Carosello ha chiuso i battenti molti anni or sono e, nel frattempo si sono sprecati necrologi e riti funebri, ma stanno davvero così le cose? Per Carosello, ironia della sorte, dopo intere generazioni di teneri virgulti spedite a nanna, è davvero giunta l’ora di andare a letto? Al di là di facili, quanto inutili, sentimentalismi, il mio vuol esser non già un disperato tentativo di riesumare ciò che è irrimediabilmente morto, ma al contrario, è mio intento dimostrare che quel qualcosa che in tanti considerano in putrefazione già da un bel po’, sia stato in realtà humus più che mai vitale per ciò che è venuto dopo, e presumibilmente continuerà ad esserlo per ciò che sarà in futuro. Carosello infatti non è solo l’antenato dello spot televisivo, ma è una sorta d’avo comune a tutti noi, in quanto, fu proprio quell'affascinante affabulatore ad illustrare agli italiani un nuovo mondo che di lì a poco avrebbero, prima scoperto e, poi, contribuito a costruire; Carosello ebbe la capacità di fungere da “testimonial del miracolo economico”. 1

Carosello insomma fa parte del nostro bagaglio culturale e, seppur scomparso da tempo immemore, vive tuttora nella memoria degli italiani e risiede nel nostro immaginario collettivo (in esso è compreso anche chi, come me, in realtà non ha vissuto quei momenti in prima persona). Carosello è vivo, dunque, nel nostro background culturale (talvolta si tratta di conoscenze implicite), ed è oggigiorno una favola da raccontare, da tramandare, perché proprio come nella tradizione orale contiene gli elementi fondanti di una società che fu. Ovviamente nell’atto del narrare la realtà si fonde e confonde col mito, col sogno. Occorre, in tal senso, un’analisi distaccata e disincantata del fenomeno in questione al fine di evitare alterazioni; sia che si tenda ad esaltare oltremisura, sia che si tenda a stigmatizzare ingiustamente come negativa quell’esperienza. Tener vivo il ricordo di Carosello significa, in un certo qual modo, rinverdire le nostre radici, significa cogliere appieno il frutto di quell’esperienza continuando a sognare e a meravigliarsi davanti alla novità con lo stupore che contraddistinse quegli italiani quando in illo tempore strabuzzarono gli occhi davanti al luccichio del progresso.

Mandare la prole a nanna subitamente dopo la fine del programma riconduce Carosello alla stregua di una favola, quella favola moderna (non per caso si è parlato di Carosello come dell’“Esopo moderno”), immediatamente pre-consumistica, che le madri di allora lasciavano raccontare ai propri pargoli dalla luminosa scatola magica che da pedagoga sarebbe negli anni successivi diventata “cattiva maestra televisione”, come Popper la definì a suo tempo.

Carosello è una chiara e limpida raffigurazione dei pregi e difetti dell’Italia del boom economico; é una nitida foto del c.d. “come eravamo” e consente a chi non ha vissuto quell’epoca di transizione, di poter compiere un viaggio alla scoperta delle proprie origini semplicemente ascoltando una vecchia favola. Carosello quindi non fu semplicemente un contenitore pubblicitario ma nacque come tale, e se per molti deve essere ormai considerato un “vegliardo della pubblicità”, è pur anche vero che, nonostante la veneranda età, mantiene il suo fascino intatto, se si sposta l’attenzione da un punto di vista meramente tecnico a un’ angolatura di più ampia matrice socio-semiotica. Insomma se agli occhi di alcuni esperti le scenette di Carosello sono ormai vecchiume pubblicitario, quello stesso ciarpame si trasforma in materiale di inestimabile valore se utilizzato per comprendere come il “progresso” ha cambiato la nostra società. Tutto ciò, per riscoprirci, ritrovarci, al pari di Carosello, così peculiarmente, unicamente italiani. È un’esperienza indispensabile per non dimenticare chi eravamo e per capire chi siamo, chiedendo a quel meraviglioso cantastorie quale appunto Carosello era di raccontarci ancora un’ultima favola: la nostra.

Note

1 Gerosa G., A Carosello non tutto faceva brodo, in La Gazzetta del Mezzogiorno, pag. 17.