbe nobile, o di alibi, ed è terribile. Straordinaria comunicazione visiva, capace di richiamare alla mente e nel cuore infinite emozioni, la Fotografia merita, invece, di rimanere tale, appunto Fotografia.
È il caso del Blue di Massimo De Gennaro, autore che agisce e opera senza cercare sovrastrati alla propria opera. Le immagini sono dirette e, allo stesso momento, abbondanti e cariche di molteplici piani di lettura: a ciascuno i propri. In sintonia di intenti, l’autore Massimo De Gennaro agisce evitando di offrire e presentare ri/soluzioni precotte, preconfezionate, indirizzate in un unico senso (anche fosse il suo). Al contrario, immagine dopo immagine ciascuno può ricercare e trovare un ritmo proprio, un filo conduttore individuale, che può o meno coincidere con le emozioni dell’autore: e questo non conta.
Non sono, queste, fotografie documentarie, fotografie che testimoniano una realtà, per quanto interpretata con le proprietà del linguaggio che l’autore applica/ha applicato, ma -coincidentemente, non al contrario- fotografie dall’apparenza irreale. Disquisizioni ecologiche a parte, che qui non debbono trovare asilo, il mare di Massimo De Gennaro non è certo il mare che una gita domenicale o una vacanza estiva offre al turismo e alla spensieratezza di giorni di festa. Il mare di Massimo De Gennaro è un mare simbolico, preso a pretesto -neppure casuale- di una ampia serie di considerazioni e introspezioni consequenziali.
Il sociologo, per esempio, può leggere queste fotografie con e nella propria chiave: rituali collettivi, felicità artificiose, massificazione e tanto altro ancora. Allo stesso tempo, e con la medesima buona fede (?!), il feticista dei mezzi di produzione della fotografia, per altro influenti sul linguaggio, a volte perfino discriminanti, ma mai fini a se stessi, può elucubrare sulle fasi produttive, che dalla fotografia del vero (questo lo possiamo decifrare tutti) approdano alla rappresentazione onirica con mezzi e metodologie che nel gergo si definiscono ibride: dalla diapositiva originaria alla trasformazione digitale, alla gestione elettronica del risultato finale. E poi, possono pensare e dire la loro, dai propri punti di vista egoistici, tante altre categorie del pensiero e della parola.
Effettivamente libero, quanto magistralmente coinvolto, l’osservatore che rimane se stesso e si incontra con queste immagini ha una fortuna tutta sua, che può esprimere con commozione. Senza cercare di incasellare in alcuna pre-categoria, il mare di Massimo De Gennaro lascia sciolta la mente e aperto il cuore, per ricevere quelle sollecitazioni che danno vita a una sequenza di impressioni, dalle quali trae fantastico beneficio.
Non è un mare qualsiasi, questo. E forse non è neppure mare. Più probabilmente, anzi è addirittura certo, è un pretesto visivo necessario, ma non sufficiente. Per propria natura raffigurativa, nel senso che richiede un soggetto concreto, la Fotografia è per propria scelta rappresentativa. E, come annotato all’inizio, la rappresentazione di Massimo De Gennaro è fantasticamente pretestuosa. La sua lunga serie di immagini, qui raccolte in volume (ma si potrebbe proseguire all’infinito, senza stancare, senza affaticare la vista), ha il tratto della poesia che racconta fingendo di non farlo, dice fingendo di stare zitta, evoca fingendo di rivelare. Non ci sono formule, per spiegare o capire tutto questo. C’è invece il cuore dell’osservatore che, pagina dopo pagina, lascia la cruda realtà del proprio essere nell’istante, per incamminarsi lungo il tragitto personale e individuale dei ricordi, dei sogni e dei rimandi, scanditi magistralmente dal ritmo redazionale (altra necessità pratica inderogabile).
Nella successione delle pagine, oltre la loro apparenza (ulteriore apparenza, dopo quella del soggetto pretestuoso), non ci sono solo immagini, che colpiscono la vista; ma appaiono anche rumori, aromi, sensazioni, paure (perché no?), gioie che ciascuno di noi conserva, inconsapevolmente, nel proprio cuore. Latenti, come latente è l’immagine fotografica prima di essere lavorata per la propria presentazione concreta, questi sentimenti sono risvegliati, a ciascuno i propri, da un mare che mare non è. Se in questi termini è lecito esprimerci, se di questo stiamo parlando, ben venga quella Fotografia, come è questa di Massimo De Gennaro, che è capace di sintonizzare e accordare cuore con mente, razionale con irrazionale, realtà con ricordo. Insomma, che è capace di risvegliare i sentimenti dell’Esistenza individuale.
Tutti le dobbiamo essere grati.
Testo di Maurizio Rebuzzini