Essere profondamente amato da qualcuno ti da forza,
mentre amare profondamente qualcuno ti da coraggio.

(Lao-Tzu)

Peng suona molto cinese, in realtà è svizzero. Nel villaggio di Prà, nel Canton Svizzero dei Grigioni, sono in molti ad avere questo cognome che deriva da Bain (dal latino Benignus) e vuol dire buono. E buone erano sicuramente le intenzioni di Otto Peng, quando, proprio a Prà, creò la sua prima officina meccanica specializzata in otturatori per fucile. Era il 1903, da lì a pochi anni in Europa sarebbe divampata la prima guerra mondiale e Otto Peng, previdente, ingrandì il suo capannone acquistò nuovi macchinari e raddoppiò la produzione. Il periodo del dopoguerra non fu meno dinamico, Peng infatti lo sfruttò per progettare e testare nuovi accessori bellici così, quando poi scoppiò la seconda guerra mondiale, quella che un tempo era stata una piccola officina divenne ben presto una delle aziende leader nel campo degli armamenti.

Al vecchio Otto era intanto subentrato in figlio Markus, orgoglio del padre. Dietrich Peng, per gli amici Didi, è invece l’ultimo nato, ha preso il posto di suo padre Markus, scomparso tragicamente con la moglie in un incidente aereo sulle Alpi. Degli anni storici del padre e del nonno restano oggi molti ricordi e alcune foto appese in ufficio dove si vedono i due Peng senior in compagnia dei potenti della terra. Una in particolare è molto cara a Didi; nell’immagine si vede il padre sorridere in compagnia di Mao Tse-tung mentre presenziano insieme alla parata di armamenti nel giorno della festa della Rivoluzione a Pechino. Lontani sono i tempi in cui Didi veniva bullizzato in collegio e chiamato “il cinese”. Ora i cinesi, quelli veri, grazie anche a quel cognome che esiste anche in Cina, sono i maggiori clienti della Peng GTD International, moderna fabbrica di armi e componenti ad uso bellico di Prà. Per star dietro agli ordini in costante aumento, Didi Peng si è visto costretto recentemente a triplicare i turni di lavoro e ad assumere trenta lavoratori nuovi, un segno positivo in tempi di crisi, ha commentato il sindaco del paese, Mario Coretti.

Didi non ha mai amato particolarmente il suo lavoro, ma non l’ha neppure disdegnato, conscio dei benefici che esso gli ha procurato. Tutte le volte però che è riuscito a liberarsi dai suoi impegni ha preso la sua Porsche e ha raggiunto il suo chalet situato su un alpeggio a ridosso di San Moritz. Quello è sempre stato il suo vero rifugio. Quanto amava la pace di quel luogo, passeggiare nei boschi di larici tutto solo, leggere ad alta voce libri di filosofia orientale davanti al fuoco, chiacchierare con gli anziani montanari. Un tempo c’era stato un altro Didi, completamente diverso, che amava fare le cose che fanno quelli del suo mondo, giocare a golf, trascorrere i weekend a Dubai, collezionare auto d’epoca o andare fuori a cena a caccia di ristoranti pluristellati.

Aveva molti amici, Didi, persone che lo amavano e apprezzavano quel suo modo gigionesco di comportarsi, così in contrasto con la sua professione. Nel corso degli anni si erano avvicendate al suo fianco numerose donne, tra queste alcune scalatrici sociali, molte modelle alla ricerca di follower e due o tre scapestrate di buona famiglia. Solo con una c’era stato, almeno in nuce, un progetto famigliare; lei si chiamava Giada, il padre Jon-Chin era presidente di un colosso cinese dell’e-commerce. Con Giada Didi si era ritrovato per la prima volta a parlare di figli e quel tema, a lungo considerato tabù, gli aveva riscaldato il cuore. Poi però lei aveva cominciato a essere ossessiva con certe idee di alimentazione vegana, voleva che lui rinunciasse ai suoi wurst affumicati e alle uova con speck che per Didi rimanevano “il modo migliore per affrontare con grinta la giornata”, così alla fine i due avevano preso a incistarsi su questioni etico-mangerecce, cominciando a discutere e a litigare al punto che l’armonia e i bei progetti erano svaporati via e loro si erano persi.

Quell’esperienza però non era stata vana, lo sguardo di Didi dopo di essa si era come allargato, il fervore creativo di una possibile paternità gli era rimasto dentro come qualcosa di prezioso rimasto inespresso. Aveva capito per la prima volta che nella vita c’era altro, che oltre al lavoro potevano esistere nuove priorità, non sapeva ancora bene come mettere a fuoco la sua esistenza ma guardava al futuro con fiducia. Da allora Didi era proprio cambiato, si era fatto più riservato, sempre garbato con tutti ma con uno sguardo nuovo verso i sentimenti degli altri e una attenzione particolare per le piccole cose della vita. Non era forse quindi stato un caso che durante una delle sue fughe in montagna egli avesse guardato con interesse un trenino (due vagoni, locomotore compreso) che dal fondo valle porta i turisti fino al ghiacciaio in alta quota.

Da quanto tempo non era più salito a bordo di quel treno? Se le ricordava le volte in cui, con grande emozione aveva viaggiato col padre a bordo di quei piccoli vagoni rossi che sfrecciavano sospesi lungo linee che parevano tracciate da una mano invisibile sopra a un foglio candido. La visione di quel treno in miniatura ebbe l’effetto di una folgorazione. Ora sì che aveva una traccia certa da seguire, non sapeva ancora dove quell’ idea di treno l’avrebbe portato ma sentiva che era quella giusta. Tutto eccitato, aveva trascorso il pomeriggio nel bosco, poi era tornato allo chalet e aveva acceso un grande fuoco nel camino, mettendosi subito a sfogliare febbrilmente i suoi libri più cari. Per la prima volta nella sua vita si era anche seduto a un tavolo a disegnare, un impulso incontrollato aveva guidato la sua mano, linee e forme si erano mescolate ad appunti precedentemente tracciati, tutto quello che faceva gli era familiare e al tempo era nuovo. Tutto era importante. E necessario.

Trascorse la notte in piedi e quando venne l’alba, senza attendere oltre, chiamò il ragionier Mauer, storico collaboratore del padre nell’azienda, per esporgli il suo progetto: avrebbero cercato una tratta ferroviaria poco utilizzata in territorio svizzero e poi un treno e con il treno avrebbero tentato l’esperimento. Quale esperimento? Aveva chiesto incuriosito il Maurer, pur abituato alle idee creative del suo giovane capo. Peng, rapito dalla sua visione, aveva parlato come se il mondo intero già conoscesse le sue intenzioni. L’idea in fondo era semplice; trovato il treno, si sarebbero posizionati, a giorni alterni, delle belle edizioni di libri di autori scelti, inserendo in ogni copia una banconota da 1000 franchi. Mauer aveva ascoltato senza commentare come era in suo stile – che bella trovata di marketing, aveva pensato, un po' moderna per i suoi gusti ma di sicuro interesse. Si informò su alcuni dettagli, risolse mentalmente alcune questioni logistiche ma ricordò a Peng che la sua presenza in ufficio era necessaria perché c’erano dieci container di merce in partenza per il Qatar e mancava la sua firma.

I nostri clienti ogni tanto potrebbero aspettare! Aveva risposto Peng con un piglio deciso che Maurer faticò a riconoscere. Nel frattempo era sceso in cucina e mentre ascoltava Didi Peng e il suo fiume di parole teneva d’occhio la macchina del caffè mentre sbuffava sul piano cottura. Dopo il primo sorso di caffè caldo si fece coraggio e con fare pacato chiese a Didi quale fosse il vero scopo del progetto e quanto tempo sarebbe durato. – Ma che ne so! aveva risposto Peng irritato, so solo che voglio iniziare e questo basta.
Maurer non si lasciò impressionare e proseguì con la lettura dell’agenda settimanale: – L’ingegnere Rokoff arriva oggi pomeriggio per quei puntatori per missili. Eravamo d’accordo che l’avremmo accolto insieme alle 14 di oggi all’aeroporto di Zurigo, cosa facciamo con lui?
– Mandi Hackermann!

– Ma Hackermann non è al corrente della commessa R14, sarebbe imbarazzante se…
– Lo chiamo io, lei Mauer gli mandi immediatamente i file con i disegni e i dati, che si svegli quel Hackermann, se vuole fare carriera deve mostrarsi elastico, il dinamismo non basta. Ora lo chiamo io. – Ma sono le 5,22 dott. Peng.
– Ah, già. Non stavo guardando l’ora. Allora mi raccomando Mauer, mi prepari almeno quattro opzioni, la zona può essere Cantone Zurigo o Cantone Basilea quello non mi interessa, importante che abbia le caratteristiche che le ho detto...tutto chiaro?
– Tutto chiaro dott. Peng, le auguro una bella giornata.
– Anche a lei Maurer. Mi saluti la sua signora.
– Sarà fatto, grazie.
– Grazie a lei.

Fu così che venne individuata una tratta ferroviaria poco battuta – a rischio di soppressione, avevano detto quelli delle ferrovie federali – una manciata di chilometri che dividevano il sonnacchioso villaggio di Hinterfingen dalla dinamica città di Zurigo. Il 24 settembre del 2024 sul treno delle 6:29, alcuni collaboratori di Peng, all’insaputa della gente, piazzarono i primi dieci libri contenenti ognuno 1000 franchi in contanti. Già alla stazione successiva tutte le copie erano sparite. L’esperimento venne ripetuto due giorni dopo ma sul treno delle 7:29, sempre dieci libri e sempre 1000 franchi in ognuno di essi. Da allora si decise di proseguire a giorni alterni, sempre con lo stesso treno del mattino.

Il primo che notò che c’era qualcosa di strano fu Burak, il proprietario turco del chiosco di kebab già da anni presente in stazione. Per qualche ragione, che però non sapeva spiegarsi, in stazione al mattino c’era più gente, molta più gente. Per questo la carne che normalmente bastava per una settimana si esauriva in pochi giorni. Erano anni che stava lì il vecchio Burak, ormai conosceva personalmente quasi tutti i viaggiatori di quella stazione, era strano ritrovarsi all’improvviso circondato da una moltitudine di gente sconosciuta. Anche il parcheggio della stazione, normalmente semi vuoto, nel giro di qualche settimana aveva preso a riempirsi oltre la sua capienza. Il sergente Brunner, capo della stazione di polizia locale, era stato più pratico e aveva dato immediatamente l’ordine di triplicare le contravvenzioni.

Dopo un mese circa dall’inizio dell’esperimento di Peng e più di dieci treni attrezzati con libri e denaro contante, la voce si era sparsa e fu chiaro che a Hinterfingen stava succedendo qualcosa di speciale. Nel frattempo il turco Burak aveva chiamato rinforzi a Istanbul e il chiosco del kebab si era raddoppiato grazie all’aiuto del fratello e dei suoi due figli. Il mese successivo la storia del treno di Hinterfingen apparve sui giornali – senza fare menzione dell’autore del progetto che rimase per sua volontà segreto – non passò molto tempo e i prezzi delle case intorno alla stazione cominciarono a lievitare e insegne di futuri progetti immobiliari fecero la loro comparsa in tutta la zona. Didi Peng nel frattempo, tra una commessa di 80.000 innescatori automatici per mine antiuomo diretti in Pakistan e la richiesta di 200.00 puntatori digitali per droni da parte della Germania, non smise un attimo di pensare al progetto del trenino di Hinterfingen.

Tra tutte le notizie apparse sui giornali locali e nazionali gli cadde l’occhio su di una intervista fatta al responsabile del centro di raccolta di eco-rifiuti di Hinterfingen, tal Muller, il quale asseriva con sicurezza che nessuno dei libri trovati sui treni del mattino era finito nel container della raccolta della carta. Notizie del genere rallegravano parecchio Didi Peng, perché voleva dire che al di là dei soldi, i libri erano rimasti in circolo, forse addirittura letti e apprezzati, certo si trattava di una goccia d’acqua nell’Oceano ma sentiva che era la direzione giusta. Il mese successivo fece in modo che nei libri distribuiti i passeggeri trovassero 2000 franchi anziché 1000.

Venne l’inverno e il freddo non influì minimamente sulla crescente affluenza di pubblico nella piccola stazione di Hinterfingen. L’edificio centrale, a lungo abbandonato, era stato prontamente ristrutturato e oltre al kebab del turco ora c’era un caffè e un piccolo supermercato aperto h24. Le ferrovie federali anziché sopprimere la linea avevano deciso di rinnovarla programmando un cantiere di lavori da iniziare al più tardi in primavera. Viaggiare col treno del mattino – quello equipaggiato con libri e contanti – era diventato una specie di happening, era trendy, la gente sul treno si conosceva, cantava e godeva di quella insperata fortuna. Moltissime nuove coppie nacquero a Hinterfingen in quei mesi.

Tutto pareva andare alla grande invece il 12 marzo il trenino di Peng venne bloccato da un sit-in di protesta di manifestanti pacifisti. Qualcuno, evidentemente una talpa all’interno dell’azienda, aveva spifferato alla stampa il nome di Peng – nome noto in tutto il paese per i suoi affari con le armi – indicandolo come deus ex machina di tutta quella storia e il movimento pacifista sempre attivo nel paese, aveva deciso di passare all’azione. Lo scontro fu frontale ma anche surreale perché da una parte c’erano persone che andavano a lavorare, sfruttando l’opportunità di arrotondare i loro stipendi e magari pure arricchire la biblioteca di casa e dall’altra c’erano persone molto simili a loro che protestavano contro quel treno ritenendolo pieno di denaro sporco di sangue innocente.

Treno fermo in aperta campagna, urla e strepiti da entrambe le parti, poi ecco l’intervento della polizia per bloccare i più facinorosi. Alla fine un colpo di scena degno delle migliori commedie: un gruppo di pacifisti arrabbiati riconosce tra i passeggeri del treno Franz Kohl, esponente di spicco della sinistra negli anni 80. Ma che ci faceva Franz Kohl su quel treno? Ci ha pensato lui stesso a rispondere: la globalizzazione ha eroso le pensioni, faccio quello che fanno tutti, approfitto di ogni occasione per integrare la mia magra pensione di parlamentare. Non pago, forse anche grazie alla sua lunga esperienza di arringatore di folle, Kohl ad un certo punto ha alzato la voce e ha cominciato ad aizzare i passeggeri del treno contro i giovani manifestanti i quali, colti di sorpresa e impauriti, hanno mollato striscioni e megafoni e se la sono data a gambe prima di venire identificati dalla polizia.

La notizia degli incidenti ha avuto una immediata risonanza nazionale, opinionisti e politici si sono confrontati per alcuni giorni sull’argomento, Didi Peng amareggiato e triste ha deciso di interrompere immediatamente il progetto. Appena è giunta voce che sui treni non c’era più traccia di libri e tanto meno di denaro sul villaggio di Hinterfingen è calata un’ombra livida, carica di tristezza. Per alcuni giorni però tutto è sembrato andare avanti come prima, la stazione era affollata come sempre, la gente rideva e scherzava forse per farsi coraggio ed esorcizzare la paura che la magia delle settimane passate potesse non tornare mai più. Sulle case intanto sono comparsi i primi cartelli vendesi e l’indotto nato sulla scia di quella curiosa iniziativa ha cominciato a sciogliersi come neve al sole nel giro di pochi mesi.

Nella primavera del 2025 Didi Peng torna alla carica con una nuova idea. In realtà il merito pare sia stato tutto del fido ragionier Maurer stanco di vedere il brillante imprenditore apatico e demotivato. C’era stato un tempo in cui un ordine di materiale bellico dall’Africa avrebbe fatto Didi felice per giorni, oggi non era più così. Eppure i conflitti armati nel mondo proliferavano e lo stand della ditta Peng all’ultima fiera delle armi di Norimberga era stato il più visitato di tutti. Motivi di soddisfazione quindi, a ben guardare, non mancavano. Non per Didi che passava le sue giornate chiuso nel suo ufficio. Era stato il Maurer a risollevarlo, proponendogli di rimettersi in gioco con una nuova versione del trenino e Didi non se l’era fatto ripetere due volte.

Il 12 giugno infatti, sempre dalla stazione di Hinterfingen è partita la nuova versione del treno, questa volta in orario serale e solo con un numero limitato di libri e senza traccia di contante. Questa forse la grande novità, una scelta a lungo meditata così come il soggetto dei libri, principalmente l’Amore e l’Amicizia. Con l’aiuto dell’amico Hans Herzich, suo compagno di collegio oggi a capo di una importante casa editrice, Didi ha fatto stampare una preziosa edizione dei classici della letteratura sentimentale ad uso esclusivo del suo progetto. Didi oggi è convinto che la prima versione del progetto non sia stata sbagliata, almeno non in senso assoluto, ma che sia servita a fare da apri pista, da rompi ghiaccio. Ora si trattava di affinarla, di completarla. La scelta di non mettere più denaro dentro i libri lo avrebbe inoltre protetto da qualsiasi illazione e protesta.

Il primo trenino parte alle 19:29 con una bella edizione de Le affinità elettive di Goethe, poi alla sera del giorno successivo, sempre allo stesso orario è il turno di Hermann Hesse con il suo Narciso e Boccadoro. Seguono Jane Austen, Tolstoij le sorelle Brontë e l’immancabile Flaubert. La risposta del pubblico è immediata e positiva. Anche i reduci della prima versione del trenino, inizialmente delusi, tornano in gran numero, felici di far parte di un nuovo progetto.

Così la stazione di Hinterfingen riprende ad animarsi e questa volta in un momento diverso della giornata. Una famosa ditta di artigiani cioccolatai ha rilevato il negozio di kebab del vecchio Burak e lo ha trasformato in una elegante caffè. Nella vetrina sono comparsi piccoli biscotti a forma di cuore e romantiche confezioni di cioccolatini. Tra le novità in stazione anche un fiorista e una boutique di moda con lingerie e ultime tendenze di intimo femminile. Il mondo imprenditoriale in campo edilizio non si è fatto attendere tornando alla carica offrendo moderni monolocali con rifiniture di pregio e un ambizioso progetto per un centro benessere che nelle intenzioni andrebbe a occupare tutta la collina alle spalle del villaggio. Un progetto che l’amministrazione locale ha definito subito molto interessante.

Peng anche questa volta ha seguito con curiosità l’evoluzione della sua “nuova creatura” e forte del crescente successo dell’iniziativa, il giorno che è stato invitato in televisione per un confronto con opinionisti e politici sul tema dell’educazione ai sentimenti, ha accettato di slancio sorprendendo tutti i partecipanti con la sua fine cultura letteraria e tante idee innovative in campo educativo. Nel frattempo la tratta ferroviaria Hinterfingen/Zurigo è diventata un incandescente luogo di incontri, autori di grido hanno cominciato ad organizzare reading spontanei, sono fioccati gli articoli sui magazine internazionali, addirittura una troupe della televisione giapponese è venuta apposta per capire il fenomeno filmando e intervistando i passeggeri per alcuni giorni. Il villaggio di Hinterfingen oggi è conosciuto come il villaggio dell’amore.

Risollevatosi psicologicamente, Didi Peng ha ripreso così di slancio la sua attività lavorativa, gli impegni sono sempre tanti e così le responsabilità. Oggi Didi viaggia tantissimo, invitato e corteggiato da politici e affaristi, ora grazie alla storia del treno anche da star del jet set internazionale senza dimenticare il sindaco di Hinterfingen che recentemente gli ha voluto conferire la più alta onorificenza del suo paese, la chiave della città.

È successo proprio in occasione di quella serata a Hinterfingen – Didi non vi era mai stato prima di allora – che il sindaco, dopo averlo elogiato con parole altisonanti, gli ha sparato una domanda a bruciapelo chiedendogli: – Ma lei, dott. Peng, sul trenino dell’amore c’è mai stato?
Quella domanda così semplice e diretta aveva colto di sorpresa il buon Didi creandogli un forte imbarazzo e facendogli sentire in profondità quanto lui effettivamente fosse solo. Perchè non era mai salito su quel treno? Qual era la vera ragione? Non lo sapeva. Avrebbe potuto giustificarsi adducendo la perenne mancanza di tempo ma non era quella la ragione. Allora col pensiero si era spinto lontano e dentro di sé, in profondità aveva percepito qualcosa che visualizzato assomigliava ad un bastione fortificato. Impressionato ne aveva parlato anche col Mauer in macchina, tornando a casa. Il vecchio ragioniere lo aveva osservato con fare bonario e poi aveva sorriso ma Didi quella volta non aveva risposto a quel sorriso preferendo rimanere chiuso dentro di sé, in silenzio.

Ci vollero ancora diversi mesi prima che Didi salisse su quel treno, lo scenario politico internazionale in perenne trasformazione imponeva a quelli come lui una presenza assidua e regolare in azienda, solo di rado ormai, Didi si concedeva le fughe in montagna. Ma il 4 di luglio, giorno del suo compleanno, volle farsi un regalo ed elegantemente vestito si presentò al binario 1 della stazione di Hinterfingen. Non volle neppure indossare gli occhiali da sole, non temeva di venire riconosciuto. Appena salito a bordo del treno, costituito da due semplici vagoni più la motrice, rimase sorpreso dall’atmosfera pacifica e accogliente. Sedute in diversi punti del vagone vide alcune coppie intente a leggere, nella parte sinistra in fondo notò invece un gruppo più folto di persone, una di queste leggeva ad alta voce gli altri schiamazzavano prendendolo in giro.

Prese posto in un lato ancora libero ma un secondo prima che il treno partisse salì al volo una coppia tutta accaldata. I due si sedettero proprio di fronte a lui. Il giovane uomo afferrò uno dei libri appoggiati e lesse ad alta voce il titolo: Madame Bovary, Gustave Flaubert! La donna invece rimase per un attimo a fissare Didi e poi, quasi ne avesse percepita la timidezza, chiese: – È la prima volta, vero? – Didi, preso alla sprovvista dall’immediatezza della donna non aveva risposto cercando di cavarsela con un sorriso, poi si era lasciato andare dicendo sì, era la prima volta. Ne nacque una breve conversazione assai piacevole e Didi godette molto nel poter partecipare in prima persona allo spirito del suo progetto e senza rivelare la sua identità parlò di alcune sue letture, anzi anticipò alcuni passaggi salienti del libro di Flaubert e i due giovani apprezzarono molto quella piccola lezione informale.

Alla prima fermata (la tratta fino a Zurigo ne prevedeva tre) salirono altre persone ma questa volta parvero single, infatti si distribuirono lungo tutto il vagone distanziandosi, afferrando ognuna un libro mettendosi a leggere, altri rimanendo composti e guardinghi, in osservazione. La coppia di fronte a Didi si era messa nel frattempo a leggere Flaubert, la donna aveva appoggiato la sua testa sulla spalla dell’uomo e di tanto in tanto chiudeva gli occhi, assorta, in ascolto. Alla seconda fermata Didi approfittò della calorosa confusione causata dall’arrivo di nuove persone per cambiare posto non prima di essersi congedato dalla coppia che già si era abbandonata alle prime effusioni. La nuova postazione era completamente diversa, davanti a lui c’era un compassato signore di mezza età che, visto Didi arrivare, aveva smesso di leggere e si era messo a guardare fuori dal finestrino non disdegnando ogni tanto un’occhiata di sottecchi al nuovo arrivato. Ma dal suo posto Didi poteva osservare anche il gruppo al suo fianco, un gruppo davvero eterogeneo, un giovane spilungone di chiara origine africana cercava di convincere gli altri di aver letto Flaubert da bambino in lingua originale.

Accanto a lui c’era una donna molto robusta, vestita di rosa e con un seno prominente che non passava inosservato – anche il signore di mezza età, quello di fronte a Didi, l’aveva intercettato e non sembrava volerlo perdere di vista. Vicino alla donna c’era una coppia punk tutta piercing e catene che cercava di vendere ai passeggeri presenti i libri dei viaggi precedenti, insomma una umanità varia alla vista della quale Didi non poté fare altro che commuoversi. Alla terza fermata era salita ancora più gente ma si capiva che non tutti erano interessati ai libri, sembravano più curiosi che altro, c’era qualche turista ma soprattutto pendolari di ritorno a casa. Fu durante uno di quei momenti durante i quali Didi era impegnato ad osservare i passeggeri, che notò una donna sola, seduta in fondo al vagone. Lei pareva veramente immersa nella lettura. Una forza misteriosa lo fece alzare dal suo posto e prima ancora che potesse sottrarsi lo spinse a sedersi proprio di fronte a lei.

Stupito e imbarazzato per quella che lui diversamente avrebbe considerato una invasione, aveva abbassato lo sguardo e tentato di scusarsi balbettando qualcosa ma la donna non aveva alzato gli occhi dal libro. Allora Didi, sempre più agitato si era ricordato di una pratica di respirazione indiana da usare in momenti di stress, così aveva iniziato a soffiare rumorosamente con la bocca, inspirando subito dopo col naso. La donna a quel punto aveva interrotto la lettura e l’aveva guardato e lui aveva potuto finalmente ammirarne i lineamenti fini, gli occhi asiatici scuri e vivaci sormontati da due sopracciglia sottili finemente disegnate. Didi temette per un momento che la donna potesse sentire il battito del suo cuore impazzito. Fece allora qualcosa che normalmente non avrebbe mai fatto, si fece avanti per primo e chiese alla donna come trovasse il libro di Flaubert.

La donna parve apprezzare il suo slancio e rispose con prontezza, quasi sapesse che il suo interlocutore prima o poi l’avrebbe interpellata.
– Preferisco L’educazione sentimentale. E certi suoi racconti brevi.
– Come la storia di Lulù? – Aveva ribattuto Didi, già colmo di gioia per quell’inizio di scambio tra loro.
– Beh, quello è un po' triste, anzi direi straziante, però Flaubert resta un maestro.
– È la prima volta che prende questo treno? – Ora Didi non aveva più paura di niente.
– Sì, è la prima volta. Me ne ha parlato un’amica, non lo conoscevo. È bellissimo, anzi aggiungerei poetico. E lei signor... signor...?
– Peng, Didi Peng.

– Ma no, posso chiederle come mai ha un cognome cinese?
– Sembra cinese, invece è grigionese. Lei conosce il Canton Grigioni, vero? Signora… signora…
– Ping, mi chiamo Ai Ping, sono nata a Shangai ma vivo da diversi anni a Zurigo.
– Ping, Peng…ha ha… ma che suoni curiosi che facciamo insieme. Posso chiederle cosa fa di bello a Zurigo, se non sono indiscreto...
– Non ci sono segreti! Sono una designer, mi interessano i giocattoli, i materiali e le forme belle per i bambini.
– Interessante!
Passano alcuni secondi durante i quali Didi prega che gli venga risparmiata la stessa domanda poi, forse per deviare la conversazione chiede.

– Tornerà a viaggiare sul treno poetico?
– Perchè no? Sono anche curiosa di vedere come si sviluppa il catalogo dei libri, se andranno avanti solo a regalare classici o…
– No, no, sono previsti anche autori contemporanei come ad esempio André Aciman o Jojo Moyes. – Ah però! E lei come lo sa signor Peng? – ridacchiando dopo aver portato la sua minuscola mano davanti alla bocca.
– Ehm, lo so perché... perchè probabilmente l’ho letto da qualche parte, ora non ricordo –visibilmente rosso in volto.

In quel momento il treno pare rallentare e una voce fuoricampo annuncia l’arrivo alla stazione di Zurigo. Didi sente di stare per perdere quella donna affascinante e cerca disperatamente le parole giuste, capisce che chiederle il numero telefono sarebbe pericoloso, troppo avventato, allora dentro di se si scatena un conflitto terribile e tutto avviene nel momento meno indicato, proprio nei minuti che precedono l’arrivo del treno mentre Ai è lì davanti a lui, si è già alzata in piedi, ha riposto la copia di Madame Bovary in una borsa di tela e si prepara a scendere. Lì, nel caos delle voci di decine di passeggeri, tra borse e zainetti e mani che si passano libri, Didi trova il coraggio di dire quello che il cuore gli sta comandando:

– Signora Ping, mi ha fatto piacere incontrarla e mi piacerebbe moltissimo rivederla. Che ne dice di rivederci su questo treno uno dei prossimi giorni?
Non una di quelle parole però giunse all’orecchio di Ai Ping, a causa del rumore della folla, molto più probabilmente perché Didi le pronunciò con un filo di voce. Fece appena in tempo a scorgere la donna un’ultima volta, vide che gli sorrideva ma poi non la vide più, risucchiata dalla fiumana di persone in fila verso l’uscita.

(ore 7 del giorno successivo- conversazione telefonica)

– Buongiorno dott. Peng.
– Buongiorno a lei, ragionier Maurer!
– Le ricordo alle 9 l’incontro con l’Ing. Morozov, mi hanno appena confermato che il suo aereo da Mosca risulta regolarmente atterrato. Abbiamo poi un problema da risolvere, i portuali a Marsiglia hanno bloccato tre dei nostri dieci container, quelli diretti a Tripoli. Sì, le solite proteste pacifiste, ho già provato a sentire il ministro Fournier ma non risponde. Infine c’è il brevetto per quel puntatore laser della settimana scorsa, sarebbe da depositare ma avrei bisogno della sua firma. Ci vediamo alla riunione delle 9 con Morozov?
– Non ce la faccio, sono a Zurigo in questo momento e…

– Allora le lascio i fogli per il brevetto nella cartella rossa sul suo tavolo così stasera quando passa…
– No, oggi non passo dall’ufficio. Alle 19:29 devo essere a Hinterfingen, poi non so…
– Si è deciso per il trenino?
– Già provato. Ero lì ieri. Devo dire che è stato emozionante.
– Quindi ci ha preso gusto. He... he... he…
– Ci sentiamo domattina, anzi sia cortese, dica a Meyer di venirmi a prendere stasera con la macchina al solito posto in Museumstrasse, sarò lì alle 20:15.
– L’orario di arrivo del trenino.
– Lei Maurer non perde un colpo, eh?! A domani!
– A domani!

Quello speso nell’attesa del treno di Hinterfingen fu per Didi un giorno strano. Lontano dalla routine quotidiana, spaesato e solo, con l’unico desiderio di rivedere Ai Ping, gli parve di essere improvvisamente tornato ragazzo alle prese con le prime infatuazioni. Non riusciva a capire come una simile tempesta del cuore si fosse potuta scatenare così in fretta, affascinato e stupito di fronte a quella forza invisibile che aveva stravolto e neutralizzato ogni razionalità, ogni possibile difesa. Alle 19:29 salì sul treno di slancio e si stupì nel vedere alcuni dei passeggeri del giorno precedente salutarlo, poi cercò subito di localizzare il suo posto, là dove aveva incontrato Ai Ping.

Quando il treno partì notò che tutti avevano un libro in mano e si preoccupò di trovarne una copia per sé, si trattava di Due di Irène Némirovsky. Non lo conosceva. Il titolo gli parve di buon auspicio ma era troppo agitato per mettersi a leggere, così lo sfogliò solo per qualche minuto, lo ripose sul sedile e ricominciò a guardarsi intorno. Di Ai Ping però non c’era traccia. Nel sedile accanto in compenso rivide la donna robusta dal seno felliniano, quel giorno vestiva in turchese. Con somma sorpresa vide anche che l’uomo compassato che ieri non la perdeva di vista era con lei, ora erano insieme e se la ridevano. Didi riuscì a cogliere nello sguardo di lui un’espressione compiaciuta, quasi di sfida. L’uomo e la donna tenevano in mano insieme una copia del libro della Némirovsky leggendolo a turno.

Didi notò anche che nel suo vagone, quella volta, c’erano solo coppie, non c’erano più gruppi o single, anzi ad essere onesti sarebbe stato più giusto dire che single ce n’era uno solo ed era lui. Passarono due stazioni e il pubblico non cambiò granché, anzi si aggiunsero due coppie e queste neppure fecero caso ai libri appoggiati sui sedili impegnate com’erano nelle loro effusioni. Quando Didi giunse a Zurigo, destinazione finale del treno, il sole era da poco tramontato e nel cielo si vedevano ancora lunghe striature di un rosa intenso. Scese insieme agli altri passeggeri, smarrito nella calca, sperando fino all’ultimo in un miracolo.

Il giorno successivo Didi lo passò quasi interamente chiuso nel suo ufficio, firmò distrattamente contratti milionari, lettere commerciali e documenti federali riservati. Dopo pranzo partecipò alla parte iniziale di un meeting con una delegazione di imprenditori cinesi e l’unico motivo di interesse e di curiosità fu quando scoprì che uno di essi era originario di Shangai, la città di Ai Ping. Alle 16 spaccate si prese lo spazio per farsi la barba e alle 16:30 era già in macchina con alla guida il fido autista Meyer, diretto a Hinterfingen. Alle 19:29 prese per la terza volta il trenino diretto a Zurigo e con grande sorpresa lesse il titolo del libro del giorno Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, due parole che rappresentavano la sintesi di quel suo frangente esistenziale. Decise di tentare la sorte e cambiò vagone ma appena si ritrovò in mezzo a un gruppo di lettura di arzilli vecchietti cambiò idea e tornò sui suoi passi.

Appena entrò nel secondo vagone cominciò a setacciarlo con il suo sguardo e non fu una operazione semplice, quel giorno il treno appariva più affollato che mai. Improvvisamente, in fondo alla carrozza, la vide. Purtroppo questa volta non era sola, rideva e parlava animatamente con due uomini, presumibilmente cinesi, anzi lo erano sicuramente perché Didi, proteso nel tentativo di comprendere il contenuto della loro conversazione, non capì una parola e dovette desistere. Teso e preoccupato e allo stesso tempo felice di quel nuovo, insperato incontro, rimase a guardare il gruppetto fingendo ogni tanto di leggere il libro di Ishiguro. Quando alla prima fermata i due uomini salutarono la donna e scesero dal treno Didi si alzò di scatto e la raggiunse. Caso volle che nel momento in cui si trovò in piedi davanti a lei, avesse ancora tra le mani il libro e senza rendersi conto lo tenesse al petto con la copertina rivolta all’esterno.

– Non lasciarmi? – Lesse e scoppiò a ridere. – Ma come può essere? Ci conosciamo appena. Vedendolo perduto la donna lo tirò a sé e cominciò a stringerlo tra le sue braccia con una tale foga che Didi non resistette e cominciò a singhiozzare.
– Scusami – sussurrò a quel punto la donna, – stavo scherzando, volevo solo farti sorridere. Sono qui, ho preso questo treno oggi perché volevo rivederti.

Ci fu un improvviso crollo di tensione, entrambi eccitati e rossi in volto, cominciarono a raccontarsi e a ridere come due adolescenti, soprattutto a ridere, tant’è che quando il treno giunse a Zurigo si guardarono con sorpresa l’un l’altro, realizzando di non aver pianificato il resto della serata. Alla stazione, tenendo Ai per mano, immerso nella fiumana di persone dirette verso l’uscita, Didi rivide la donna pettoruta e il suo accompagnatore e poi i due punk e il ragazzo africano e anche i vecchietti del gruppo di lettura e via via tutti gli altri volti che in quegli ultimi giorni erano diventati i protagonisti di quella indimenticabile esplorazione amorosa e sentiva di amarli e se avesse potuto, in quel momento li avrebbe abbracciati tutti.

– E ora dove andiamo? Aveva chiesto improvvisamente Ai.
Ma Didi in quel momento aveva lo sguardo di chi sta volando in spazi siderali. Quando finalmente, piegando la testa, l’aveva guardata e le aveva risposto distrattamente con una nuova domanda: – Sei pronta ad attraversare la notte con me?
Lei aveva sorriso e quello era stato il più ben sorriso che Didi avesse mai visto in tutta la sua vita. Attraversarono velocemente il parco pubblico presente a ridosso della stazione e giunsero in prossimità della Museumstrasse dove ad attenderli c’era Meyer e una grossa auto scura con il motore acceso. Didi fece prima salire Ai e poi prese posto al suo fianco. L’auto all’inizio si mosse pigramente in mezzo al traffico serale della città, poi inforcò un ampio viale alberato e puntò con decisione verso sud.

– Vuoi una salviettina profumata per pulirti le mani?
La voce di Didi, con quella domanda che subito rimpianse di aver fatto, ruppe un silenzio che ormai durava da troppo tempo. Erano in macchina da circa due ore, la prima parte del viaggio era andata bene, lei era stata adorabile, disponibile a lasciarsi stupire da tutto, da quella macchina silenziosa e confortevole, dalla musica soffusa, dalle attenzioni di quel corteggiatore così educato e tenero e non ultimo, dalla prospettiva di un viaggio verso una località misteriosa. Poi si erano entrambi appisolati per un tempo indefinito, ma al risveglio lei aveva improvvisamente espresso una certa insofferenza per la lunghezza del viaggio, era convinta che la meta fosse più vicina, aveva freddo, forse anche fame, al tempo stesso le dispiaceva di essere lamentosa perché – diceva – era veramente felice di essere con lui anche se lui ancora non le aveva detto cosa faceva nella vita e quella sua frase “mi occupo di import/export” le era sembrata un po' una frase fatta, che insomma lei desiderava conoscerlo veramente ma, affinché potesse succedere ciò, gli chiedeva di essere più aperto.

– Ci sono dei tramezzini al salmone – aveva risposto lui sovrappensiero e capì subito che quella non era la risposta che lei si aspettava, ma lui non stava bene, si sentiva sconnesso e non capiva perché, così aveva immediatamente cercato di virare la conversazione altrove parlando dei suoi viaggi, soprattutto i suoi viaggi in Cina e lei, forse per fame, era parsa disposta a farsi distrarre. Dopo aver osservato i tramezzini con sospetto li aveva addentati e non aveva più parlato rimanendo in ascolto per tutto il resto del viaggio. Arrivarono allo chalet in piena notte. Ad attendere Didi c’era un’altra sorpresa. Per la prima volta il suo rifugio gli apparve triste e tetro, sembrava che l’ambiente raffinato, gli oggetti preziosi, i pavimenti di larice d’epoca, le luci soffuse, neppure il camino con il fuoco acceso, nulla potesse modificare quella insolita sensazione di stantio e spento che avvolgeva quel luogo tanto amato ed era paradossale trovarsi lì in compagnia dell’unica persona che in quel momento avrebbe voluto al fianco e non provare una vera gioia completa, per questo si sentiva scisso. Una parte di sé stesso avrebbe voluto scappare, essere altrove.

Quando entrarono nella stube Didi approfittò della temporanea assenza di Ai, andata a rinfrescarsi, per far sparire alcune sue fotografie in compagnia del presidente degli Stati Uniti, un’altra con il presidente del Sud Africa e anche quella con il leader venezuelano. Ma perché faceva questo? Era solito farsi vanto con tutti delle sue conoscenze altolocate e allora cos’era quella strana vergogna che improvvisamente gli affiorava dentro? Cosa gli era preso con quel raptus e quella voglia di nascondere tutto? Non riusciva a capire, per la prima volta faticava a riconoscersi.

Mezz’ora dopo lui e Ai erano comodamente sdraiati sul lungo divano rivestito in cashmere e stavano sorseggiando un delizioso vino rosso italiano. Improvvisamente lei guardando un dipinto alla parete aveva esclamato: – Ma quello è un Picasso, wow! Sei un collezionista d’arte?
Lui aveva detto sì ma non era vero, omettendo soprattutto il fatto che quel dipinto gli era stato regalato da un certo Yassin, un famoso commerciante d’armi libanese con il quale aveva fatto sempre ottimi affari, quasi un amico. Ma questo lei non l’avrebbe mai saputo.

Il vino nel frattempo cominciava a fare il suo effetto, soprattutto la vista del fuoco aveva contribuito a creare una atmosfera magica, era arrivato il momento di rilassarsi. Lei si era sfilata la maglietta ed era rimasta seminuda di fronte a lui in silenzio. La scena era di una intensità drammatica, eppure Didi faticava a tranquillizzarsi, era inquieto, continuava a farsi domande. Che ne sarebbe stato di loro due? Cosa avrebbe detto lei nel momento in cui sarebbe venuta fuori la verità sulla fabbrica delle armi? E perchè fino ad oggi nessuna altra donna aveva criticato il suo lavoro? Forse si trattava solo di paure infondate, in fondo Ai non si era ancora espressa e poi pensandoci bene sicuramente sapeva già, certamente si era informata, un tipo così sveglio e intelligente non si sarebbe mai buttata in una relazione senza prima fare qualche indagine, ma certo doveva essere andata così. Quindi non c’era da preoccuparsi. Se era venuta fino lì voleva dire che lui le andava bene così com’era. Era stato così anche con tutte le altre.

Convinto di ciò Didi si era immediatamente calmato e si era sentito finalmente pronto a esplorare il corpo minuto di Ai. Senza ulteriori indugi aveva iniziato ad accarezzarle la schiena e le spalle e lei aveva subito chiuso gli occhi concentrandosi sul suo piacere. Lui allora l’aveva alzata di peso e dopo averla tenuta in braccio per qualche secondo l’aveva fatta distendere con delicatezza sopra ad una pelliccia d’orso posta sul pavimento davanti al camino. Il contatto dei corpi con quella superficie selvatica e scura aveva prodotto in entrambi una eccitazione immediata. In un attimo si erano ritrovati nudi, bramosi, intimamente uniti. Anche in quel caso però qualcosa era andato storto,

Lo sfregamento della pelle su quella superficie irsuta ebbe l’effetto di riportare Didi ad un tempo lontano, si ricordò di quella volta in cui durante un viaggio di affari in Russia aveva trascorso una notte in una dacia siberiana, ospite del vecchio Murov, fidato collaboratore del presidente russo di quell’epoca. Per tutto il giorno avevano parlato di affari e poi avevano bevuto molta vodka e c’erano anche delle ragazze, Murov amava sempre portarsi delle ragazze ma Didi non pareva interessato a loro, si era piuttosto innamorato di una pelliccia d’orso che aveva notato sul pavimento - tutte le dacie ne avevano una – e Murov il giorno dopo gliela aveva fatta trovare arrotolata nella valigia.

Era la stessa pelliccia sulla quale lui e Ai erano distesi in quel momento. Cercò di non pensarci ma non ci riuscì. Poi aprì gli occhi e la vide accovacciata sopra di lui con le braccia aperte come una dea danzante. Ondeggiava tenendo il suo corpo ben aderente, incollato al suo. Ad un certo punto lei urlò di piacere e la sua voce parve un guaito prolungato molto simile a quello che aveva sentito di notte nella dacia. Qualcuno gli aveva detto che quello era il richiamo dei lupi. Didi prigioniero dei suoi ricordi ebbe allora un fremito in tutto il corpo, sentì un brivido freddo e quando alla fine venne, si accorse di avere gli occhi colmi di lacrime.

La mattina successiva andarono insieme nel bosco. Una linea sottile tracciata sul prato conduceva direttamente dalla casa a una foresta di pini e larici, compatta nella sua bellezza. Alle sue spalle si ergevano creste di roccia intervallate da minuscoli pianori ricoperti d’erba. Camminarono in silenzio attraverso la fitta abetaia fino a giungere a un alpeggio dove si fermarono ad ammirare l’ampia vallata sottostante. Il cielo era ancora indeciso con il suo azzurro pallido mentre il sole faticava ad uscire dalla caligine mattutina. Decisero di salire ancora di quota e dopo un’ora circa di marcia raggiunsero una zona intermedia tra il limite del bosco e l’alta montagna. Mentre si stavano riposando accanto a una sorgente videro in lontananza un bellissimo esemplare maschio di cervo, che, totalmente incurante della loro presenza, procedeva lento e sicuro di sé.

Didi prese istintivamente la mano di Ai e si guardarono pieni di emozione, come di chi si rende conto di vivere qualcosa di speciale e irripetibile. Nel frattempo il cervo si era fermato e pareva osservare con loro l’immenso spazio sottostante. In quel momento successe qualcosa di totalmente inatteso, davanti ai loro occhi, a bassissima quota, sfrecciò un jet militare. La distanza era così ravvicinata che Didi riuscì a vedere l’abitacolo con i due piloti. Un secondo dopo sopraggiunse un fragore spaventoso simile a una esplosione. Il cervo con un balzo scomparve nel bosco. Didi, in un primo momento non si accorse che Ai si era accasciata su sé stessa ed era caduta a terra e stava singhiozzando. Quando cercò di soccorrerla la donna reagì urlando quasi fosse preda di un attacco isterico. Era da poco scemato il frastuono dell’aereo e già nella valle si sentivano rimbombare le sue grida.

– È questo il mondo che vuoi? – Urlò Ai con tutta la forza che aveva in corpo.
– Ai, calmati. L’aereo è passato, non urlare così, ti prego.
– È questo il mondo che vuoi, eh? – Riprese la donna con il volto trasfigurato dal pianto. – Ti piace questo mondo di paura che hai contribuito a costruire con le tue armi? Come posso io immaginare di fare dei figli con te? Come posso immaginare un padre che durante il giorno crea morte e alla sera legge le fiabe ai suoi figli? Scusami ma non posso, non ce la faccio.
Didi si sentì come paralizzato, rimanendo senza parole. Nessuno prima di allora si era rivolto a lui in quel modo. Ripensò a quante volte si era ritrovato ad ammirare il passaggio dei jet in quei cieli, da solo o con amici, non c’erano mai stati dubbi né critiche, tutti erano uniti e d’accordo di fronte alla perfezione di quella tecnologia, cosa c’era di più bello e adrenalinico di un caccia militare?

Certo per lui era naturale, quell’immagine apparteneva alla sua vita professionale, pochi come lui sapevano quanto lavoro, quanto ingegno umano c’era dietro al progetto di un jet militare con i suoi missili iper tecnologici. Di fronte a quella donna inginocchiata e piangente tutta quella meravigliosa tecnologia però smetteva improvvisamente di brillare, appariva mortifera e oscura. Il rumore terrificante che aveva prodotto quell’aereo pareva la somma delle mille note stridenti della sua vita, ragioni e sentimenti uditi e mai ascoltati. Che cosa c’era ancora da capire? Veramente non lo capiva Didi? O era tutta la sua esistenza, le sue scelte, le sue abdicazioni ripetute, le sue ipocrisie, tutto quello che aveva sempre pensato costituisse la sua vita, l’unica vita possibile, a chiedere per la prima volta di essere guardata con nuovi occhi?

(Nel primo pomeriggio dello stesso giorno)

– Buon giorno dott. Peng, cosa devo dire in cucina? Ha già deciso se lei e la sua ospite pranzate qui a casa oggi o…
– Non lo so Cornelia, la mia ospite, la signora Ping in questo momento sta riposando, siamo appena tornati da una breve passeggiata. Mi lasci il tempo di pensarci.
– Bene. Nel caso mi fa sapere. Oggi c’è un’ottima tartare di cervo e…
– Ha detto cervo?
– Sì, tartare di cervo e…
– Eh no, adesso basta! Non ne posso più, né della tartare di cervo né di lei. Sia gentile, se ne vada, anzi a questo punto dica anche a quelli della cucina di andarsene, non voglio più vedere nessuno.
– Ma dott. Peng..

– Ha sentito quello che le ho detto? Ecco, allora vada fuori dai coglioni, ha capito!!
Era bastata quella parola a far esplodere Didi. La cameriera, prima vittima innocente della sua furia, era arretrata di qualche passo ma si era poi nascosta dietro ad una porta ed era rimasta a guardarlo. Così aveva visto il dott. Peng muoversi avanti e indietro nella stanza, distruggere qualunque oggetto gli capitasse a tiro, lampade, vasi di fiori, sculture, libri. Pareva un pazzo quel signore conosciuto fino a un momento prima per la sua educazione, per la sua generosità, per le sue buone maniere, ora lo vedeva, irriconoscibile, andare avanti e indietro senza posa, come un automa, urlando frasi sconnesse, ingiuriose e volgari, insultando chicchessia, incurante del fatto di venire sentito o meno, povero dott. Peng.

(il giorno dopo)

– Ciao Didi.
– Ciao.
– Come stai?
– Non lo so ancora. Dove mi trovo?
– Sei nel tuo letto, anzi nel nostro letto.
– Hai detto nostro? Allora mi vuoi ancora bene.
– Ma certo.
– Mi vuoi bene anche se ho fatto il pazzo e ho distrutto mezza casa?
– Ti voglio ancora più bene.

– Mi vergogno per quello che ho fatto.
– Beh era ora che ti vergognassi di qualcosa, non credi?
– Non è facile tradire, distruggere tutto. Stamattina mi sono giusto chiesto cosa direbbero mio padre e mio nonno di tutti i pensieri che mi sono balenati nella mente in queste ultime ore.
– Quali pensieri?
– Fermare la produzione di armi, trasformare la fabbrica in qualcosa di nuovo e di bello.
– Non è impossibile, ricordi? Ne abbiamo parlato.
– Comincio a crederlo anch’io. Questa notte ho sognato mio padre, rideva felice. La fabbrica era diventata una specie di stazione di treni, un crocevia di persone in movimento, libere e felici. C’era anche Maurer, mi ringraziava ripetendo la frase: che liberazione, era ora! Gli operai ballavano. Nel sogno Maurer aveva una giacca pazza, coloratissima, come un arcobaleno.