Essere un Indiano significa vivere con la terra, con gli uccelli e con i pesci come fossero propri fratelli e sorelle. Significa considerare la terra una vecchia amica e un vecchio amico che hanno conosciuto tuo padre. Per noi Indiani, la nostra terra è veramente la nostra vita.

(Rrimoichard Nerysoo, Inuit)

Il Direttore del primo museo in Italia dedicato ai Popoli Artici e agli Esploratori Polari Italiani, il Museo Polare "Silvio Zavatti" di Fermo è Gianluca Frinchillucci, dirige anche la storica rivista “Il Polo” ed è coordinatore della “Carta dei popoli artici”. Da anni lavora con passione ad un progetto di ricerca nelle aree polari artiche e subartiche, inteso a definire il profilo culturale e antropologico delle popolazioni dei ghiacci per difendere le culture tradizionali ancora esistenti e creare rapporti di cooperazione e di interscambio culturale a sostegno delle comunità locali. La cultura Inuit e la sopravvivenza di queste popolazioni risultano purtroppo fortemente minacciate a causa dei mutamenti economico-sociali e delle condizioni di vita derivanti dai cambiamenti climatici e, dalla maggiore influenza della cultura e degli stili di vita occidentali, oltreché dalle forti pressioni provenienti dalle potenze economiche sempre più interessate allo sfruttamento delle risorse naturali di cui le loro terre sono ricchissime.

Nel Museo, tra orsi polari, narvali e trichechi sono conservati ed esposti, una vasta e preziosa collezione con centinaia di oggetti, una biblioteca e un archivio storico ricco di testimonianze che raccontano la cultura artica attraverso l’arte, le danze e le tradizioni dei popoli dei ghiacci, abitanti del Polo Nord. Gli Inuit, sono un popolo indigeno che vive nelle regioni della Groenlandia, Canada, Alaska e Siberia. Discendono da antiche popolazioni dell'Asia centrale che circa trentamila anni fa, migrarono in tutta l'area artica e subartica sino a raggiungere a est la Groenlandia, a nord l'odierno Québec, e il Labrador.

Negli anni queste meravigliose popolazioni stanno modificando i propri modelli sociali, adattandosi al modello globale, perdendo sempre più il contatto con le proprie radici ancestrali. I popoli artici rispettano da sempre ogni forma di vita, in un rapporto armonioso tra esseri umani, ambiente, animali e piante. A salvaguardia della propria cultura autoctona e del loro ambiente, hanno costituito nel 1977 l'Inuit Circumpular Council; ICC, organizzazione non governativa e plurinazionale che opera attivamente per il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e la difesa del loro ambiente naturale.

Nell'aprile del 1999 è stato creato nel nord del Canada un nuovo territorio abitato in prevalenza da Inuit, Nunavut che ha lo stesso grado di autonomia politica ed economica che hanno gli altri territori del nord. Ad amministrare il patrimonio degli Inuit pensa la Nunavut tunngavik con le sue società ed è previsto dal Nunavut act la creazione di tre nuovi parchi nazionali. Si stampano anche alcuni giornali, tra cui il Nunatsiaq News, 6500 copie la settimana e principale fonte d'informazione in inglese e inuktitut. Gli Inuit canadesi si sono uniti con quelli della Groenlandia, dell'Alaska e della Siberia per dare vita alla, un organismo che si fa interprete delle preoccupazioni e degli argomenti più importanti che riguardano l'intero emisfero artico.

Al Direttore del Museo Gianluca Frinchillucci chiediamo di descriverci le esperienze e il lascito del Fondatore Silvio Zavatti, coraggioso difensore dei diritti civili delle popolazioni indigene che, grazie anche alle sue battaglie sostenute presso le Nazioni Unite, hanno ottenuto l’autodeterminazione nelle scelte che riguardano la loro esistenza e il loro territorio.

Nel 1944, ha fondato a Forlì l'Istituto Geografico Polare e la rivista "Il Polo", nel 1959 aveva effettuato la prima spedizione polare nell'isola periantartica di Bouvet. Ebbe un ruolo di primo piano nel panorama internazionale organizzando e guidando diverse spedizioni scientifiche fra le quali una in Antartide e cinque nell’Artide, fra Canada, Groenlandia e Lapponia.

Partecipò al secondo conflitto mondiale e, in seguito, ebbe un ruolo nella guerra di Liberazione e nella rinascita delle istituzioni democratiche. In parallelo all’impegno politico, avviò un’intensa attività scientifica. Nel 1944, fondò nella città natale l’Istituto Geografico Polare. Nel 1945 si trasferì nelle Marche divenne proprietario della “Casa Editrice Zavatti”, stampò il primo numero della rivista scientifico-divulgativa “Il Polo”, ancora oggi in pubblicazione. Nel 1958 elaborò un programma per la costruzione di una base scientifica italiana permanente nella Terra della Regina Maud.

Nel 1959, nello stesso anno del Congresso Internazionale di Geofisica, approdò nell’isola periantartica di Bouvet. Nel 1958 pubblicò l’Atlante Geografico Polare. Silvio Zavatti ebbe il suo primo contatto con gli Inuit nel 1961, a Rankin Inlet nell’Artide canadese. Da questo incontro, che lo cambiò inesorabilmente, ebbe inizio la sua battaglia come paladino del popolo dei ghiacci. Nel 1962 fu con Walter Minestrini e Vladimiro Riccobelli in Lapponia, tra il popolo dei Sami. Nel 1963 si spinse fino alla Groenlandia orientale, nel distretto di Angmagssalik. La spedizione fece ricerche di psicologia, studiò le danze, l’arte, i canti, l’ordinamento scolastico e l’ecologia umana. In questa gloriosa spedizione, scoprì un reperto archeologico unico al mondo, un graffito su roccia raffigurante un cane da corsa e risalente alla cultura Saqqaq, circa 2000 anni a.C.

Nel 1967 e nel 1969 fu di nuovo nell’Artide canadese. Il primo anno nel villaggio di Rankin Inlet, già visitato nel 1961, il secondo anno a Repulse Bay. A Rankin Inlet furono completate le ricerche iniziate nel 1961 e furono girati due documentari a colori sulla vita nella tundra e sul gioco di cordicelle. A Repulse Bay oltre alle ricerche, furono effettuate osservazioni topografiche che portarono alla correzione di molti errori esistenti nelle carte canadesi e furono studiati i resti di Forte Hope, costruito nel 1846 dall’esploratore inglese John Rae. La spedizione a Repulse Bay fu l’ultima avventura di Zavatti come esploratore.

Tornato dalla sua ultima spedizione, aprì il Museo Polare a Civitanova Marche, sua città di residenza e ora ospitato a Fermo. Nel 1971 scrisse un appassionato articolo sulla nazione Inuit e partecipò a numerosi congressi internazionali in difesa delle comunità indigene. Finalmente, nel 1976, gli Inuit dell’Artide canadese rivendicarono la loro autonomia dal Governo canadese. Quattordici anni dopo la sua morte, gli Inuit realizzano il loro sogno creando il territorio del Nunavut, in Inuktitut “La Nostra Terra”. Ci lascia un grandissimo patrimonio culturale, storico e scientifico, un’infinità di articoli scritti sulle più importanti riviste specializzate e un Testamento morale, rivolto ai giovani affinché “trovino nello studio e nella ricerca ardua la strada per innalzare se stessi e la Nazione” (da Terre lontane, i diari inediti di Silvio Zavatti, a cura di Luigi Martellini, Ed. SetteCittà, 2010)”.

Il figlio di Silvio, Renato Zavatti, Presidente Associazione Esplorazioni Polari Italiane e la nipote Lucia, storica dell’arte, ne hanno raccolto il testimone e collaborano attivamente alla gestione del Museo Polare e della rivista, insieme a Giorgio Marinelli e Cesare Censi. Nel maggio scorso, il museo ha acquisito una prestigiosa donazione, oltre cento manufatti degli artisti Inuit, patrimonio inestimabile che fa del Museo fermano uno tra i più importanti d'Europa. La collezione è stata donata dalla gallerista milanese Anna Molinari, oggi è in fase di studio.

A Daniela Zanin che sta lavorando al catalogo e all’esposizione permanente presso le nuove sale del museo chiediamo di descriverci la collezione e il suo grande valore.

“L’importanza della collezione recentemente acquisita deriva dal fatto che si va ad aggiungere a una collezione di manufatti canadesi rappresentativi della Groenlandia e dell’Alaska, conferendo all’insieme un carattere di completezza al fine di narrare le grandi culture artiche.

Le sculture, risalgono alla prima e seconda metà del secolo XX e sono state scolpite da maestri scultori del Nunavut. Prima degli anni ’50 le sculture avevano una circolazione regionale, venivano realizzate su commissione oppure esclusivamente per il desiderio di lasciare vive e durevoli testimonianze ai posteri. Tuttavia negli ultimi fortunati decenni e grazie al grande interesse manifestato in ambito internazionale, l’arte per gli Inuit ha assunto un significato più profondo. Gli anziani maestri nativi hanno incrementato il talento degli artisti più giovani creando così nuove professionalità più qualificanti che si possano sostituire all’artigianato sottopagato e al gioco d’azzardo. Il conseguente riscatto sociale ha consentito ai gruppi indigeni canadesi di riappropriarsi della propria identità.

Oltre che strumento di riappropriazione identitaria la produzione artistica inuit si prefigge di tramandare il loro sapere tradizionale; le difficili condizioni di vita imposte dall’ambiente artico hanno determinato una straordinaria capacità di adattamento dei nativi che, nel corso di millenni, hanno messo in atto complesse strategie di sopravvivenza e ideato importanti innovazioni tecniche. Gli attrezzi che corredano le sculture litiche contemporanee, quali, ad esempio, arponi, lance, coltelli oltre che le agili imbarcazioni, quali i Kayak sono esemplificativi dell’essenzialità e della forma ergonomica degli utensili che, seppur realizzati con pochi materiali disponibili, erano particolarmente raffinati ed efficaci.

Lo studio delle sculture permette di cogliere due importanti valenze Inuit: la prima è la volontà di testimoniare il profondo e antico rapporto simbiotico con l’ambiente naturale. Nel mondo Inuit il rispetto per Nunatsiaq (la splendida terra), ha sempre rivestito carattere di centralità: salvaguardare la natura è come salvaguardare la propria identità.

Gli studi relativi alle ecologie native riconoscono agli Inuit un atteggiamento ambientalista fortemente interiorizzato; i cambiamenti climatici e i nuovi sistemi di sussistenza, a volte subiti più che scelti, hanno intaccato il loro modo di vivere, ma non le loro convinzioni. La seconda valenza è quella di tramandare storie, miti e leggende, di narrare cioè storie antiche con l’apporto di interpretazioni personali derivate dalla realtà di cui sono attualmente attori. La scultura contemporanea veicola pertanto racconti del passato e un’importante funzione letteraria oltre che documentale.

Un’ultima considerazione, prima di descrivere sinteticamente la collezione, riguarda i materiali compositivi delle sculture: anticamente la pietra, allo stato grezzo, veniva utilizzata principalmente per fini utilitaristici, oppure, per quanto riguarda la steatite, per fabbricare le lampade alimentate da olio di balena, sempre accese nelle abitazioni.

Nel tempo il serpentino e la steatite, pietre adatte all’intaglio e caratterizzate da grandi varietà di colori, si sono sostituite all’avorio e alle ossa di balena, materiali vietati in base alle regole internazionali ma che anticamente venivano prescelti come materiale scultoreo prioritario. La collezione Molinari è prevalentemente composta di statue in pietra, se si eccettuano alcune raffigurazioni in osso di balena fossilizzato, corno, o avorio, perlopiù ricavati da materiali di deriva.

Nello specifico, la collezione comprende cento sculture e utensili, in serpentino, steatite, osso e avorio - risalenti alla prima e seconda metà del secolo XX - ai quali si aggiungono alcune grafiche ottenute grazie all'utilizzo di apposite matrici in steatite intagliate dagli scultori Inuit canadesi. Le sculture sono il risultato del felice connubio che si è creato tra innovazione e memoria e, seppur realizzate secondo i canoni dell'arte figurativa contemporanea, evocano il passato, quando la spiritualità connotava il credo animistico degli Inuit, i quali credevano fermamente alla pluralità di spiriti e alla potenza della natura.

Non esisteva un pantheon di divinità da venerare bensì un insieme di personaggi mitologici da rispettare collegati al mondo naturale. Nella cultura Inuit la figura sciamanica rivestiva un ruolo di grande prestigio. Lo sciamano veniva considerato un intermediario privilegiato con le potenze soprannaturali, a cui si rivolgeva per propiziare la caccia, scongiurare il cattivo tempo oppure ottenere la guarigione dalle malattie. Agiva a beneficio delle comunità, utilizzando appositi accessori quali strumenti a percussione, maschere e copricapi zoomorfi, che contribuivano ad esaltare e condividere il suo stato di estasi o trance.

Canti e danze accompagnavano i rituali degli sciamani: si riteneva che essi, in quanto operatori del sacro, potessero a loro volta trasformarsi negli Spiriti Guida o negli Spiriti Tutelari invocati impersonificati dagli animali che popolavano l'ambiente artico o dai propri antenati. La forza e l'emozione che trasmettono le sculture Inuit derivano dall'empatia che suscitano, vi si percepiscono infatti la tensione psicologica e la partecipazione emotiva degli autori, che inducono il fruitore dell'opera a condividere l’esperienza estetica degli artisti. L'aspetto narrativo delle sculture riguarda anche le attività collegate alla vita quotidiana e ai sistemi di sussistenza. Sono infatti frequenti le iconografie riconducibili a scene di caccia marittima e terrestre. La profonda conoscenza dei fenomeni naturali, delle variazioni climatiche e soprattutto dei comportamenti animali, un tempo aveva creato una sorta di interiorizzazione con l'ambiente circostante, ancor viva.

Come già evidenziato, salvaguardare la natura, per gli Inuit, equivale a salvaguardare la propria identità. La simbiosi con gli elementi della natura coinvolgeva tutti gli aspetti della loro vita e si manifestava in una visione del mondo governato da “forze” possenti, incarnate nell’ambiente naturale che bisognava – a fini propiziatori – conoscere e rispettare. Si riteneva, ad esempio, che fosse impossibile catturare un animale senza il suo consenso. La potenza dell'arte Inuit è conseguente alla capacità di evocare con tecniche stilistiche sperimentate da millenni, emozioni, paure e sentimenti comuni all'intera umanità”.