Quante volte ci siamo chiesti se la nostra vita fosse all'altezza delle nostre aspettative, o se il nostro lavoro ci appagasse ma soprattutto, se davvero fossimo felici?

L'essere umano da sempre si domanda cosa lo possa veramente rendere felice e cosa invece gli sia nocivo. Fin dai tempi dell'antica Grecia - con il diffondersi delle filosofie "eudemonistiche" che avevano proprio l’aspirazione di ricercare la felicità - la mentalità dell’uomo cambiò, facilitando l'introspezione e la capacità di analizzare dentro di sé. In particolare Seneca, filosofo e autore latino, ricercò molto la sua felicità interiore: individuò dei precetti e delle regole di vita che servissero, per esempio, a non cadere nelle tentazioni o nei desideri materiali. Infatti, egli sosteneva che «il vero saggio non è colui che si lascia trasportare dalle emozioni ma è colui che rimane stabile e lucido in qualsiasi situazione».

Nei secoli ci sono state diverse accezioni di “gioia” e diverse sfaccettature che hanno reso l'uomo praticamente, succube di questa ricerca interminabile. Gli economisti Mauro Maggioni e Michele Pellizzari, autori del libro Alti e bassi dell'economia della felicità, spiegano che in realtà ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felici di 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate e desideriamo sempre di più. In risposta, si potrebbe essere favorevoli alla tesi per la quale la soddisfazione personale sia strettamente connessa a ciò che possiamo “toccare con mano”. Tutti desideriamo più soldi, più vestiti o in generale più averi ma non ci rendiamo conto che sono delle priorità fittizie, che ci illudono e che contemporaneamente ci appagano così tanto.

È proprio questo il binomio fondamentale: avere-volere, quello che man mano andrà avanti nella maggior parte delle popolazioni economicamente sviluppate o capitalistiche. Più si torna indietro negli anni, ad esempio a vent’anni fa, e più si ritrovano priorità sane e valori reali, sicuramente anche più quiete nell'animo non essendo vincolati a qualcosa. La domanda di conseguenza che sorge spontanea è: si continuerà così oppure ci sarà un limite in cui ci si accorgerà della realtà che ci circonda?

«Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all'assenza di strumentalità. Il senso di un'azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell'azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso» (dall’autore Stefano Zamagni, Avarizia. La passione dell'avere).

La risposta alla domanda precedentemente posta è proprio questa: il nostro farmaco sono le azioni generose verso un amico, quelle che ci soddisfano interiormente grazie al sorriso di quella persona. Quelle che veramente contano e che soprattutto non sono nocive a nessuno, se queste interazioni fossero false - esattamente come le cose materiali - la nostra situazione sarebbe decisamente negativa sia a livello sociale sia a livello personale. Attenzione però, a non trasformare ciò in un'azione utilitaristica o che vada a nostro vantaggio perché in quel caso, il gesto perderà tutta la sua validità e sarà esattamente uguale come ad un'azione mai compiuta.

Certamente scrivere regole sulla ricerca della felicità, non ci assicura nulla ma sicuramente può aiutarci a capire. Nella Dichiarazione d'indipendenza dei Tredici Stati Uniti d'America, viene espressamente scritto: "Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità", diritto basilare di ogni essere umano e al quale non bisogna mai arrendersi.