Avere una madre che crede di essere una scimmia, quando si è piccoli, non è male. Durante la nostra infanzia ricordo che per essere felici bastava osservare l’espressione incuriosita e un po invidiosa degli altri bambini mentre facevano a gara per venire a casa nostra, perché lì la merenda non veniva servita in giardino bensì in cima a un albero e di banane se ne poteva mangiare a volontà. Espressioni scimmiesche, che io ricordi, la mamma ne ha sempre avute, piccole scene quotidiane per noi assolutamente normali, mai qualcosa che apparisse strano, tutto era gioco, divertimento e libertà. Nella vita però, si sa, le cose cambiano, così è successo che alcuni bambini, sicuramente influenzati da genitori benpensanti, si sono improvvisamente trasformati in giudici inflessibili.

Per me e mio fratello Jonas quello è stato l’inizio della gogna, sono apparse le prime scritte ingiuriose sui muri della scuola e alle feste di compleanno, un tempo affollatissime, si sono registrate le prime defezioni. Disorientato e incredulo ricordo di aver chiesto per la prima volta spiegazioni a mia madre, volevo sapere il senso di quel suo comportamento, che cosa la spingesse a guardare la tv accovacciata sul bracciolo della poltrona anziché sdraiata come tutti noi al centro del divano, perché mangiasse sempre e solo con le mani – lanciando a volte i resti del cibo in giro per la cucina – o ispezionasse giorno e notte le nostre teste alla ricerca – diceva lei – di insetti o gustose crosticine…

La risposta mi ha sorpreso. Secondo lei tutto era riconducibile a un sogno infantile nel quale lei bambina si ritrovava sull’argine di un maestoso fiume africano e c’era un piccolo chiosco adibito a bar con un gran via vai di gente e luci colorate appese qua e là e musica dal vivo. Al di fuori di quella radura solo foresta buia e versi di animali sconosciuti che curiosamente non incutevano in lei alcun timore, al contrario l’attiravano. Nel sogno lei riconosceva la presenza degli scimpanzè e sentiva che avrebbe subito voluto andare da loro, abbracciarli, conoscerli... Pressato dalle critiche e dai giudizi della gente ho cominciato, come figlio, a pormi nuove domande, diventando nel contempo ogni giorno più insofferente di fronte ai quotidiani show di mamma, sempre meno divertenti e sempre più inquietanti. Ma lei era mia madre! Come avrei potuto tradirla?

Purtroppo a causa delle sue bizzarrie, i miei genitori un po' alla volta hanno perso tutti gli amici - scomparsi senza dare spiegazioni – e sono rimasti soli e io e mio fratello Jonas abbiamo cominciato a incontrare i nostri compagni fuori di casa. Per la prima volta l’odore di bucce di frutta sparse sul pavimento – che era un tratto originale della nostra casa – ha cominciato a essere un problema. E mia madre, che evidentemente ha sentito che qualcosa in famiglia stava cambiando, ha cominciato ad isolarsi, rifugiandosi per lunghe ore nella casa sull’albero. Ma quella casa non doveva essere solo per noi bambini?

Il prof. Klapps, psichiatra di fama e amico d’infanzia di papà, dopo aver visitato la mamma ha detto che secondo lui si tratta di un disturbo della personalità con tratti schizoidi. L’ossessione per le scimmie, secondo lui, avrebbe avuto origine dalla precoce esposizione di mamma a una celebrazione invernale dello“ Schmutzli”, una specie di Wilder Mann presente nelle credenze delle genti di montagna, soprattutto in Canton Grigioni. Papà ha subito scosso la testa negativamente e rivolgendosi all’amico gli ha subito detto.. ascolta Franz tu conosci Jenny quanto me, è sempre stata un tipo originale, soprattutto una persona molto fisica, istintiva..oserei dire primordiale. In quanto all’ipotesi di un trauma causato da uno Schmutzli..sinceramente non mi sembra che lei soffra di ansie o abbia paura di qualcosa, sicuramente non delle scimmie per le quali anzi prova una vera fascinazione, al punto da volerle imitare…

Eh beh..beh.. ha borbottato il Klapps, l’emulazione potrebbe essere un modo per esorcizzare la paura inconscia, quando poi assume la forma ossessiva, come nel caso di Jenny, il rischio è che si cristallizzi, che diventi una vera e propria nevrosi con conseguenze invalidanti..e l’impossibilità di vivere una vita normale.. Ma c’è anche un’altra ipotesi. Ed è la possibilità che ci sia stato un rapporto incestuoso con il padre, che magari era un uomo grosso e peloso come c’erano nelle generazioni dei nostri genitori..questa potrebbe essere la ragione che spiegherebbe...Ma che incestuoso! Ma che peloso! Mio suocero era una pasta d’uomo e che io ricordi era glabro come un anguilla..ha risposto papà. Al che, quasi indispettito, il Klapps si è rivolto a mamma, che in quel momento era completamente assorta nei suoi pensieri e l’ha strattonata verbalmente dicendole... allora Jenny, non ti sei ancora stancata di arrampicarti sugli alberi? Guarda che qui siamo in Svizzera non in Africa!

Mia madre non se l’è fatto dire due volte, si è alzata di scatto dalla poltrona sulla quale era rimasta fino a quel momento rannicchiata in silenzio e come prima cosa ha scaraventato a terra lo schermo del computer per poi iniziare subito a sparpagliare convulsamente tutte le carte ben ordinate sul tavolo del dottore, urlando a più non posso. Io e papà ci siamo guardati e abbiamo cominciato a ridere, ridere, soprattutto vedendo il Klapps arretrare imbarazzato, forse addirittura impaurito, con il volto paonazzo. Meno male che mio padre ha avuto la sensibilità e la prontezza d’animo di prendere delicatamente per un braccio la mamma e dopo averle bisbigliato qualcosa nell’orecchio, l’ha convinta a tornare al suo posto. Lei però subito si è ribellata, rialzandosi di scatto e uscendo dallo studio lasciando la porta spalancata sulle facce sorprese della gente in sala di attesa.

Visibilmente sconvolto, il dott. Klapps, dopo essersi messo a posto i capelli, è crollato sulla sua sedia. Poi, rivolgendosi a mio padre ha detto..Peter, lo vedi anche tu quanto è disturbata, capisco che sia difficile accettare la realtà però credimi al giorno d’oggi per casi come questi esistono farmaci mirati molto efficaci...sono sicuro che con una bella terapia, magari combinata ad un periodo di riposo in clinica, Jenny possa ritornare ad avere una vita normale…

Non si può dire che l’esperienza della clinica abbia giovato granchè a mamma, anzi, le pasticche calmanti l’hanno resa un essere catatonico incapace di muoversi, con la perdita quasi totale della parola e pochi pensieri confusi. Le nostre visite nei weekend si sono trasformate in un vero supplizio, la mamma come uno zombi sdraiata nel letto o impegnata a camminare avanti e indietro nell’androne con l’aiuto di un deambulatore e noi intorno a lei a guardarci negli occhi ripensando con sincera nostalgia al passato. In quei giorni mi sono a lungo scervellato immaginando una possibile alternativa a quello strazio, chiedendomi quale potesse essere la dimensione di vita più giusta per la mamma.

Ho pensato a un viaggio lontano, ho pensato all’Africa fantasticando senza limiti, chissà da chi ho preso..aiuto! Poi mi sono subito ricreduto, spaventato...immaginando scenari drammatici. E se mamma decidesse improvvisamente di scappare, scomparendo? Sarei in grado di vivere con quel senso di colpa e di perdita? L’idea giusta alla fine è venuta a mio fratello Jonas che con il candore dei suoi dieci anni un giorno a tavola ha pronunciato la parola zoo e anche se al momento nessuno in famiglia ha collegato quel termine al destino di nostra madre, da qualche parte l’idea, come un seme, ha attecchito perché già dopo pochi giorni, per caso, ho intercettato una telefonata di papà al dottor Klapps nella quale l’ho sentito distintamente ripetere più volte la parola “zoo” e anche “idea geniale” e “esperimento all’avanguardia”. Era chiaro che stavano parlando di mamma.

Quale fosse esattamente il progetto, a noi figli, ci è stato comunicato solo una settimana dopo, una sera indimenticabile dove papà ha voluto farci la sorpresa ed è rincasato con mamma, primo giorno fuori dalla clinica dopo mesi. Vivrà per un periodo insieme agli scimpanzè dello zoo – ha annunciato papà con incredibile naturalezza - quasi ci stesse comunicando la sua intenzione di fare una vacanzina con mamma in Ticino, ma la cosa più bella era vedere la faccia raggiante di mamma che non stava più nella pelle, metteva e toglieva la sua mano dalla mano di papà e ci rassicurava con i suoi sguardi, cercando tutta la nostra approvazione.

Mi verrete a trovare vero? Ma certo ho risposto io di slancio cercando di farmi coraggio mentre Jonas si è messo a singhiozzare e papà subito a confortarlo, insomma avevamo così a lungo aborrito gli psichiatri, le cliniche e i tranquillanti e ora la vita ci sfidava con una soluzione tanto ardita e pazza da superare qualsiasi fantasia.

Così mamma all’inizio di aprile è stata formalmente accolta all’interno della grande gabbia al centro del padiglione 14, quello dedicato alle scimmie dove già da una decina d’anni esiste una comunità di scimpanzé. A parte due esemplari femmina e un maschio, gli altri 12 sono nati in cattività. Inutile dire che tutta la comunità scientifica della città è in fibrillazione a partire dal direttore dello zoo, il dott. Hans Vogel, che guarda con orgoglio e interesse a questo esperimento, è il caso di dirlo, unico al mondo.

La mamma, vestita con dei leggins neri e una maglietta bianca con la scritta “Be Yourself” ha trascorso la prima notte tranquilla, dormendo sola sopra a un pagliericcio – una delle notti più belle della mia vita - sembra abbia detto successivamente in una intervista – e già dalla seconda alcuni esemplari giovani di scimpanzè, presenti nella gabbia, l’hanno coccolata e accudita, offrendole cibo e facendola giocare. Nell’album dei ricordi di mamma c’è una foto storica di quei momenti, dove si vede lei abbracciata a tre cuccioli di scimpanzé, tutti beatamente addormentati. Inutile dire che all’inizio, seppure sull’onda dell’ entusiasmo e della novità, non è stato facile accettare il fatto di dover andare allo zoo per salutare la propria mamma, ma la gioia di vederla così felice e rilassata, intenta a giocare con le sue amiche scimmie davanti ad una platea permanente di bambini in delirio, ha fugato in ogni dubbio.

La mamma è diventata subito una vera star, il numero degli ingressi al giardino zoologico in pochi giorni è triplicato, il direttore Vogel ha cominciato a girare euforico tra i padiglioni dicendo a tutti che il progetto era stata una sua idea. E poi, da quando mamma ha cominciato a vivere allo zoo i compagni di scuola hanno ripreso a rispettarmi Ho sentito addirittura di qualcuno che millanta di essere stato a casa nostra anche se non è vero. Il telefono squilla incessantemente. Tra una settimana verrà da noi una troupe della televisione giapponese. La vita è veramente curiosa e imprevedibile. E mamma, senza dubbi, si gode la sua.
È uno spettacolo vedere come si è subito ben integrata, basta trascorrere qualche ora ad osservarla mentre aiuta le giovani madri nell’accudimento dei piccoli o gioca al lancio della frutta – questo l’ha sempre fatto anche con noi – addirittura sfida le scimmie a Memory.

Finito il periodo di prova di tre mesi il dott.Klapps è andato alla zoo a chiedere a mamma se e quando volesse interrompere l’esperienza e tornare a casa ma lei ha risposto no grazie e per noi è stata un po' dura, una cosa non proprio facile da accettare, soprattutto per mio padre che ha lasciato il lavoro e dopo essersi fatto regalare la carta oro con ingressi illimitati allo zoo trascorre lì le sue giornate, sperando segretamente di poter riabbracciare un giorno la mamma. Anche noi ragazzi sogniamo il giorno in cui tornerà a casa, nell’attesa abbiamo fatto piazza pulita in casa di mobili vecchi e oggettistica inutile e ispirati dalla ripetuta frequentazione dello zoo abbiamo creato al posto del salotto un giardino interno posizionando nel mezzo un castagno già grande.

Per fare ciò papà non ha esitato a far scoperchiare la casa e alzare il tetto – che ora è tutto vetrato - di alcuni metri, creando una grande serra. I vicini di casa che hanno seguito i lavori con apprensione sono assolutamente convinti che questo sia il preludio al ritorno a casa della mamma, io invece ho dei dubbi, perché bisogna riconoscerlo, allo zoo sta veramente bene. Mai vista così felice.

Notizia bomba! Mamma torna a casa! Ho parlato al telefono con papà, agitatissimo. Stamattina si era recato allo zoo, convocato dal direttore Vogel per una riunione straordinaria del direttivo. Credeva di ricevere i consueti complimenti per l’andamento dell’esperimento e invece, al posto degli allori, ha trovato un agguerrito gruppo di autorità cittadine sul piede di guerra. C’era il maggiore Bubeck, comandante della polizia, il borgomastro Meyer, addirittura il vescovo Brenner, tutti concordi nel voler allontanare al più presto Jenny dalla struttura. Alla riunione c’era anche il contabile Studer, il quale credeva di vincere la partita a mani basse calando subito l’asso con i dati finanziari per dimostrare, come la novità della presenza di Jenny abbia arricchito lo zoo.

Una certezza che ci permette di immaginare un futuro roseo – ha aggiunto. A dar man forte al ragionier Studer è intervenuto il dott. Klapps, presente non fisicamente ma in video conferenza, sottolineando l’interesse della comunità scientifica internazionale per il progetto e...Io me ne frego della scienza! Io ho a cuore il futuro dei nostri giovani ! ha urlato a quel punto il Borgomastro Meyer, interrompendo l’intervento del dott.Klapps e brandendo una copia di un quotidiano nazionale nel quale un articolo infiammato denunciava un fenomeno sempre più diffuso nelle scuole, ragazzi di tutte le età che rifiutano di sedersi sulle sedie e seguono le lezioni accucciati sui banchi, in certi casi addirittura aggrappati alle lavagne, e poi lancio di frutta durante l’intervallo, urla selvagge…

A sostenere l’anziano borgomastro si è aggiunto a quel punto il maggiore Bubeck, ricordando che tutti i recenti incidenti causati da ciclisti acrobati - ha detto – schiamazzi molesti di artisti circensi sui mezzi pubblici e indecorosa nudità nei parchi cittadini - sono da addebitare a persone che dicono di aver visto almeno una volta Jenny allo zoo. Non possiamo permettere – ha concluso aumentando l’espressione aggrottata del volto per essere più convincente – che il fenomeno si diffonda. Episodi di emulazione sono all’ordine del giorno. La città sembra già una giungla. Rischiamo il caos. Insomma alla fine hanno costretto il povero papà a firmare e la mamma il giorno dopo ha dovuto lasciare lo zoo.

Per noi della famiglia la notizia ha creato un’onda di emozione fortissima e paradossalmente la nascita di nuovi interrogativi: che ne sarà ora di lei? C’è da aspettarsi un crollo emotivo? Riuscirà a integrare l’esperienza irripetibile dello zoo con la vita normale? Non potrò mai dimenticare la sua faccia quando è entrata in casa. Scalza – da mesi completamente disabituata a indossare qualsiasi genere di calzatura – con i viso rubicondo, i capelli stile rasta, le mani scure, come affumicate. E, cosa curiosa, nessuna emozione, almeno apparentemente, o forse una si, alla vista dell’albero, inaspettato ospite in casa, che ha subito voluto abbracciare.

Certo che siamo felici ora di riaverla tra noi ma anche increduli, indecisi su cosa sia meglio, emozionati quasi la rivedessimo arrivare da un mondo lontano, con un bagaglio ricchissimo di racconti e non sulle scimmie, come ci si aspetterebbe, bensì sugli umani osservati stando dall’altra parte - migliaia di persone ogni giorno – individui increduli nel vedere uno di loro perfettamente a suo agio con delle scimmie, in quella dimensione naturale che la maggior parte di noi ha dimenticato o teme, certo non i bambini, pronti ad arrampicarsi e neppure certi anziani – lo si vede dai loro sguardi – che ricordano con lucidità l’audacia della gioventù, l’istinto a decidere le sorti dei giorni.. E la possibilità della comunicazione con gli sguardi, senza le parole. E il gioco, l’importanza del gioco. Quale importanza diamo al gioco nella nostra vita? Quante cose abbiamo perduto.

Passate le prime settimane di ri-ambientamento ecco giungere qualcosa di inaspettato: la mamma non fa più la scimmia o per meglio dire non si comporta più come l’abbiamo sempre vista e conosciuta, ora pela la frutta con coltello e forchetta - non lancia più mele e banane da una parte all’altra della cucina - indossa leziose scarpette con tanto di tacco, è stata dal parrucchiere almeno tre volte nell’ultimo mese, fa sfoggio di collane di resina colorata, insomma una Jenny mai vista prima, soprattutto una metamorfosi che nessuno avrebbe immaginato. E dovreste sentire i suoi discorsi mentre sorseggia composta il caffè con le sue amiche esterrefatte e noi con loro perché ora ha pensieri incredibilmente piani, i suoi discorsi non passano di palo in frasca come un tempo, si riferiscono alla vita reale.

Non l’ho mai sentita parlare tanto di noi e con orgoglio, dei nostri traguardi scolastici raggiunti, delle sue nostalgie per i tempi passati, le vacanze con noi piccoli, eh si anche di vacanze si parla ora, di viaggi, addirittura del desiderio di poter un giorno possedere una piccola casa – udite udite - ha detto casa lei, con la quale sempre e solo di campeggio e vita boschiva si poteva parlare. Una vera rivoluzione. Che ci pone di fronte a un nuovo paradosso, non sappiamo se la vogliamo veramente questa mamma così ordinaria, tutta per bene, capace di rimproverarci se non ci togliamo le scarpe prima di entrare in casa lei che per anni non si curava della differenza tra il salotto e il giardino, quella si per noi bambini era la dimensione ideale!L’unico che sembra perfettamente a suo agio con mamma e non si è mai lamentato è nostro padre.

Negli ultimi tempi sembra essere tornato ragazzo, si rade il viso tutti i giorni, porta strane camicie a fiori e medita seriamente di comprarsi una moto. Che sia convinto di avere una nuova donna a suo fianco? Di fronte ad un cambiamento radicale di tale portata quasi non si osa ricordare il passato, le volte in cui i discorsi tornano ai tempi dello zoo o addirittura prima, la mamma sorride elusivamente e cambia discorso.

Così è stato per molti anni, diciamo fino all’estate scorsa, quando una lettera di una misteriosa fondazione franco-congolese ha bruscamente interrotto il placido scorrere della nostra vita. A dire la verità si è trattato di una lettera molto garbata, piena di rispetto e misura, scritta da un gruppo di appassionati ricercatori totalmente dedicati agli scimpanzè e alla loro tutela. Perchè abbiamo scoperto solo da poco quanto questa specie di primati sia attualmente in pericolo e quante persone si dedichino alla protezione di questi adorabili creature. Nella lettera si menziona anche la risonanza avuta nel mondo dell’esperimento di mamma allo zoo e quanto questa abbia aiutato a far crescere la consapevolezza delle persone. A conclusione, insieme ai saluti, un invito a visitare presto la struttura e due biglietti per Kinshasa con la speranza di una collaborazione futura.

La prima reazione è stata di incredulità. Abbiamo anche pensato a uno scherzo. In realtà in passato era già successo che associazioni ambientaliste, gruppi di ricercatori e singoli studiosi avessero scritto a mamma nella speranza di poterla invitare a congressi o a presentazioni di libri. Lei però si è sempre negata elegantemente. Questa volta invece, forse perché la lettera è giunta in un momento particolare, dopo anni di silenzio e distacco da quei formidabili mesi trascorsi allo zoo, la missiva ha mosso qualcosa di profondo. A riprova di ciò bastava udire i discorsi dei miei genitori, l’ipotesi di prendere seriamente in considerazione quello che mia padre ha definito “un fulmine a ciel sereno” e partire.

Bisogna tener conto che i miei genitori viaggi lunghi alla fine, nella vita, non ne hanno mai fatti, forse il tragitto più lungo una volta fino a Milano altrimenti mai fuori dalla Svizzera, in più l’età, insomma la prospettiva di volare fino nel cuore dell’Africa si preannunciava per nulla scontata.

Nonostante ciò, nei giorni che sono seguiti all’arrivo della lettera, io ho colto qualcosa che mi ha fatto capire che quel viaggio si sarebbe realizzato, ho visto mamma ridere e lanciare un pezzo di mela a mio padre, un gesto che a casa nostra, dopo il suo ritorno dallo zoo, non si era più visto. Perciò da quel momento la mia disposizione d’animo è cambiata e ho cominciato a godere ogni attimo di quei febbrili preparativi, cogliendo nello sguardo dei miei genitori, soprattutto di mamma, la fiamma della vita che si rinnovava.

Il 9 settembre li ho accompagnati all’aeroporto, belli i miei vecchi in completo kaki stile guardia parco safari, mio padre solo con uno zainetto tattico e l’immancabile coltellino rosso, mia madre con un improbabile valigia metallizzata con rotelle, prima di partire ci hanno chiesto cosa avremmo voluto dall’Africa, al che Jonas ha detto un tamburo mentre io dentro di me ho subito pensato vorrei indietro la mamma di un tempo, sì, quello era il mio desiderio più grande.. la mia voce invece ha detto portatemi delle lattine di birra per la mia collezione e ho sentito una fitta all’altezza del cuore così nell’abbracciarla mi sono ritrovato dolorante e impacciato e ancora oggi mi chiedo quanto più coraggioso e semplice sarebbe stato dire la verità.

Trascorsa quasi una settimana, durante la quale papà ha mandato solo due brevi messaggi ecco giungere una mail:

Adorati figli miei,
vi scrivo da Babunda, un remoto villaggio del nord del Congo dove ho trovato un container con l’aria condizionata e wifi. Mi dispiace di non essere riuscito a comunicare con voi prima ma il viaggio, a parte i primi due giorni nella capitale, ci ha portati in zone totalmente sprovviste di copertura. Fa impressione ritrovarsi in luoghi dove la nostra tecnologia diventa improvvisamente superflua. Il terzo giorno di viaggio ci siamo spostati verso nord sorvolando per ore con un minuscolo aereo una zona di giungla grande come tutta la Svizzera. Potete immaginarla? Atterrati in una località che si chiama Epulu abbiamo poi viaggiato con un land rover per 6 ore prima di raggiungere la nostra destinazione. Nel quartier generale della fondazione ci hanno accolti come vecchi amici, ci lavorano in tanti, tutti sorridenti, quasi tutti congolesi, molti francesi e uno svizzero che ci ha chiesto se avevamo portato la raclette...

Con le temperature che ci sono qui non servirebbe neppure accendere il fornelli. Il giorno successivo abbiamo visitato il centro dove attualmente ci sono 44 esemplari di scimpanzè, alcuni anche molto anziani, sarà che anch’io comincio ad ingrigire, ma li ho subito sentiti particolarmente vicini. Lo so, lo so cosa volete sapere: l’incontro di mamma con i suoi amati, beh..che dire.. Decisamente toccante ma anche sereno, molto naturale, baci e abbracci, sembrava la Jenny di una volta. Un giovane scimpanzè un giorno ha rubato la valigia di mamma e in un attimo tutta la sua biancheria intima era distribuita tra i rami della foresta. Lei però non si è scomposta. Mi chiedo se sia stato un modo per eliminare in un colpo il superfluo. Fatto sta che poi non aveva nulla con cui cambiarsi, ma conoscete vostra madre...

Ma c’è una cosa importante che vi devo raccontare e credetemi, non è facile da dire. Ieri sera i ragazzi del team del campo hanno deciso di festeggiare e ci hanno proposto di spostarci qualche chilometro più a nord dove hanno da poco aperto un locale, più che altro una baracca, ma hanno assicurato con ottima birra fresca e Mabokè – pesce di fiume arrostito e servito in foglie di banano – cucinato come da nessun altra parte in Congo. In più musica dal vivo, ma...Dove prendono la corrente? Sento la tua domanda Jonas… sai? E ti rispondo subito: usano i generatori a gasolio, è l’unico modo.

Siamo arrivati verso il tardo pomeriggio, c’era una bellissima atmosfera di festa, donne con abiti variopinti e tanti bambini che approfittavano del fiume vicino per farsi un bagno. Marcel, il direttore della fondazione ci è venuto incontro abbracciandoci. Questa è la vera Africa – ha detto – l’Africa che amo. Qui sono tutti fratelli. Ci incontriamo una volta al mese, sempre in questo posto. Voi qui siete più che benvenuti.

Tanta gente che si salutava e rideva gioiosa, un uomo ha cominciato a suonare la chitarra e a cantare e la melodia ha creato una base per una voce, poi un’altra e un’altra ancora. C’erano anche tamburi di varie fogge e sonagli, un tessuto sonoro incessante e ipnotico che ha cominciato a fondersi con le voci dei presenti. La mamma, al suono di quella musica, ha voluto subito danzare, era scatenata, sembrava essere tornata ragazza. Più di una volta l’ho persa di vista fino a spaventarmi, ma lei fortunatamente ricompariva sempre, ancora più accaldata, spettinata e felice. Una volta mi ha abbracciato e ha esclamato ad alta voce ti amo Peter! che fortuna averti incontrato!

Dalla parte del fiume, a una decina di metri da noi, giungevano intanto voci e profumi di cibo cucinato sulla brace. All’improvviso è giunto il tramonto, come una fiammata e come succede da queste parti in pochi minuti è calato il buio. Lungo la grondaia rudimentale del chiosco qualcuno ha acceso delle piccole luci colorate e mi siete venuti in mente ancora voi due, quando arriva il tempo di fare l’albero di natale e apriamo le scatole con gli addobbi. Strano pensare al natale a queste latitudini, sembra di parlare di Marte!

A quel punto, inaspettato, c’è stato un black-out, un guasto al generatore o la fine del gasolio, chissà…È calato un buio impenetrabile su tutta la scena e per la sorpresa anche i musicisti hanno smesso di suonare. Istintivamente mi sono preoccupato e ho cercato mamma che era accanto a me fino a un secondo prima.

Non l’ho trovata. Nonostante l’oscurità ho scorto la sua testa chiara e ricciuta in mezzo alla gente, l’ho chiamata, non mi ha risposto. Ho deciso di inseguirla. In un attimo eravamo fuori, nella radura, sotto un cielo immenso, tappezzato di stelle. Eccola! Un timido spicchio di luna nascente rischiarava appena la sua figura già lontana. Mi sono messo a correre con il cuore in gola, quando l’ho quasi raggiunta ho visto che era circondata da alcune piccole sagome scure in movimento. Erano scimpanzè.

Allora l’ho chiamata ancora una volta, ho urlato Jenny con voce disperata...lei a quel punto si è girata per un attimo e mi ha detto lasciami, lasciami andare, ed è corsa via, senza voltarsi, mentre io, come paralizzato, ho continuato a balbettare il suo nome. Un attimo dopo il frastuono degli animali nella giungla ha coperto definitivamente la mia voce.

Ricordate vostra madre per sempre così, libera e felice. Siate orgogliosi di lei.
Vi abbraccio con amore.
Il vostro papà