A Milano sta per arrivare un nuovo tipo di manager, leggevo in un articolo online del 29 agosto 2022. Ma non un manager qualunque: il Manager della Felicità. Scritto proprio così, con la F maiuscola (ché, si sa, la Felicità è una cosa seria). Figura che arriva dagli Stati Uniti, dove di recente è nato il ruolo di CHO – Chief Happiness Officer. Il motto è: azienda felice, vita felice. Nel senso di vita professionale felice, prima di tutto (poi a cascata anche quella privata).

Il Manager della Felicità si occupa innanzitutto di monitorare il clima dell’ambiente lavorativo di un’azienda, così come il benessere dei dipendenti. L'obiettivo è apportare i necessari miglioramenti come far sì che uno alla mattina si svegli felice ed entusiasta di recarsi in ufficio, che si trovi immerso in un contesto sereno, piacevole, dove le relazioni sono sane, funzionanti, efficienti, il lavoro in team stimolante e dove la propria opinione viene valorizzata, sempre.

Stiamo forse parlando del paradiso? No, semplicemente di un ambiente di lavoro dove l’intervento del Manager della Felicità che può proporre piccole modifiche piuttosto “semplici”, ma d’impatto, come la possibilità di usufruire di cibo gratuito in ufficio, o quello di realizzare un ambiente meno asettico, più “colorato”, “vivo”, curato nei dettagli. O ancora, può creare sportelli di ascolto per chi ha bisogno di un qualche supporto, zone relax dove passare del tempo di “ripresa energetica” scordando di essere in ufficio. Lo scopo, di fondo, riguarda non solo il singolo dipendente, ma l’intera azienda: stimolare la pro-attività, incrementare la qualità del lavoro, incentivare il raggiungimento degli obiettivi. Negli Stati Uniti stanno già nascendo corsi di formazione e master per diventare Manager della Felicità.

A Milano si contano per ora più o meno 250 figure simili – ma il numero è destinato a crescere. Lavorare sul senso di felicità è importante – specie di questi ultimi tempi, che ci hanno visti allontanarci e disgregarci, allentare le relazioni, nascondere sorrisi ed emozioni dietro una mascherina. La nascita e crescita di una professione che si prefigge di creare un ambiente di lavoro “felice” ci fa capire l’interesse crescente verso le emozioni.

Non che non se ne parli, è che talvolta ce le dimentichiamo. Ne parliamo per un breve attimo e poi andiamo oltre, immersi in un mondo che deve essere soprattutto veloce ed efficiente. Ma adesso è possibile raggiungere rapidità ed efficienza anche tramite un lavoro sulle emozioni: ce lo dice il Manager della Felicità.

Nel 2021 il Sole 24Ore ha pubblicato un manuale che indaga proprio le emozioni sul posto di lavoro: Emozioni al lavoro, di Francesca Romana Puggelli, docente e giornalista. La constatazione è semplice, quasi banale, si legge nell’introduzione: “Di fatto, un luogo di lavoro è pieno di emozioni proprio come qualunque altro posto della nostra vita: stare a contatto con altri esseri umani, per almeno 8 ore al giorno, rende estremamente emozionante l’esperienza lavorativa. E in un periodo in cui le emozioni sono fortemente sollecitate, come durante la pandemia, questo aspetto della nostra vita è ancora più rilevante.”

Già, pare che la pandemia ci abbia fatto capire l’importanza di molte cose, spesso trascurate… tra cui le nostre emozioni. Esiste la cosiddetta “intelligenza emotiva”, di cui si parla (ancora) troppo poco, ma che rappresenta un caposaldo cruciale della formazione di ogni essere umano – per stare bene dentro il contesto relazionale, con gli altri, ma anche con sé stessi. Si tratta della capacità di riconoscere i propri ed altrui sentimenti ed emozioni. Di saper gestire in maniera positiva le proprie emozioni interne ed esterne, nelle relazioni sociali.

Emozioni al lavoro parte da un’analisi di cosa e quali sono le emozioni principali, di base, come felicità, gioia, piacere, paura, tristezza, rabbia. L’aspetto interessante è che non fa una suddivisione “canonica” tra emozioni positive e negative. Secondo l’autrice, questa distinzione non ha validità scientifica: “Ogni emozione, per il fatto di essere una risposta della nostra psiche a una situazione esterna, è positiva”. Concetto ribadito anche dallo psicoterapeuta Giorgio Nardone, secondo cui le emozioni non siano mai negative, ma semplici “meccanismi di adattamento alla realtà”.

L’aspetto davvero importante, invece, è come noi reagiamo alle emozioni: “Quello che conta è il controllo e la manifestazione delle emozioni nei confronti degli altri: qui si esercita la vera positività o negatività”, sottolinea Puggelli nel suo libro. Nell’ambito lavorativo, il libro poi introduce un’espressione che è uno dei pilastri su cui probabilmente lavorerà il Manager della Felicità: l’energia emotiva, ossia quella specie di “corrente vibrazionale” positiva che può nascere dentro un gruppo di lavoro, capace di facilitare sia il lavoro in sé che i rapporti tra i membri di del team.

L’energia emotiva nasce quando il gruppo si concentra su un obiettivo comune, come può esserlo un determinato progetto. Grazie a questo progetto condiviso, il team inizia a condividere anche un’emozione, a “ragionare emotivamente tutti nella stessa maniera” (osserva Puggelli). Inutile sottolineare gli effetti positivi di questa condivisione emozionale, sia sul piano del rendimento che delle relazioni. In particolare, ne risulta rafforzato il senso di solidarietà.

Puggelli suggerisce varie strategie per regolare al meglio le nostre emozioni sul lavoro. Tra quelle proposte, tutte molto interessanti, a mio avviso spicca il cosiddetto “cambiamento cognitivo”: in poche parole, un cambio di prospettiva di una determinata situazione o evento. Se una nostra proposta progettuale a cui teniamo molto viene bocciata, per esempio, invece di viverla come una sconfitta, vederla come stimolo per un nuovo punto di partenza. Un’occasione per individuarne un’altra che possa inserirsi meglio nel contesto.

Per una buona gestione delle emozioni, molto – se non tutto - dipende dal singolo individuo e dalla sua reazione comportamentale. Come osserva Puggelli: “Quello che l’emotion management ci suggerisce è di iniziare a preoccuparsi di più di se stessi, imparando ad ascoltare le proprie emozioni. A volte può essere utile prendersi un break per fare chiarezza nelle proprie emozioni oppure condividere le sensazioni provate con qualcuno, non tanto per “razionalizzarle”, quanto piuttosto per capire quali sono i veri motivi per cui ci siamo arrabbiati o ci siamo sentiti umiliati.”

Importante è, prima di tutto, individuare queste motivazioni “nascoste” alle nostre reazioni emotive, per valutare poi la strategia comportamentale o cognitiva di intervento più adatta. Importante anche andare oltre la tipica dicotomia emozione buona o cattiva, per arrivare a concepire il nostro vissuto emotivo come “un grande tutto”, da imparare a gestire per mantenerci in equilibrio in tutti gli aspetti della vita.

Importante rimane, infine, l’empatia verso gli altri, grazie alla quale ci avviciniamo agli altri, riusciamo a “sentire” le loro emozioni come se fossero le nostre – e agire di conseguenza, riconoscendo e dando il giusto valore, a quelle emozioni. Ecco allora che ci aspetta un gran lavoro, come società tutta: investire nell’ambito delle emozioni, con progetti educativi e formativi rivolti a tutti, dai bambini in poi. Continuare a fare quel che si fa già nelle scuole, nei centri formativi ed educativi, palarne in famiglia, in ogni struttura relazionale, portarne consapevolezza - per un futuro relazionale migliore.