Il 13 ottobre 1822 moriva a Venezia, nella casa dell’amico Florian, il più celebre figlio di Possagno, Antonio Canova, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo soprattutto nella scultura di cui era maestro eccelso. Nato nel 1757 in una famiglia di scalpellini e affidato alle cure del nonno paterno, tagliapietre, subì i suoi maltrattamenti che incisero sul suo animo sensibile e delicato, ma imparò anche da lui l’arte che gli sarebbe stata congegnale.

Antonio catturò la simpatia di Giovanni Falier che lo prese con sé curandone la formazione professionale, fino a mandarlo a Venezia come garzone; con i soldi guadagnati, Canova si iscrisse all’Accademia di Nudo in bacino San Marco, quindi trascorreva molto tempo a studiare, cosa non certo difficile nella città lagunare.

Realizzò in quel periodo “Canestri di frutta” e “Euridice” e “Orfeo”. Con la fama poté permettersi uno studio a San Maurizio, quindi entrò nell’Accademia Veneziana, per poi trasferirsi a Roma, dove poté perfezionare la propria arte. La visita di siti e dei fasti antichi gli consentirono di imparare molto, anche studiando lingue straniere. Attratto dal Neoclassicismo di Winchelmann, ne divenne entusiasta sostenitore; andò a Napoli dove visitò la Collezione Farnese e la Cappella Sansevero, rimanendo folgorato dalla bellezza del “Cristo velato” lì esposto. Non da ultimi furono determinanti gli scavi di Pompei, Ercolano e Paestum per il suo studio della classicità. Furono gli anni di produzione di “Dedalo e Icaro”, “Poleni” per il Prato della Valle di Padova, “Apollo che s’incorona”, “Teseo che siede sul Minotauro”, opera finita nel 1783 che ebbe un travolgente successo in Italia e all’estero. Il colonnello inglese Campbell gli commissionò anni dopo “Amore e Psiche”, oggi esposta al Louvre. Gli incarichi arrivarono copiosi, tanto che Caterina II lo avrebbe voluto in Russia, ma l’artista declinò l’invito inviando una seconda copia di “Amore e Psiche”, oggi esposta all’Ermitage. Giunsero gli anni napoleonici e gli accordi del Trattato di Tolentino del 1797, grazie al quale il Papa cedette al vincitore della prima Campagna d’Italia numerose opere d’arte e manoscritti, un convoglio.

Canova perse il vitalizio garantitogli da Venezia e le promesse di Napoleone non vennero mantenute per il suo mantenimento, così tornò a Possagno e poi andò in Austria, alla corte di Francesco II d’Asburgo-Lorena di cui rifiutò il vitalizio, costruendo tuttavia nel 1805 il deposito funebre per Maria Cristina d’Austria nella chiesa di Sant’Agostino di Vienna. Successivamente Canova fu a Praga, Dresda, Berlino, Monaco, poi ancora a Possagno dov’era nato, e a Roma. Napoleone gli chiese un ritratto e a Parigi divenne l’artista ufficiale napoleonico ma, rammaricato per i continui trasferimenti in Francia di opere d’arte italiane, tornò a Roma. Riconosciuto da Accademie di tutto il mondo, rimase sulla cresta dell’onda grazie a capolavori indiscussi e indiscutibili dell’arte neoclassica, fino alla statua alla sorella di Napoleone, “Paolina Borghese come Venere vincitrice”, ora esposta alla Galleria Borghese di Roma, pur se visse male l’occupazione francese della città eterna.

Canova fu amico del conte Tadini per il quale produsse la “Stele Tadini” del palazzo di Lovere, per la morte dell’unico figlio del nobile. Ammirato da Foscolo, autore del poema omonimo di una scultura di Antonio, “Grazie”, Canova al tramonto dell’epoca napoleonica riuscì ad ottenere le restituzione delle opere d’arte depredate, meritando il titolo di Marchese d’Ischia dal Papa nel 1816. Ammirato e da alcuni denigrato, Canova incanta dai suoi marmi ancora oggi, perché ha dato loro sensualità, morbidezza, un’anima tale da farceli sembrare vivi, così come essi stessi riescono a fare restare lui, per sempre.