Il piombo…forse stanco di trasformarsi e che non si vuole trasformare più.

(Primo Levi – Il sistema periodico)

Molti pensano che la letteratura fantasy sia un modo per evadere dalla realtà. Noi crediamo invece che essa sia uno dei pochi modi per spiegarla. Nel 1997 il genio di J.K. Rowling, autrice di Harry Potter e la pietra filosofale, offre agli appassionati del fantasy un termine specifico per designare tutti coloro che non appartengono alla stirpe dei maghi. In italiano sono i cosiddetti “babbani”, in inglese vengono chiamati dall’autrice "muggle” nei romanzi della saga di Harry Potter e “no-maj” in Animali fantastici e dove trovarli.

Grazie al quarto libro della saga apprendiamo quindi l’esistenza di un simpatico incantesimo: il “repello muggletum” o, nel testo italiano, “repello babbanum”, destinato a proteggere proprio l’inconsapevole schiera dei muggle dal rischio di scoprire l’esistenza della magia, evento che nuocerebbe loro tanto quanto ai maghi stessi. Ma perché, viene da chiedersi, i babbani o no-maj dovrebbero essere protetti dalla conoscenza magica?

Quando leggiamo o guardiamo una storia dai contorni fantastici forse pensiamo o perfino speriamo di essere per una volta risparmiati dalle morali sulla vita, dai drammi fin troppo contorti della psiche umana o dalle tregende della cronaca. In parte è così. La corsia del magico, infatti, ci assolve dalla routine dell’esistenza ma, allo stesso tempo, senza che possiamo accorgercene, ci porta sopra un cavallo alato verso la sua verità.

Uomini e metalli, secondo gli antichi testi di alchimia, erano la stessa cosa. Duttili e malleabili alcuni, più duri e inflessibili altri. Contese, diatribe e persino guerre sono state condotte nel corso dei secoli in ragione della presunta superiorità di un metallo-uomo ritenuto nobile su di un altro consacrato come meno nobile.

"Egli può davvero cambiare la sua “sostanza” e diventare quello che non è?". Era il presupposto teorico che fondava il conflitto. Può un non-mago diventare mago?

Babbano non è colui che non conosce la propria origine, ma colui che non la ricorda. Un non-ricordatore di professione potremmo definirlo. Seduto agli ultimi posti della sala rotonda dell’universo che lo congiunge alla fonte, dopo la separazione tra suono e rumore egli non sente più il richiamo del direttore d’orchestra; potremmo appellarlo un non-uditore seriale che vive perciò senza traumi il frastuono che assorda le periferie terrestri.

Il mago, dal canto suo, sente il richiamo dell’origine anche troppo. Solo se lo ascolta riesce creare e se lo tradisce è costretto a distruggere. Ricordare è la mappa che lo smarrisce agli occhi del mondo, gli fa percorrere un’altra strada. Ascoltare è il volano che ha per trovare questa strada. Se l’universo è una cattedrale, essa pesa interamente sul cuore del mago. Il babbano ha certamente un cuore, ma non sa mai dove l’ha messo.

Immerso nel mondo visibile, lo ha scambiato facilmente con un orologio per meglio cadenzare senza imprecisione il tempo che crede di avere infinito. Dal ritmo rassicurante e sempre uguale, il suo amore è più simile all’affezione prudente di un tifoso non praticante, all’affiliazione distaccata ma gentile con gli alleati con cui di volta in volta esercita sentimenti di gruppo. Il babbano si aggrega. L’amalgama gli dà le certezze con cui le pietre della cattedrale erigono il muro necessario per dividere l’edificio.

Il mago è un mentitore, un ladro di professione. Come un bambino deve nascondere le sue malefatte allo scopo incompreso di difendere la sua libertà e quella del mondo. Non è un caso infatti che sia proprio Hermes-Mercurio il suo custode, il dio multiforme che per salvare il “messaggio” del mondo superiore deve trovare soluzioni che sfidano il buon gusto. Nato al mattino presto, già a mezzogiorno il dio delle scienze ermetiche si occupa di rubare le vacche di Apollo per usare le loro interiora come corde dello strumento che inventa: la lira.

Allo stesso modo, il mago all’alba della sua storia dentro le tasche non trova che metafore sonore con cui intonare per il mondo intero l’ora della liberazione. Il mondo però è fatto di soldatini di piombo che marciano inneggiando all’ora del dovere. Essi prendono le parabole del mago, ne fanno dei chiodi e solo dopo averlo appeso come un manifesto gli dichiarano la loro fede.

Il babbano, dal canto suo, ha imparato a smettere di mentire. Per necessità di una carezza passeggera ha piegato il suo collo al guinzaglio, ha svuotato le tasche confessando il suo furto, ha imparato a pensare che la cinghia del padrone è più importante della libertà dello schiavo. Il babbano accetta senza drammi che la vita è come la neve che cade: sei chiamato a sporcarla. Il mago sa che la vita è come la neve che cade. Perciò non ha pace finché non gli riesce l’incantesimo che permette ai suoi piedi di non calpestarla.

Il babbano teme e vuole essere temuto. La solitudine per lui è un prezzo troppo alto. Il babbano dice “una volta…ora non più”. L’eternità lo spaventa, il sempre lo imbarazza. È stato un bambino, ora è cresciuto. Così succede, gli hanno detto, e alle esequie del pargolo che è stato si è presentato perciò senza proteste. Il mago non cresce. Impara. È un infante che ha preso bacchetta e cappello per celare il suo cuore sempre-uguale sotto la congerie delle sue molteplici trasformazioni. La sua legge immutabile lo condanna a guardare dove altri non sospettano, a immaginare dove altri non concepiscono, a creare dove la maggior parte ha abbassato le insegne. Se il babbano soffre senza sapere, per il mago l’esistenza è un’operazione chirurgica senza anestesia. Egli non sa infatti quali inverni matureranno i semi che ha piantato “impossibili”.

Posto a capofila di un esercito invisibile, il mago è destinato a districare dalle maglie feroci del tempo lo spazio per distillare la luce dalle tenebre e a fare da scudo con i suoi arnesi alla “oblivione” del non-mago per proteggere sia lui che la conoscenza magica. Chi vive a piano terra, infatti, non sospetta le vertigini dell’attico: le teme, perciò vuole distruggerle.

D’altronde, il fuoco che non scalfisce il diamante può arrivare a ridurre in cenere il carbone. Diamante e carbone, però, sono fatti della stessa “sostanza” e nessuno potrebbe negare che tutti gli esseri umani almeno una volta nella loro esistenza sono stati, sono e saranno in parte maghi e in parte babbani.