La nostra filosofia non è nuova, ma è quale Adamo la ricevette dopo la caduta e quale la professarono Mosè e Salomone

Fama Fraternitatis

Come Lutero introdusse nel 1517 la Rivoluzione religiosa all’interno della Chiesa cattolica con lo scisma protestante, così i Manifesti rosacrociani del 1614, 1615 e 1616 introdussero la Rivoluzione nella cultura e nella tradizione esoterica europea, la quale, fino ad allora, sostanzialmente si era sviluppata all’interno dell’alveo della Tradizione cattolica, o almeno non ne aveva messo in discussione i fondamenti. Più specificamente cercheremo di dimostrare come i Manifesti rosacrociani rappresentino un fenomeno eterodosso e deformativo rispetto alla tradizione dell’alchimia europea.

Parliamo di “Manifesti” e non di “Rosacroce” in quanto non si sono mai fornite o trovate prove storiche dell’esistenza antica della “Confraternita”, ma gli unici documenti storici sono appunto rappresentati dai tre documenti della “Fama Fraternitatis”, della “Confessio Fraternitatis” e delle “Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuz”. Il “fenomeno” merita ancora studi e approfondimenti per la sua rilevanza culturale e sociale: i manifesti comparvero improvvisamente e misteriosamente in varie città tedesche generando scalpore, interesse e curiosità per secoli fino a che il “nome” e la “spiritualità” rosacrociana finì “assorbita” nelle Massonerie portando a riti, gradi e denominazioni associative ancora esistenti e fino a generare epigoni quali Max Heindel e l’Amore.

Iniziamo con l’analizzare i connotati innovativi e specifici presenti i ciascuno dei tre documenti. Nella “Fama fraternititas” compaiono i tratti essenziali della nuova mentalità esoterica moderna:

Il riferimento a Dio appare sempre astratto e sempre congiunto con la personificazione idealizzante e totalizzante della “Natura” La storia “mitica” dei viaggi di studio di Christian Rosenkreuz ci narra di un Oriente, quale simbolo della sapienza, che non coincide più con Gerusalemme ma con un idealizzata e utopistica “Arabia”, quale patria di una “Repubblica dei filosofi”, modello sociale e politico e non solo spirituale! La sapienza del fondatore non viene esposta secondo Tradizione quale frutto della Grazia, della preghiera, dell’illuminazione, dell’ascesi mistica, ma quale conquista solamente umana ottenuta tramite impegno personale, libera discussione e doti innate. Per la prima volta nella storia si mescolano apertamente ideali esoterici di sapienza e trasmutazione interiore con ideali sociali di radicale riformismo e posizioni di netta ribellione all’autorità del Pontefice e della Chiesa cattolica, a cui si nega ogni legittimità e divinità: un mix esplosivo e rivoluzionario di politica, esoterismo, cultura e messianesimo laico che influenzerà e connoterà i tratti della modernità fino ad oggi; I Rosacroce si autodefiniscono un “Ordine” e una “Confraternita” e rivolgono il loro documento “ai Governanti, agli Stati e ai dotti d’Europa”. L’intento è chiaramente suggestivo e lobbistico e per la prima vota si strumentalizza l’esoterismo per condizionare non solo la spiritualità, ma anche la politica e il governo dell’ordine temporale. Oltre a ciò essi stessi si pongono quale depositari di una Sapienza eterna, autosufficiente, perfetta, e, rivoluzionariamente, superiore e autonoma rispetto alle religioni e alla altre tradizioni esoteriche. Il Pontefice viene parificato a Maometto e accomunato in una condanna senza appello, oltre che senza motivazione, come se fosse un usurpatore di un potere, di un ruolo e di una conoscenza che spetterebbe solo ai Rosacroce e ai loro sostenitori ! ancora oggi il radicalismo dei testi ci appare stupefacente! I Rosacroce fanno aperta professione di luteranesimo e di sostegno al Sacro Romano Impero germanico; Gli unici riferimenti alla tradizione esoterica riguardano il Mutus Liber e la figura di Paracelso. Si delinea un ideale da una parte utopistico di “Paradiso in terra” tramite l’applicazione sociale e politica di conoscenze scientifiche, filosofiche e esoteriche, e dall’altra si contesta la tradizionale trasmissione del sapere nonché la distinzione fra filosofa e teologia, ponendo quale meta gnoseologica invece la ricerca di ciò che è comune fra tutti i saperi e i sapienti. Loro stessi si pongono in diretta e mitica discendenza rispetto alla sapienza di Adamo, Enoch, Salomone e Mosè!

Il testo si articola poi nella descrizione mitizzante del ritrovamento del sepolcro del fondatore e si conclude con una fiera invettiva contro i falsi alchimisti, tale da ostentare indirettamente una loro forte, ed tendenzialmente esclusiva, legittimazione quali veri alchimisti, e finisce con un’audace professione di invincibilità e indistruttibilità. Per la prima volta quindi l’alchimia viene costretta in una linguaggio e in una forma sociale e ideologica e allontanata dalla tradizionale riservatezza dei singoli ricercatori e praticanti per i quali l’unico rapporto sociale era, saltuariamente, con il singolo governate o ecclesiastico, e, di norma, solo con il proprio discepolo o assistente.

Un aspetto illuminante si evince dal paragone che il testo compie fra i sapienti del passato, di cui i rosacroce si pongono arbitrariamente quali unici e legittimi eredi, e la forma di geometria alchemica del “trigono igneo” preso dal “Rosarium philosophorum”. Appare anche questa un’innovazione rivoluzionaria e moderna in quanto una nozione ermetica viene strumentalizzata in senso metaforico, propagandistico e ideologico. Assistiamo cioè all’inizio di quel processo di “soggettivizzazione” e di “socializzazione” dei riti esoterici e delle conoscenze alchemiche che si strutturerà in forma compiuta con la massoneria e l’illuminismo. Il senso profondo della “Fama fraternitatis” si ritrova in una spiritualità ibrida di tipo giudaico-neopagana.

Nonostante infatti qualche vago riferimento, raro, al nome di Gesù Cristo, in realtà nel documento il concetto di Dio appare disincarnato, cerebrale e puramente filosofico, a fronte invece di una simmetrica idolizzazione del concetto di “Natura”. Oltre a ciò si arriva addirittura a vagheggiare utopisticamente una futura “Societas” che non solo doni ricchezze materiali ai governi ma li istruisca come facevano “gli oracoli pagani” ! Si manifesta quindi, con forza e fanatismo ideologico, il mito di una laica “Repubblica dei filosofi”, analogamente a quanto accade in Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Perfettamente “protomassonica” appare la Societas anche nel nuovo concetto degli eterni ”Axiomata”.

Si legge infatti nella “Fama” come Christian Rosenkreuz avrebbe scoperto questi non meglio identificati principi di conoscenza nei suoi studi. Tale impostazione di “assolutismo metodologico”, che si pretende valido per ogni campo del sapere, ricorda molto il metodo massonico e la stessa struttura fondamentale delle massonerie. Il predetto brano dell’opera va letto anche in relazione con altre frasi in cui si accenna al metodo di studio e di ricerca del fondatore. Rosenkeruz viene descritto come un Guénon ante litteram: studia differenti culture e discipline rimanendone interiormente distaccato e si ritiene legittimato a “rettificarle”.

Il più ampio sincretismo religioso e culturale domina in questa impostazione mentale: il fondatore ad esempio valuta come le pratiche magiche che conosce a Fez non siano del tutto “pure”, e quindi allude alla loro necessità di correzione secondo la sua nuova e rivoluzionaria mentalità. Questa tesi implica quindi l’esistenza di una Tradizione iniziatica e sapienziale superiore ad ogni altra e legittimata ad intervenire in modo manipolativo su ogni cultura, essoterismo e religione! Altra connotazione che diverrà poi propria e tipica delle massonerie.

Uguale considerazione viene fatta per la Cabala praticata a Fez: non viene valutata da Rosenkruez perfetta perché influenzata dalla religione! A contrario emerge come il vero e preciso ideale rosacruciano sia teso alla “liberazione” laicista di ogni esoterismo e pratica magica dalle fastidiose religioni per ottenere e praticare una ritualità e un preteso sapere potenziato e assoluto!

L’opera sembra auspicare l’elaborazione di una “superCabala” e l’organizzazione di una super-setta gnostica, misterica, e filosofica di sapore neopagano, ma rivoluzionariamente e radicalmente antireligiosa, antimistica e antiascetica. Si pretendono i frutti rinnegandone le radici! Per questi connotati infatti possiamo parlare di un’ “ideologia esoterica” eterodossa e rivoluzionaria anche a confronto con le religioni, i misteri e i riti precristiani! Forse una possibile spiegazione deriva dall’ipotesi, in merito al tentativo di ricostruzione della genesi dell’idea rosacruciana, di una contaminazione fra un esoterismo di origine cristiana, nella riformulazione umanista e sincretistica, e pratiche e conoscenze di un giudaismo laico ed eretico, di probabile provenienza dai territori di commistione con la cultura araba e islamica.

Risulta infatti una caratteristica ricorrente nel testo, inquietante e anomala, l’esaltazione degli Arabi quali pretesi depositari di superiori saggezze e conoscenze. Sarebbero loro infatti ad “indirizzare” un sempre meno cristiano Christian Rosenkreuz nei suoi viaggi e nei suoi enigmatici studi! Probabilmente gruppi esoterici inglesi e tedeschi entrarono in contatto con prassi magiche ed esoteriche sperimentate nella Spagna ebraico-moresca.

Per alcuni aspetti storici e culturali del settarismo esoterico-politico giudaico si rinvia alle opere di Maurizio Blondet: “Gli Adelphi della dissoluzione” e “Complotti”. Blondet evidenzia un fatto importante: la crisi morale e spirituale che attraversò e segnò del tutto alcune comunità ebraiche dopo la distruzione definitiva del Tempio ad opera dei Romani nel 70 d.c. L’“adfectio Templi” era così forte per le gerarchie ebraiche da portar a vivere la sua distruzione come un “collasso religioso” senza precedenti. Questa crisi fù unica, e non ancora oggi del tutto superata, in quanto intervenne a pochi anni dall’inaugurazione dell’era cristiana e mentre la comunità cristiana di Gerusalemme stava crescendo (e crescerà fino a divenire in poco tempo maggioritaria e tale resterà fino all’invasione islamica).

Questo doppio “shock” spirituale dato dal successo del Cristianesimo e dalla distruzione del Tempio certamente portò alcune gerarchiche ebraiche a maturare un odio viscerale e ideologico sia contro Roma che contro la Chiesa cattolica e i cristiani. In questo scenario ovviamente le pratiche spirituali e le tradizioni rabbiniche assunsero una linea di sviluppo differente ed eterodossa rispetto al periodo precedente Cristo e la distruzione del Tempio. Accadde cioè una loro degenerazione in senso magico e gnostico, allontanandosi dalla stessa autentica tradizione rabbinica e talmudica per mescolarsi con le correnti gnostiche, sufiche e neoplatoniche. Se a ciò aggiungiamo la circostanza di come l’alchimia fu praticata nelle comunità ebraiche ciò spiegherebbe l’influsso ebraico sincretistico verificatosi con successo ed efficacia durante l’umanesimo e il rinascimento, e facente da “base” per il “progetto rosacruciano”.

Vanno infatti evidenziati alcuni dettagli dei manifesti rosacruciani che non sono tali, ma che dimostrano invece le influenze sui committenti ed estensori dei testi rosacrociani di un tipo particolare di giudaismo, rigettante Gerusalemme quale simbolo e dimensione spirituale. Emblematica appare la chiusa dell’opera nella citazione di Dio con la denominazione giudaica e moderna di “Jeova”. Lo scenario di vaga religiosità del libro sembra infatti rimanere ricompreso, nelle sue componenti cristiane (mal mescolate a quelle gnostiche e pagane) in una logica più da Antico e che non da Nuovo Testamento. Ma anche tale giudaismo di facciata che si esalta facilmente per le figure di Adamo, Enoch, Mosè e Salamone, in realtà cela l’’incomprensione fuorviante di un’ autentica tradizione ebraica”. La Bibbia per i rosacroce è solo un “meraviglioso libro” e non rappresenta più l’unico Libro sacro della Fede, semplicemente perché la Fede è stata sostituita nei suoi fondamenti dalla gnosi panteista! Le Sacre scritture devono essere sottoposte anch’esse al vaglio del nuovo metodo assoluto e ritenute solo in quanto “concordino” con gli altri saperi, quali la filosofia classica o il paganesimo. Nel complesso la spiritualità premassonica e preilluministica dei rosacroce si può apprezzare anche quale commistione di spiritualismo magico e di materialismo laico. Una conseguente contraddizione palese si nota nell’esaltazione di ideali di “purità” sapienziale, esoterica e gnoseologica giustapposta alla contestuale esaltazione materialistica ed eudamonistica delle ricchezze materiali che si possono ottenere grazie alla Societas.

Come possono apparire credibili quanto si scagliano contro i “soffiatori” se essi stessi si mostrano assai interessati alla produzione dell’oro? Dove non giunge il fascino del mistero i complottisti “rosacruciani” pensavano evidentemente ad attrarre nuovi adepti tramite il banale e prosaico luccichìo dell’oro! Da questa prima analisi possiamo trarre due conclusioni: a) i testi rosacrociani appaiono eretici e apostati sia in rapporto alla Chiesa cattolica che in rapporto alle confessioni protestanti, anche solo per l’esaltazione parossistica della figura del fondatore, oltre che per lo spirito gnostico e neopagano, b) i documenti dei rosacroce deformano la logica tradizionale dell’alchimia, sia decattolicizzandola e scristianizzandola, che facendola regredire in senso materialistico ed eudaimonistico. La ritualità alchemica viene pervertita in pratica magica desacralizzata al fine di usarla quale componente di magia cerimoniale a scopo suggestivo e performante.

La medesima logica e prassi della Loggia che pretende di sostituire definitivamente le tradizionali confraternite e gli Ordini cavallereschi cattolici. I vaghi accenni alla sapienza del fondatore e l’esaltazione di Paracelso confermano la visione magica e panteistica dell’esoterismo e della conoscenza. La Croce, nonostante il nome professato, viene svuotata di senso ed emarginata, mentre si assolutizza il simbolo gnoseologico ed ermetico del Cerchio e del Centro. Non appare chiaro quindi quale sia il legame che fonda la “Confraternita”, concetto cattolico, e renda i fratelli tali, se non l’esaltazione fanatica delle perfezioni del fondatore, che si prefigge addirittura di “perfezionare” la Chiesa (cioè tutte le religioni), e l’autoidentificazione degli stessi con una “Sapienza” ermetica e misterica che fuoriesce dai solchi tradizionali e storici per restare allusa in nuove mitologie e in moderni concetti filosofici. Giustamente i rosacroce sono stati considerati dei “pre-illuministi” in quanto la libera discussione dei dotti, il metodo sperimentale totalizzante, e la ricerca dei minimi comuni denominatori gnoseologici e filosofici appare porsi quale loro prioritario interesse.

Ma proprio per questo motivo và ribadita con decisione la loro alterità rispetto all’autentica alchimia e all’esoterismo antico e tradizionale. Il mito umanista della “Repubblica dei filosofi”, specialmente nelle sue moderne versioni rosacrociane e poi arcadiche, accademiche e infine settecentesche, si dimostra, proprio per la sua suggestività, una formidabile matrice settaria e complottistica. Il fatto che un elitario gruppo di dotti promuova, in forma riservata e mascherata, un progetto politico totalizzante, non può ancor oggi che destare stupore ed inquietudine, per il suo carattere fortemente rivoluzionario e per la sua pericolosità dal punto di vista sia psicologico che culturale e sociale. Passiamo ora ad analizzare il testo della “Confessio fraternitatis”. Esso si pone quale esplicazione della “Fama” e ne conferma i caratteri essenziali. Il testo inizia come finisce il precedente: con precisi rinvii al Dio ebraico: Jehova! Si tratta del Dio del giudaismo, non del Dio di Gesù Cristo.

Non si tratta di una svista in quanto si fa riferimento subito dopo all’attesa messianica del Sabato apocalittico. Siamo in presenza quindi di un tipo particolare di settarismo giudaico, misticheggiante e millenarista. Questa componente, decisiva per la genesi del progetto rosacruciano, ne potenzia la forza rivoluzionaria caricandola di valenza trascendente e di fanatismo religioso. Certamente alla base di ciò che portò all’esperimento rosacruciano deve essere avvenuta un’“alleanza esoterica e geopolitica” fra nuclei neopagani ed occultistici che si svilupparono all’interno del protestantesimo e di origine umanista, e alcune sette giudaiche. L’odio viscerale contro lo stesso nemico, il Cattolicesimo, deve averli portati a superare le loro profonde differenze e a voler costruire insieme “a tavolino” un esoterismo e una Cabala giudaico-gnostico-cristiana. Pico della Mirandola forse sarebbe stato felice di conoscere il vangelo rosacruciano!

Le prime pagine della Confessio insistono sull’urgenza di una radicale riforma globale della società e dell’umanità, sul carattere provvidenziale e divino di questa riforma e sull’imminenza di una palingenesi apocalittica, nel contempo coincidente con la realizzazione dello stesso progetto ideologico. Una sorta di “armonia prestabilita” viene narrata quale concordanza fra la volontà di Dio e l’agire della Societas. Oltre a ciò viene esposta l’idea, che sarà propria della massoneria, della “pansofia”, cioè della costruzione di una filosofia che è sintesi perenne e universale di ogni sapere. Addirittura si parla della loro filosofia quale misto di saggezza, medicina e teologia. Nel capitolo quarto lo scritto raggiunge il massimo dell’esaltazione divina di Christian Rosenkreuz, sfiorando l’idolatrìa. Si dice che basta la sua sapienza e i suoi studi, mentre potrebbero perire ogni altro sapere ed essere distrutti tutti i libri, in quanto con le opere del fondatore si potrebbe ricostruire tutto. Inquietante appare la ventilata ipotesi rivoluzionaria della distruzione della società al fine dell’universale rigenerazione. Questa è la scintilla misticheggiante di ogni rivoluzione!

Lo splendido segno alchemico e cristico della Fenice viene pervertito e strumentalizzato per vagheggiare folli palingenesi! Il fanatismo pagano e giudaico dei rosacroce arriva a ritenere che la prima volontà di Dio sull’umanità sia l’accrescersi dell’influenza e del potersi della loro confraternita! E Gesù Cristo? E la Redenzione? E il Vangelo? Tutto obliato di fronte al metodo gnostico e scienzista! Nel capitolo quinto viene riproposto il mito arabo, e specificamente si parla della città di “Damcar” quale modello di gerarchia politica ed esoterica, insieme all’attesa messianica di un nuovo Imperatore, raffigurato dal “Leone”, che distrugga il Papato e ad esso si sostituisca. Il tema viene sviluppato quale preannuncio di un’epoca prossima in cui saranno svelati i segreti e i misteri della Natura e ritornerà l’età edenica e adamitica.

L’argomento viene poi connesso all’interpretazione simbolista della Bibbia. Le Sacre scritture non vengono più intese quali testi ispirati da Dio in senso spirituale, etico e mistico per la crescita nella Fede ma quali testi culturalmente importanti in cui ritrovare selettivamente quei simboli e segni che corrispondono alla struttura del cosmo. “Contenuto fondamentale della nostra Regola è che ogni simbolo o carattere esistente al mondo deve essere compreso e rispettato…”. Questo concetto sincretista e relativista ben corrisponde ad una moderna mentalità agnostica e laicista che manipola l’esoterismo per scopi per potere e di persuasione senza condividerne e viverne veramente l’interiorità e la spiritualità. La Bibbia viene valorizzata non quale Parola di Dio indispensabile per la salvezza dell’anima, ma solo quale utile contenitore di simboli, a loro volta utili per legittimare la nuova concezione religiosa della scienza e della tecnica che si professa. Tanto più che addirittura i settari rosacrociani proclamano di saper predire il futuro e di aver inventato una lingua magica simile a quella usata da Adamo!

La “Confessio” si conclude analogamente alla “Fama” con una proclamazione di onnipotenza e superomismo e con un’ennesima invettiva contro la maggior parte dei libri sull’alchimia, dichiarati falsi. La polemica contro l’alchimia si giustifica settariamente ed ideologicamente quale tentativo di monopolizzare l’esoterismo tradizionale, pericoloso concorrente, svuotando l’importanza della vera alchimia e assorbendola nel metodo gnostico e laicista rosacruciano; obiettivo poi raggiunto quasi completamente dalla massoneria, dittatrice moderna di ogni residua ricerca esoterica.

I Rosacroce della “Confessio” nell’ultima parte del testo fanno addirittura dipendere la “felicità” dall’associarsi alla loro conventicola! Mentre nella “Fama” e nella “Confessio” viene usato uno stile da “proclama”, asciutto, imperioso e celebrativo, nelle “Nozze Chimiche” la struttura narrativa muta mostrandosi quale trattato assumente la forma di un viaggio onirico e iniziatico. Come dice il titolo il tema diviene ora quasi esclusivamente la materia alchemica. Di grande interesse quindi appare questo testo per indagare come e perché le lobbies che idearono i manifesti rosacrociani vollero intervenire sul patrimonio spirituale e culturale dell’arte regia. Data la complessità del testo non è possibile qui analizzarlo dettagliatamente come abbiamo fatto per i primi due ma si cercherà di estrarne i tratti essenziali.

Tre sono i criteri di lettura che possiamo assumere: a) lo stile narrativo a confronto con il linguaggio dei testi alchemici tradizionali b) gli elementi analoghi a quelli presenti nella “Fama” e nella “Confessio” c) il confronto la struttura simbolica della Tradizione alchemica. L’incipit dell’opera si rivela illuminante sulla sua natura. “La sera prima del giorno di Pasqua” accade la visione-apparizione iniziale di una donna angelica. La collocazione temporale appare già alchemicamente eterodossa in quanto la Settimana ermetica inizia con il lunedì della Settimana santa (o Settimana delle settimane) o addirittura con la vigilia dell’entrata di Cristo in Gerusalemme, mentre qui inizia il viaggio iniziatico più tardi, a Passione conclusa.

In questo modo le “Nozze Chimiche” eliminano la Croce dall’alchimia, svuotandone il sostanziale e fondamentale spirito mistico e cristiano. Viene conservata la struttura ermetica septenaria ma riportata in una dimensione spirituale e culturale altra, laica e immanente. Simmetricamente ritorna l’influsso giudaico nella figura, meramente allegorica, costrutto cerebrale e quasi comico, della Donna con le ali piene di occhi, la tromba e il suo fascio di carte fra le quali, poco ieraticamente “fruga” alla ricerca della missiva da dare al predestinato Rosenkreuz! Dal sapore ebraico, oltre che protestante, è il riferimento contestuale al “pane azzimo” da offrire, mentalmente, all’Agnello. Il sigillo che chiude l’invito alle Nozze dell’Agnello corrisponde alla monade di John Dee, corrispondente all’ “acqua fiammante” ermetica congiunta all’eclisse solare/lunare e ai 4 elementi. Il discorso del fondatore con se stesso dopo la visione rivela la dottrina protestante della predestinazione e della Fede senza le opere. L’inizio del viaggio mutua dall’alchimia alcuni simboli come la terna pane, sale e acqua e il rapporto fra corvi e colombe.

L’abbigliamento invece del protagonista richiama l’orgoglio di Johan Valentin Andrete che a voluto così inserire il suo stemma araldico fatto da una croce di sant’Andrea e da quattro rose. Il quadrivio richiama la crocefissione separatrice della materia nei suoi quattro elementi. L’idea invece di una serie di custodi che vegliano soglie e porte quali varchi concentrici verso il Palazzo di Dio, lascia intendere la propria origine ebraica. Oltre la leggera scorza della citazione biblica e vangelica della Sala del banchetto del Re celeste, la sostanza del comportamento degli invitati e delle varie Donne o Vergini che presiedono gli incontri rimanda non ad una logica veramente misterica o spirituale, ma alla dinamica cortigiana e borghese della Loggia. Nelle sale regali domina il caos e restano presenti fra gli invitati sprevegoli sentimenti quali la superbia, l’invidia e la derisione. L’episodio del Vangelo invece vedeva un Cristo sorprendere non un “invitato alla nozze dell’Agnello”, ma un “intruso” e per questo il Vangelo ne narra la cacciata e la conseguente dannazione eterna. Qui invece gli “invitati” dalla Grazia e dalla Sapienza divina restano nel complesso se stessi, compreso il protagonista, senza una vera ascesi o trasfigurazione interiore, e il fatto della “pesatura delle anime” (immagini egizia) non comporta grandi traumi ma solo una selezione, dentro la Loggia, dei “migliori”. In palazzi spiritual ed ermetici non assistiamo a riti sacri o a vere operazioni alchemiche ma ci viene narrato un clima da libera discussione illuministica e massonica.

Le schermaglie fra Rosenkreuz e la Vergine sembrano giochi amicali o maliziosi da cortigiani mentre l’indovinello da lei posto agli invitati, sofistico, futile e non risolvibile, ma anzi rinviante ad innumerevoli altri casi estremi “di scuola”, si rivela un esempio di esaltazione della mondana e dialettica “discussione” in Loggia. La Vergine non detiene una sapienza che dona risposte, anzi viene contraddetta dal protagonista, ma si limita ad incoraggiare il dialogo. Si tratta del primo caso di “imborghesimento” e materializzazione di uno scenario mistico ed ermetico il quale viene spietatamente e rozzamente strumentalizzato per altri fini ideologici, propagandistici e suggestivi. Si usano immagini e simboli antichi per rafforzare e modulare una moderna e rivoluzionaria operazione di potere.

Un altro elemento narrativo indice di questo decadimento dell’esoterismo si ritrova in tutti quei passi in cui si mescola la falsa modestia dell’autore/narratore all’elogio delle sue virtù e della sua predestinazione metafisica. Non si nota più il tono sacrale o misterico tipico dei testi alchemici e mistici, né la distanza fra l’indegnità di chi scrive e la divinità dell’esperienza. Il linguaggio infatti non è poetico o metaforico, ma risulta privo di ogni spinta anagogica in una ordinaria discorsività razionale da piccola corte o da pranzo conviviale. I valletti invisibili che servono la tavola e le stanze vuote del castello sono immagini prese dal ciclo bretone, mentre ritorna un’immagine alchemica solo dopo la narrazione della pesatura, nell’unicorno che incontra un leone arturiano che spezza la spada e la getta in una fontana, segno della solutio dei metalli e della purgazione del mercurio. Alla fine del terzo giorno del magico e pseudoalchemico viaggio la Vergine rivela il suo nome in un indovinello numerico: è l’“Alchimia” ovviamente.

Ricordiamo ancora una volta che la scansione in 7 giorni non risulta più ricalcata sulla Settimana santa o sui sette sacramenti o sui sette pianeti, come accade per l’alchimia cristiana tradizionale, ma sulla successione di una serie di passaggi cerimoniali. Mentre normalmente i testi alchemici raccontano una visione o una storia o criptano le operazioni e i significati tramite un condensato di immagini e simboli, cioè tramite l’uso sapiente di un linguaggio parallelo, nelle Nozze Chimiche al contrario si disaggregano le sequenze narrative ermetiche ricavando un racconto da alcune catene d’immagini alchemiche o da alcune scene ermetiche.

L’alchimia viene “usata” per raccontare e quale scenario di altre operazioni, ma non si tratta di un vero trattato ermetico. Sua Maestà appare non corrispondere al Cristo Re dei Vangeli e dell’Apocalisse, eloquente e con il cuore aperto, ma appare un immagine lontana, artificiosa, allegorica, sbiadita, quasi inutile, nel suo silenzio, al decorso del racconto. Questo perché si tratta di una trasposizione in parole dell’immaginario testuale ermetico. La stanza del torno sembra una “stanza magica o delle meraviglie”, un misto cioè di gabinetto scientifico e collezione di rarità. L’unica immagine alchemica verace appare l’immagine del serpente bianco attorcigliato al teschio.

Una delle allegoriche Donne viene indicata quale “Presidentessa” della riunione: comica e squallida nota dell’imbarbarimento protestante e democratico del linguaggio e della cultura sapienziale. La cena con le offerte al serpente ricordano l’Eneide e l’episodio sulla tomba di Anchise mentre il segno della corona sopra la mensa è presa dal ciclo bretone. Tutti questi dettagli erratici confermano la costruzione cerebrale del testo e la sua natura ibrida. Nulla resta della mirabile unità organica e della limpida sintesi dei testi alchemici autentici. La chiave di volta del viaggio iniziatico si trova appena dopo la veloce cena regale e nuziale, quando viene addobbata a lutto la sala.

Si tratta del passaggio conclusivo e risolutivo della Nigredo, a sua volta mutuante dalla Chiesa cattolica le tradizioni del Venerdì santo, quando si “vestiva” la Chiesa integralmente di nero e si esponeva il germe di grano al buio affinché si aprisse. Tradizione ancora diligentemente seguita da San Pio da Pietrelcina. La “decapitazione” ricorda quella di “Gawain e il cavaliere verde”, oltre alle note immagini ermetiche dello Splendor solis e degli altri testi alchemicamente canonici. L’autore della Nozze Chimiche si limita a narrare in forma discorsiva ed estesa ciò che l’arte, le miniature, i disegni e i testi tradizionali dell’alchimia compendiano in mirabile sintesi, e oltre a ciò traspone in forma cerimoniale, quale rito di ammissione e di “investitura”, le vicende metaforiche della Nigredo e del caput mortuum o testa di moro. Non caso nella massoneria resta il rito dell’imitatio mortis.

La metafora viene “letteralizzata” e materializzata, conservando un certo fascino suggestivo ma perdendo la sacralità e la funzione originaria. Così iniziò a perdersi il senso dell’alchimia e la comprensione del suo linguaggio. Il sesto giorno del racconto narra l’arrivo all’isola della settuplice Torre d’Olimpo, chiara immagine delle sette fasi dell’Opera. La prima operazione descritta riguarda la “solutio” del corpo regale. La seconda riguarda la formazione dell’Uovo ermetico o Materia prima e la sua covatura nella sabbia o sale. Dall’uovo sorge la Fenice nera, poi bianca e poi multicolore. Si accenna poi al lapislazzulo o polvere di Pietra. La Fenice viene poi decapitata e incenerita e con la sua cenere, impastata con l’acqua di lavaggio, viene formata la poltiglia che dà origine al corpo al corpo dell’Homunculus paracelsiano, novello Re e Regina redivivi. L’immagine della tromba fiammante che insuffla dall’alto la scintilla e l’alito di vita nei corpi preparati ad arte ricorda il mito ebraico del Golem. La “colpa” di Rosenkreuz ricorda la colpa di Atteone che contempla Artemide nuda e rinvia all’interpretazione di Giordano Bruno.

In conclusione la sensazione che si ricava dalla lettura corrisponde ad un misto di disagio e di oppressione, come per chi assiste ad una profanazione. Per esperienza diretta posso sostenere la possibilità di ideare e comporre testi suggestivi, allusivi e misterici anche in assenza di una vera partecipazione ad una Tradizione vissuta. La forza e la fertilità del linguaggio simbolico sono tali da poter farsi veicolare dallo stesso in modo da non comprendere del tutto ciò che si scrive pur raggiungendo risultati di efficacia linguistica! Il simbolo, se a lungo osservato e contemplato, “genera” altri simboli e quindi un racconto! Non credo tuttavia allo spontaneismo solitario di un giovane Johan Valentin Andreae.

Emerge quindi in conclusione un’antica domanda necessitata: chi sono i “mandanti” dei testi rosacruciani? A chi hanno giovato o dovevano giovare? Premessa l’attuale perdurante assenza di documentazioni storiche, a parte il contributo che probabilmente diede ad alcuni testi il pastore protestante Johann Valentin Andreae, non possiamo non ritenere utile ribadire alcuni aspetti comuni fra la “spiritualità rosacruciana” e l’opera di Francesco Bacone e John Dee. Due sono i connotati analoghi: il messianesimo laico ricco di “utopismo tecnocratico” e la congiunta teosofia spiritualistica e neopagana di fondo. L’ideale mitizzante della “Nuova Atlantide” e la pretesta rifondativa del “Novum Organum” appaiono analoghi, quale temperie culturale e intenzioni ideologiche, al progetto politico-esoterico roascruciano, mentre la “Monade” di John Dee prosegue la deviazione magica, pagana e pansofica dell’alchimia e dell’ermetismo inaugurata da Paracelso e presente nei testi in esame. Il “progetto rosacruciano” appare simile, e utile, rispetto al progetto politico-culturale imperialistico di Elisabetta I.

Il nazionalismo laico e cesaropapista della nuova Inghilterra protestante/anglicana abbisognava di una legittimazione e di un rafforzamento culturale ed esoterico e a tale scopo furono decisivi per Elisabetta sia lo spiritista e sperimentatore Francesco Bacone che il “mago” John Dee. Anche politicamente il vagheggiare un Sacro Romano Impero protestante ed esoterico, e non più cattolico, mito che rimase seduttivo fino al tentativo di Hitler di riunificare le sette protestanti germaniche e di inaugurare un “Nuovo corso” nel senso di un Ordine esoterico neopagano, non poteva che essere ben visto o addirittura promosso o ispirato dalla corte inglese, certamente a partire dalla scomunica della Regina inflitta dal Pontefice San Pio V nel 1570.

La tecnica usata per la diffusione pubblica dei manifesti rosacruciani risulta corrispondere ad una delle tattiche più diffuse dalle prassi settarie e lobbistiche moderne: “gettare il sasso nello stagno” per verificare le reazioni e attendere di intercettare chi si muove con interesse verso la novità. Così è accaduto come dimostra il celebre aneddoto di un Cartesio che gira l’Europa alla vana ricerca della Confraternita dei Rosacroce e come dimostra la successiva mitologia, che Guénon volle accreditare, del “ritorno in Oriente” o nell’ “invisibilità” della fantomatica Confraternita a causa dell’indegnità di un Occidente ormai da “demolire” e svalutare. Al successo della Controriforma e dei Gesuiti andava contrapposto un alternativo “Ordine”: elitario, esoterista e radicalmente anticattolico.

Il “fenomeno Rosacroce” va considerato, nella sua importanza, quale primo modernissimo tentativo di “sperimentazione esoterica” nel sociale e nella politica, quale “prima uscita” matrice dei molti successivi “movimenti” rivoluzionari e ideologici di mentalità promossi e indotti da elites lobbistiche e teosofiche. Costante lo scopo: alterare la psicologia collettiva tramite la cultura e la persuasione suggestiva per preparare gradualmente un “terreno” utile ad innovazioni politiche e spirituali rivoluzionarie. Nella storia il “divide et impera”, britannico ed esoterista, in parte funzionò efficacemente nel caos di un’Europa seicentesca lacerata e indebolita dagli scismi religioni e dalle guerre politiche e nazionalistiche.

Negli stessi documenti si lamenta con sofferenza il caos sociale e culturale in cui versa l’Europa e a cui la soluzione laica e sincretista rosacruciana tenta di dare risposta e soluzione. Ciò corrisponde alle medesime motivazioni e finalità sociali che con acutezza Massimo Introvigne delinea nello studio dell’origine della massoneria moderna. Va detto infine che l’importanza esoterica dei manifesti rosacruciani sia stata assolutamente sopravalutata. Fù un fenomeno più politico e culturale che esoterico. Anzi esotericamente il “rosacrucianesimo” rappresenta il “peccato originale” della modernità come lo fù il protestantesimo nella religione. Ciò non toglie che tale “eresia esoterica” non interruppe del tutto la tradizione autentica dell’alchimia che continuò fino alla fine del settecento per poi soccombere allo sconvolgimento derivante dalla rivoluzione francese. Le Nozze Chimiche quindi mentre vorrebbero porsi quale “Summa” dell’alchimia invece si rivelano quasi una parodia dell’arte regia, un ‘operazione di “saccheggio” di un bagaglio e di un patrimonio spirituale prezioso, giocata sull’ambiguità del linguaggio simbolico e asservita a “sottili” operazioni di potere e di configurazione di nuovi “idola”.

I riti e le operazioni ermetiche diventano gesti sociali di “marchiatura”, il “Solve et coagula” da principio di trasmutazione cristica del microcosmo si fa degenerare a modello politico ed etico rivoluzionario, la pienezza dei tempi inaugurata da Cristo si perverte nella “sesta età” del sesto braccio della Menorah, la decapitazione del mercurio volgare diventerà la decapitazione di Luigi XVI, la Beatrice/Sapienza di Dante decade nella pagana Donna-sacerdotessa delle Nozze Chimiche, addirittura illogicamente ed ereticamente superiore alla Sposa, i quattro Esseri viventi del Trono di Dio e della visione di Daniele diventano un mero “intrattenimento” da intermezzo teatrale o una decorazione di arredamento cerimoniale! Umano troppo umano!

L’idea poi del “Centrum” quale nucleo permanente ed occulto, lato esoterico dell’essoterica “Repubblica dei filosofi”, ebbe, purtroppo grande successo suggestivo nei secoli successivi fino a giungere all’ analogo “Aggarti” di Guénon, alla “Shangrilà” dei teosofi ottocenteschi e al Tibet ariano della “Loggia” Vril. Da Gustavo Adolfo, a cui certamente guardavano con venerazione e speranza i committenti dei manifesti rosacroce, fino ad Adolf Hitler, il fanatismo esoterico protestante è andato sempre a braccetto con il fanatismo politico anticattolico e anticristiano.

L’unico senso autenticamente alchemico relativo alla Rosa+Croce si ritrova nell’immagine posta a frontespizio dell’edizione del 1681 della “Fama fraternitatis”: una croce latina con in centro una rosa il cui gambo si avviluppa serpentinamente sul braccio verticale e il tutto al centro di un triangolo equilatero inscritto in un cerchio. L’immagine è contornata dalle quattro lettere: R.C.R.C. poste in quadrato attorno al cerchio. Il simbolo composito pone la Rosa in rapporto alla Croce come il Serpente innalzato di Mosè e quello edenico rispetto all’asta di bonzo e all’Albero della conoscenza. Oltre a ciò il cerchio perfetto, o ouroboros cioè drago/serpente che si morde la coda, indica l’Acqua Madre o Materia Prima o Latte di Vergine, dato dalla perfetta e stabile dialettica dei due agenti che diventano uno, cioè lo Zolfo e il Mercurio filosofico congiunti.

Il triangolo equilatero con il vertice posto verso l’alto indica la sublimazione e l’ascensione dello Zolfo perfezionato e igneo. A sua volta il gambo serpentino della Rosa indica l’elevazione o sublimazione dell’umidità radicale dei metalli. Il triangolo e il cerchio uniti manifestano il senso dell’ “acqua fiammante”. Il triangolo rivela anche la terna corpo/anima/spirito e la stessa Pietra filosofale composta dalla fusione di Sale, Zolfo e Mercurio. La croce indica la perfetta separazione e perfezionamento dei quattro elementi ottenuta con il fuoco e la fissazione del volatile.

Le spine significano i Sali e le foglie la “causa pavonis”. Non c’è rosa senza spina (e senza Croce) appare qui più di un banale motto popolare moralistico. La Rosa indica l’Opera stessa nella sua apoteosi e il Fuoco stesso trasfigurativo. La Rosa che fiorisce dal centro della Croce rivela la fecondazione dal Sangue raccolto del Pellicano, il formarsi della Pietra viva e splendente, la proiezione e moltiplicazione dalla Polvere rossa, la restaurazione dello stato edenico, la rinascita del Cuore del Re, l’apertura dell’Occhio, il fissarsi della Stella del mattino. La Rosa che fiorisce corrisponde al cubo del corpo e del sale, con sei facce e otto angoli, che si esplica trasformandosi nella croce latina. Il gambo che sale a spirale rinvia al caduceo ermetico. L’immagine mostra anche la concordanza fra quadrato, cerchio e triangolo del “Rosarium philosophorum”. Le lettere R.C. potrebbero anche significare “Regnum Christi” e “Resolutio corporis” come le lettere, lette verticalmente, “R.,R.” : “Rosa Resurrecta (o Reposita)” mentre “C.,C.” andrebbe per: “Cinabrum Cruciatum” o “Cinera Celata”. Come si vede è facile giocare con i sensi reposti quando il linguaggio simbolico viene decontestualizzato. Nel complesso il senso ermetico tratteggiato trova conferma della propria genuinità nella corrispondente e simmetrica ricostruzione in chiave di mistica cristiana.

La Rosa è il Cuore della Vergine Madre trafitto misticamente dalla spada sul calvario, posto ai piedi della Croce, e infine elevato misticamente fino a collocarsi, quale corredentrice, sopra al Cuore stesso di Cristo. Il gambo è la scala mistica di Giacobbe. Il triangolo ricorda le tre trafitture del corpo di Cristo sulla Croce, o Tau, e il cerchio il cosmo e l’orbe terracqueo, ma pure la santa Gerusalemme e lo stesso monte del cranio, a sua volta segno ermetico. La congiunzione fra triangolo e cerchio mostra l’eclisse mistica corrispondente alla Crocefissione. L’immagine sopra analizzata non può essere però monopolizzata o rivendicata dai presunti rosacroce in quanto appartiene al patrimonio comune e plurisecolare dell’arte regia, nonostante l’innovativa ed efficace riformulazione visiva data dalla collocazione della rosa al centro della croce. Ma anche nell’invenzione e nella sperimentazione operano accostamenti profondi, come quello appunto della croce con l’immagine della rosa: entrambi segni ignei, fiammanti, opposti ma complementari nel comune rinvio all’idea del Centro, del Varco, della duplice irradiazione.