Immaginate un dio che per prendere decisioni che riguardano la vita e la morte dei suoi fedeli si affida ad un lancio di dadi, un dio che può tutto, che ha il potere di decidere le sorti di umanità intere, e che gioca letteralmente con l’esistenza di esseri a lui legati, dato che sono tutti sue emanazioni, e prende ogni tipo di decisione riguardante l’evoluzione di una specie solo in funzione del risultato di un tiro di dadi.

Un gioco tragico che pone esseri senzienti nella condizione di sentirsi solo burattini nelle mani di un burattinaio cieco che, non vedendo, non può sapere se il palco calcato da queste marionette finisca o no.

Poi immaginate invece un altro dio che rifiuta di lanciare i dadi e si approccia alla decisione del fato con tutta la volontà di prendersi tutte le responsabilità che comporta la scelta senziente delle azioni della razza dei suoi adepti e che quindi non lancia e non lancerà mai dei dadi per prendere decisioni, ma invece invocherà la sua coscienza e porrà profonda attenzione nel muovere la trama e l’ordito della sua tela per disegnare con maestria la vita e la scelte degli esseri a lui affidati.

Ebbene H. P. Lovecraft e Albert Einstein hanno descritto precisamente le azioni di questi due dei e si possono descrivere come due facce della stessa medaglia: Lovecraft con la sua cosmogonia il cui dio principale, Azatoth, è cieco e stupido e proprio per questi motivi non può fare altro che lanciare dei dadi per prendere decisioni in merito all’esistenza degli uomini e Einstein che dichiara nella costruzione delle sue teorie che Dio non gioca a dadi ossia che Dio esiste e sceglie il destino degli uomini in modo consapevole e non si affida al caso.

Lo scrittore di Providence traccia la sua poetica filosofica marcando profondamente la sua teoria legata a doppio filo ad un materialismo meccanicistico tanto profondo da risultare assolutamente deprimente e buio come una notte senza luna: la cosmogonia lovecraftiana è costituita da dei che dei non sono, ma che hanno tutte le capacità che noi uomini gli conferiamo; infatti, in realtà sono esseri venuti dallo spazio ma talmente potenti da poter essere assimilati a dei.

Queste entità, che non sono veri e propri dei ma soltanto esseri con capacità talmente potenti da farli somigliare a dei, non hanno la visione di un dio e nemmeno l’interesse a gestire correttamente gli esseri che sono a loro sottoposti in questo caso gli uomini; da ciò cosa può essere più tremendamente oscuro che non un materialismo meccanicistico come quello che ho appena descritto? Lovecraft lo utilizza in una buona parte dei suoi scritti e precisamente dal momento che se ne ritorna a Providence, proveniente dalla trasferta fallimentare in quel di New York, e che vede la stesura de Il Richiamo di Cthulhu come spartiacque nella vita e nella filosofia di H.P.L.

Per quanto riguarda Albert Einstein, la frase, da più parti rimbalzata all’attenzione dei posteri, ossia “Dio non gioca a dadi…”, che prosegue con “…con l’universo”, fu pronunciata dal fisico naturalizzato americano in risposta ad una lettera inviatagli da un altro eminente scienziato che era Niels Bohr a proposito delle loro teorie riguardanti la fisica dei quanti. In questa risposta è sintetizzata tutta la conoscenza di Einstein come scienziato, perché il fatto che un dio non giochi a dadi significa che le teorie scientifiche non devono derivare da eventi casuali nemmeno quando si applicano alla fisica quantistica che era agli albori al tempo di Einstein. La fisica quantistica ebbe fra i suoi precursori proprio Einstein che intravide una trama logica e scientifica anche nel cambiamento di stato dei quanti quando questi vengono analizzati con la lente della fisica quantistica.

Quindi, letteratura e scienza corrono di pari passo nelle mani di due mostri sacri come Lovecraft ed Einstein che riescono a sorpassare ogni altra teoria grazie alle loro caratteristiche intrinseche provenienti dalla loro singolarità e che travalicano la mera scienza e la letteratura asettica.