Il fatto che la mia ragazza fosse un po’ fuori di testa lo sapevo. È una delle cose che mi piace di lei; ma stavolta aveva esagerato. Dopo un litigio nel quale avevo ammesso di essere attratto fisicamente dalla sorella, (spoiler: sono gemelle), è uscita di casa sbattendo la porta.
Qualche ora dopo era tornata, silenziosa come un ladro, mi aveva colto alle spalle e tappato la bocca con la mano e, trascinandomi verso la camera da letto, sembrava intenzionata a fare pace.
Già pregustavo una serata da sogno e quando mi ritrovai legato alla spalliera del letto avevo l’espressione più ambiziosa e compiaciuta possibile… finché all’improvviso non spuntò la sua gemella.
Niente di strano se non fosse che erano vestite, truccate e pettinate uguali.
«Adesso giochiamo a “indovina chi sono?”» dissero in coro.
“Indovina chi sono?” è un gioco nel quale dovevo indovinare chi fosse la mia ragazza tramite una serie di affermazioni fatte dalle gemelle; di solito erano cose riguardanti il loro gusto personale nei film o sul cibo, al massimo qualche episodio del passato legato solo a una delle due, e le penitenze rimanevano nell’ordine del bere acqua e sale o scendere a buttare la spazzatura per una settimana; ma stavolta era diverso. Le due erano indistinguibili. Era impossibile capire chi fosse la mia ragazza. Persino la loro sadica espressione si stava muovendo all’unisono.

«Questa è una versione diversa del gioco al quale sei abituato» continuarono insieme.
Le loro parole si toccavano in ogni punto. Era come sovrapporre alla perfezione due fogli bianchi. Tirarono fuori una serie di oggetti di tortura e da lì in poi capii che la serata da sogno sarebbe mutata in un incubo. «Dai tesoro, mi hai spaventato abbastanza, ho capito la lezione…» dissi rivolgendomi alla gemella che mi aveva trascinato su.
«Sono io la tua ragazza!» esclamò l’altra.
«Oppure io?» riprese la prima.
«Indovina chi sono?» ripeterono in coro.
Ero sconvolto. Non avevo la più pallida idea di chi fosse la mia ragazza. Non c’era un difetto del viso, un punto nero, una striatura rossa della cornea che mi permettesse d’individuare la donna che tutti i giorni mi gironzolava per casa.

Una delle due tirò fuori un pezzo di ferro che iniziò a scaldare con l’accendino.
Cercai in tutti i modi di capire se le venature della mano corrispondessero a quelle della mia ragazza, ma come si fa? Chi guarda davvero le venature della mano e sa riconoscere quelle della persona che ama? Io amavo davvero la mia ragazza, perché è intelligente, divertente, socievole e affascinante, ma come potevo dirlo ora che davanti ne avevo due pronte a punirmi se sbagliavo a indicare quella giusta.

Una delle due mi sfilò i pantaloni. Dimenarmi era inutile. La soluzione per uscire da quella situazione era solo indovinare la persona giusta, e io mi ero già rassegnato. Mentre la prima continuava a scaldare la parte finale del pezzo di ferro; quella che mi aveva sfilato i pantaloni iniziò a toccarmi le gambe. Partendo dal ginocchio fino all’inguine iniziò a massaggiarmi sensualmente. Il tocco era quello che conoscevo. La mano iniziò a sfiorarmi sempre più vicino all’inguine e inevitabilmente mi eccitai.
A quel punto l’altra sferrò una fiorettata di bastone ardente veloce come un proiettile, che mi fece urlare di dolore.
«Ti stavi eccitando senza sapere chi fossi?» disse quella che mi stava toccando.
Era vero. Ed era altrettanto vero che io non l’avevo mai tradita. Non avevo mai pensato a un’altra. Lei era perfetta per me e potevo giurare di averci fatto l’amore ogni singola volta. L’attrazione fisica che provavo verso la sua gemella era ovvia, per me scontata; come si può non amare il corpo di chi ami? L’unica cosa che le distingueva era il modo di vestire, il fatto che facessero cose diverse e si comportassero in maniera diversa. Non avevano la stessa ironia, non usavano lo stesso linguaggio. Io sceglievo tutte le volte di fare l’amore con quel linguaggio, con quell’ironia. Ma ora, da un momento all’altro, si erano omologate. Il linguaggio era lo stesso. Il tono era lo stesso. Le parole usate e persino le sfumature del trucco, seppur leggero, erano le stesse.

«Andrai al letto con una sola di noi» dissero in coro.
«E se sbaglio?».
«Non puoi sbagliare!» rispose la prima colpendomi di nuovo col ferro ardente.
Pensai che fosse lei la mia ragazza. Era gelosa, di base, e si era adirata all’idea di un mio possibile errore.
L’altra si avvicinò, mi baciò dolcemente sul collo e rivolgendosi alla prima disse:
«Non trattarmelo male sorellina».
La voce era quella. Il tocco delle labbra mi aveva fatto vibrare. Aveva detto “sorellina”. Tra le due la mia ragazza era la sorella maggiore, per modo di dire, le distanziava un minuto di travaglio ma comunque la mia ragazza si riferiva alla sua gemella con sorellina, in modo ironico, per determinare la sua supremazia. Finora l’altra non mi aveva mai toccato quindi mi convinsi che non fosse lei la mia ragazza.
Le mie convinzioni si smontarono un istante dopo, quando le due si scambiarono di posto e la gemella che non mi aveva mai sfiorato finì di spogliarmi e si accavallò sopra di me.
«Ferma ferma ferma! Non voglio che mi tocchi se non sono sicuro che sei la mia ragazza».
«Hai detto che sei attratto fisicamente da entrambe».
«Sì ma voglio solo te… o lei… insomma voglio solo la mia ragazza».
«Sono io la tua ragazza!», esclamò quella seduta sopra di me, «lasciati toccare». Mise le mani sul mio petto e con una delle due scese sull’addome fino ad arrivare all’inguine.
A quel punto l’altra infilò una punta sotto l’unghia del mio alluce sinistro. Gridai di dolore e scattai, allontanando anche la gemella che mi stava toccando seduta sopra di me.
Il dolore era alle stelle e mi stava facendo lacrimare.
«Come osi toccare mia sorella!» Urlò quella che mi aveva inferto il colpo.

Il mio problema non era solo indovinare chi fosse delle due. Quello mi avrebbe salvato dalla tortura fisica, ma la vera tortura era quella mentale. Non riconoscevo la donna che amavo o, meglio, era lei, era qui, sdoppiata in due corpi identici. E se tutte le donne del mondo fossero uguali, chi amerei? Se questo fosse il corpo standard, e questi fossero i tratti somatici di tutte, il colore degli occhi, la sfumatura dei capelli di ogni singola donna sulla terra? Se quel carattere ironico e pungente appartenesse a ogni donna del mondo? Io chi avrei amato? Il dolore fisico impallidiva dinanzi al dilemma morale che come unico pregio aveva quello di attenuarlo.

Iniziarono a spogliarsi entrambe e presero un coltello a testa. Era la mia occasione; il corpo nudo della mia ragazza lo conoscevo a memoria, non potevo sbagliarmi. Avevano commesso un errore.
Si sdraiarono una alla mia sinistra e l’altra alla mia destra. Iniziarono a passare la lama fredda sul mio corpo. I brividi erano un misto di eccitazione e paura e forse non avevo mai del tutto esplorato il mio lato sadico fino a quel momento perché la voglia di fare l’amore era più forte che mai. Conoscevo la mia etica. Non avrei mai voluto farlo con la ragazza sbagliata anche se le labbra fossero state le stesse, se le gambe e il seno fossero identici. Scrutai i loro corpi al millimetro e non trovai differenze: questo era il colpo di grazia. Caddi nel baratro definitivamente quando realizzai che non poteva esserci clone meglio riuscito della donna che amavo. Le immaginai moltiplicate all’infinito, tutte uguali in tutto il mondo. Pensai alla voce dei miei amici che mi urlavano di fare l’amore con tutte perché non c’era differenza, potevo ma non potevo, volevo ma non volevo: potevo perché se tutti sono uguali allora non lo è nessuno perché non c’è un diverso che ne dia la prova; e non potevo perché chiunque avessi toccato e baciato che non fosse la mia ragazza sarebbe stato un tradimento. Volevo perché ero stato sincero con lei quando le avevo detto che ero attratto fisicamente da sua sorella, perché di base erano identiche e in questo momento lo erano più che mai.

Mi salirono sopra entrambe. Iniziarono a toccarmi con le mani e con la lama dei coltelli. Sfiorarono i miei capezzoli e poggiarono le loro labbra in ogni angolo della mia pelle. Sembravano delle sirene pronte a divorarmi dopo aver goduto del mio corpo. Volevo farlo con entrambe perché ammettendo di amare quel corpo che vedevo sdoppiato dinanzi a me, avevo ammesso, al contempo, di amare il corpo della mia ragazza perché era lì, era uno ed erano entrambi; non volevo perché non volevo possedere e godere di qualcuno che non fosse la donna che amavo.
Mi baciavano e mi toccavano all’unisono.
«Scegli» disse la prima.
«Scegli» disse l’altra.
L’idea di sbagliare era più terrificante dei coltelli che mi passavano sensualmente sul corpo, o meglio; lo era stata finché non realizzai che il non scegliere sarebbe stata forse la scelta peggiore.

Volevo scioglierlo, in fondo, il dubbio che mi stava torturando più delle puntine sotto l’unghia o dei colpi di ferro ardente.
Mi baciarono entrambe. Mi toccarono entrambe strusciando i loro corpi sul mio. Dovevo prendere in mano la situazione. Giravo la testa a destra, poi sinistra, poi sopra, sotto… anche se chiudevo gli occhi vedevo il volto della mia ragazza impresso nell’oscurità, e il suo corpo, moltiplicati entrambi all’infinito. Non sarebbe terminato il dolore fisico e non sarebbe mai cessato il dubbio se non avessi scelto.
Nell’alternarsi costante delle due gemelle che si scostavano sensualmente a vicenda dal dominarmi, quando la mia pazzia tocco la vetta e mi fece fischiare le orecchie, senza pensare più, scelsi.

Mi lasciai andare con una delle due e fu terribile scoprire che non cambiò nulla. Era lei? Non lo era? Io non ne capivo la differenza, guardavo lo stesso corpo che ogni giorno ondeggiava sopra di me, gli stessi capelli, lo stesso viso. Non percepii differenze alla penetrazione; gli stessi brividi e lo stesso piacere. Forse la situazione che aveva portato la mia adrenalina sulle stesse vette della follia mi fece godere ancora di più di ogni bacio e ogni tocco sulla pelle. Non capivo se stessi facendo l’amore con la mia ragazza o con qualunque altra persona che portasse quell’aspetto, quell’ironia e quelle movenze con sé. La stavo tradendo e al contempo stavo facendo l’amore con la persona con cui lo facevo ogni giorno. La stavo tradendo mentre facevo l’amore con lei.
Iniziò ad accelerare sopra di me poggiando il coltello sul mio petto e spingendo sempre più forte. I gemiti salirono fino al soffitto e all’apice del piacere venimmo insieme, come spesso accadeva quando facevamo l’amore. Questo era il segno che la mia scelta era stata corretta. Ero convinto di non aver sbagliato. Avevo fatto l’amore con la mia ragazza e l’incubo era cessato. Nel frattempo l’altra era andata via senza che me ne accorgessi, come non fosse mai stata lì. Per un attimo credetti di aver immaginato tutto. Tornai alla realtà quando realizzai di essere ancora legato alla spalliera e il dolore dei colpi che avevo subito tornò a farsi sentire.
La persona con cui avevo fatto l’amore, che oramai ero sicuro fosse la mia ragazza, mi tolse le manette e senza dire una parola uscì.
Rientrò qualche minuto dopo cambiata e pronta per la notte. Tentai di dire qualcosa in merito a quello che era appena successo ma non ricevetti risposta. Come se mi fossi immaginato tutto, lei si comportò normalmente.

Ci addormentammo.

La mattina seguente mi svegliai e appena aprii gli occhi li sbarrai per lo spavento. La mia ragazza era lì, a cavalcioni su di me, come per la tortura e l’amore della sera prima, con lo stesso sguardo sadico di quando era iniziato il gioco e con il coltello della tortura stretto tra le due mani. Non feci in tempo a parlare che lei disse:
«Hai sbagliato».