Corso Ausugum è una via stretta che taglia il paesino di Borgo Valsugana come una lama, fiancheggiata da case e botteghe. Qui ancora oggi si respira l’atmosfera viva di un tempo, con artigiani e commercianti che chiacchierano sulla soglia dei negozi. Siamo nel cuore del Trentino, dove scorre il fiume Brenta e dove la famiglia Galvan da 125 anni porta avanti l’arte – o meglio, la magia – della costruzione di pianoforti. Una tradizione che affonda le sue radici nell’Ottocento e che, attraverso tre generazioni, ha trasformato un piccolo laboratorio di fisarmoniche in una delle realtà artigianali più affascinanti del panorama musicale italiano.

Storia di una famiglia dedita alla musica

Tutto ebbe inizio in un’Italia che ancora non era del tutto Italia, vale a dire a fine Ottocento, sotto l’Impero austro-ungarico. Un ragazzo di nome Egidio Galvan, appena quindicenne, figlio di contadini di Borgo Valsugana, si appassiona alla musica e decide di costruirsi da solo una fisarmonica. Non ha maestri da cui apprendere l’arte, né strumenti professionali con cui cominciare: solo qualche pezzo di legno a disposizione, un po’ di rimasugli di pelle e tanta curiosità. Ma il risultato è sorprendente. Ancorché inesperte, da quelle mani nasce un piccolo organetto trentino, dal suono dolce e leggermente malinconico, simile alle musette francesi (specie di cornamuse dal suono vibrante e nasale).

Il destino ci mette lo zampino: il fratello di Egidio porta lo strumento a Bolzano, dove il laboratorio Fidel-Soncin, rinomata fabbrica di fisarmoniche, riconosce subito il talento del giovane artigiano. Gli offrono un lavoro e per dieci anni Egidio Galvan impara tutto ciò che si può imparare: meccanica, intarsio, acustica, precisione. Ma un sogno lo accompagna sempre: quello di tornare a casa e aprire un laboratorio tutto suo.

Dal vecchio albergo nasce la fabbrica Galvan

Alla fine del secolo, il sogno diventa realtà. È il 1898 quando Egidio, ormai venticinquenne, apre la fabbrica Galvan nel cuore di Borgo Valsugana, trasformando un vecchio albergo in un’officina musicale. In pochi anni, l’impresa cresce fino a impiegare una cinquantina di persone: operai, intarsiatori, decoratori, musicisti. Le fisarmoniche Galvan conquistano il mercato trentino e arrivano anche oltre confine. I modelli variano dai più semplici, destinati alle famiglie e alle feste popolari, ai più raffinati, decorati con intarsi in madreperla e destinati ai virtuosi dello strumento. Tra i modelli di punta spicca l’“Uso Trento”, un organetto che diventa simbolo dell’artigianato musicale locale. Le sue note si diffondono nelle sagre e nei teatri, accompagnando balli, matrimoni e concerti. L’officina Galvan diventa così una piccola istituzione a Borgo Valsugana, un luogo dove si fonde la manualità contadina con la precisione di un orologiaio.

Mani e legno ma, soprattutto, orecchio

Dalla tradizione alla perfezione il passo è breve e con il passare dei decenni le mode cambiano, le fisarmoniche cedono il passo ad altri strumenti e la famiglia Galvan, pur rimanendo fedele alla tradizione, guarda avanti. Il testimone passa a un altro Egidio Galvan, nipote del fondatore, che trasforma la passione ereditata in una vera e propria scienza del suono. «L’orecchio è un dono, ma va allenato», racconta oggi Egidio, mentre accarezza i tasti di uno dei suoi pianoforti. La sua formazione è rigorosa e cosmopolita: tre anni in Germania, alla prestigiosa scuola per costruttori e accordatori di pianoforti di Braunschweig, una delle poche al mondo a insegnare ogni aspetto di questo mestiere antico. «In Italia scuole del genere non esistono — spiega —, perciò chi vuole imparare deve farlo con disciplina e tanta passione».

Nel suo laboratorio di Borgo Valsugana, ogni pianoforte nasce da un processo lento, quasi rituale. Si parte dal mantello, la base portante, per poi passare alla tavola armonica, ai martelletti, alle corde. Tutto viene scelto con cura maniacale: la ghisa della trazione, la lana degli smorzatori, il legno del Bosco di Paneveggio, famoso per la sua risonanza — lo stesso usato per i violini di Stradivari. «È necessario circa un mese di lavoro, in due persone, otto ore al giorno, per costruire un solo pianoforte» racconta Egidio Galvan. «Perché non si tratta solo di montare pezzi, ma di farli vibrare insieme in armonia».

20 tonnellate di tensione per un’armonia perfetta: il segreto dei pianoforti Galvan

Ogni corda conta e la precisione dei pianoforti Galvan è la risultante di un equilibrio esatto di tensione e sensibilità. Dietro ogni pianoforte Galvan, infatti, si nasconde una scienza esatta. Ogni strumento contiene 220 corde, ciascuna tesa con una forza di circa 75 chilogrammi, per un totale di oltre 20 tonnellate di trazione. Una tensione enorme che però, una volta accordata, genera equilibrio e melodia. I tasti neri sono in ebano, quelli bianchi in plastica — un tempo in avorio —, e gli smorzatori in lana naturale. Ogni componente è calibrato a mano, e ogni suono deve corrispondere a una precisa idea di purezza e dinamica. «La differenza tra un pianoforte a coda e uno verticale - spiega Egidio - non è solo nella forma: cambia la potenza, la profondità del suono, la capacità di riempire lo spazio. “Il pianoforte a coda è come un’orchestra: più complesso, più ampio. Quello verticale è intimo, domestico, ma ugualmente perfetto se costruito con amore».

Dal laboratorio ai palchi italiani

Negli anni ’70 e ’80, in pieno boom musicale, il nome Galvan si consolida. Oltre a costruire strumenti nuovi, Egidio si specializza nel restauro e accordatura di pianoforti d’epoca, diventando un punto di riferimento per conservatori, teatri e artisti. I suoi strumenti arrivano nei luoghi più suggestivi e accompagnano nomi noti della musica italiana: Vinicio Capossela, i Negramaro, Diodato, Roy Paci, Raphael Gualazzi. C’è anche un aneddoto poetico: uno dei suoi pianoforti è stato suonato nella Cattedrale Vegetale di Arte Sella, tra gli alberi del Trentino, dove le note si mescolano al fruscio delle foglie e il legno del pianoforte sembra rispondere a quello della foresta.

Ogni nota, una storia

Oggi, nella bottega di Borgo Valsugana, tutto parla di lentezza e dedizione. Non ci sono catene di montaggio né macchine industriali, ma banchi di legno, morsetti, lime e accordatori. Ogni pianoforte che esce da qui porta con sé una parte della storia di questa famiglia: il coraggio di un ragazzo che costruì il suo primo organetto, la curiosità di chi partì per imparare in Germania, la pazienza di chi ancora oggi tende una corda dopo l’altra fino a trovare il suono perfetto. «Costruire un pianoforte» - afferma Egidio, «è come raccontare una storia: comincia nel silenzio e finisce in musica». E in quel silenzio, tra l’eco di 125 anni di mestiere, Borgo Valsugana continua a tramandare la sua melodia.