Anche la Chiesa cattolica1 ha un suo diritto, che è il “diritto canonico”, costituito dall’insieme delle regole formali di organizzazione giuridica dell’esperienza religiosa associata dei cristiani; con l’avvertenza che fin dai primordi la comunità ecclesiale ha avuto coscienza della specificità di queste sue “regole”, tanto da volerle denominare – per differenziarle dalle leggi poste dal potere civile – “canoni” (dal greco “canon”, che significa misura e dunque, in senso metaforico, regola)2. Senza ovviamente poter riassumere la storia della vasta produzione canonistica, e così le sue molteplici tappe evolutive, è appena sufficiente ricordare come “al momento della convocazione del Concilio Vaticano I le linee fondamentali del sistema giuridico canonico sono ancora offerte dal Corpus iuris canonici. Con questo termine, ufficialmente adottato da papa Gregorio XIII nel 1580, si designa l’insieme delle più autorevoli collezioni in cui, prima del Concilio di Trento, si è venuta consolidando l’esperienza giuridica della Chiesa” 3. Pertanto, anteriormente alla prima codificazione del diritto canonico (avvenuta col Codice del 1917), le fonti canonistiche potevano suddividersi in tre categorie: jus vetus (dalle prime collezioni canoniche al Decreto di Graziano del XII secolo4); jus novum (da Graziano al Concilio di Trento) e jus novissimum (dalle fonti successive al Concilio di Trento). Con la promulgazione del Codex del 1917 fu invece lo stesso codice (can. 6, n. 2) a definire jus vetus tutto il diritto anteriore al Codex stesso5. Finché si arriva al Concilio Vaticano II, Concilio ecumenico di grande importanza voluto da Papa Giovanni XXIII (e poi concluso da Papa Paolo VI)6, per far fronte alla crisi della società chiamando la Chiesa “a compiti di gravità e ampiezza non inferiori a quelli che ha dovuto affrontare nelle epoche più tragiche della sua storia, in quanto deve mettere a contatto con il Vangelo il mondo moderno in cui al grande progresso materiale… non corrisponde un eguale avanzamento in campo morale… per rispondere ai ‘segni dei tempi’”7.

Va poi osservato che il Concilio Vaticano II, pur privilegiando la “pastoralità” sulla “giuridicità”, non esclude la presenza di norme giuridiche, ma impone soltanto all’interprete di ricavarne la presenza e il valore dalla attenta analisi del contenuto dei vari documenti conciliari8. Inoltre, dopo la conclusione del Concilio si è registrata una intensa attività legislativa da parte della Santa Sede e, tra i numerosissimi provvedimenti, come non ricordare, ad esempio, l’istituzione del Sinodo dei Vescovi, che raccoglie i rappresentanti dell’episcopato mondiale per offrire al Papa un contributo sui temi più complessi. In tempi più recenti poi - esattamente il 25 gennaio 1983 - si arriva alla promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico, al termine di un articolato percorso di revisione iniziato proprio dal famoso discorso di annuncio di Papa Giovanni XXIII del 25 gennaio 1959.

Va anche rilevato come anche Papa Giovanni Paolo I avesse espressamente manifestato l’intenzione di proseguire nella revisione dei due Codici di diritto canonico (vale a dire quello della tradizione latina e quello della tradizione orientale), “per assicurare alla linfa interiore della santa libertà dei figli di Dio, la solidità e la saldezza delle strutture giuridiche”; e come successivamente Giovanni Paolo II, tra i primi atti del suo pontificato, abbia provveduto a confermare il Cardinale Felici alla guida della Commissione per la revisione del Codice9. Il nuovo Codice di diritto canonico ha così portato a compimento l’opera di riforma iniziata dal Concilio; e “benché sia stato preannunciato insieme con l’assise ecumenica, tuttavia esso cronologicamente la segue, perché i lavori intrapresi per prepararlo, dovendosi basare sul Concilio, non potevano aver inizio se non dopo la sua conclusione”. Per questo possiamo pienamente condividere il giudizio secondo cui “questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare10. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio canonistico l’immagine della Chiesa, tuttavia, a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario”11. Molto sinteticamente va anche ricordato che fanno parte del diritto canonico una serie di altri atti12, tra cui atti pontifici “motu proprio”, precetti, privilegi, dispense e rescritti, il diritto suppletorio13, la consuetudine, la giurisprudenza matrimoniale dei tribunali ecclesiastici ed anche il vasto campo delle norme delle Chiese particolari (pensiamo ai Sinodi diocesani) e delle Conferenze episcopali nazionali e regionali.

Come disposto dal can. 8 normalmente le leggi ecclesiastiche universali vengono promulgate con la pubblicazione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis ed entrano in vigore compiuti 3 mesi dal giorno apposto al numero degli “Acta”. Premesso che il Codice di diritto canonico non fornisce una definizione della legge – limitandosi a regolare le questioni pratiche relative alla sua produzione, efficacia e interpretazione – è “universalmente accettato dai canonisti l’insegnamento di Tommaso d’Aquino che riconosce nella “lex” una disposizione della ragione diretta al bene comune e promulgata da chi ha la responsabilità della collettività”14. Inoltre, va rimarcata la distinzione tra norme di “diritto divino naturale” (presenti nella stessa natura umana), di “diritto divino positivo” (direttamente derivante dalla Sacra Scrittura) 15 e norme di “diritto umano o ecclesiastico” (con la precisazione che la potestà ecclesiastica esiste ed è fonte giuridica in virtù del diritto divino che la legittima). L’unica, vera e insostituibile legge fondamentale è il Vangelo, a cui deve essere subordinata ogni norma canonica. La costituzione conciliare “Dei verbum” afferma poi che la Sacra Scrittura e la viva “Tradizione” costituiscono “un solo sacro deposito della parola divina affidato alla Chiesa”, riconoscendo al “solo Magistero vivo” di quest’ultima “l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa”16.

Dunque, se è vero che normalmente le norme di diritto divino non possono essere modificate dalla Chiesa, è altrettanto vero che in determinati casi la Chiesa ha ricevuto da Dio una speciale facoltà in tal senso (si pensi ad esempio alla dichiarazione di nullità del matrimonio). Senza contare che se il diritto della Chiesa si presenta come immutabile nei suoi principi – considerati come inderogabili in quanto posti da Cristo – si rivela anche dotato della massima “duttilità”, per la capacità di sapersi adattare con viva sensibilità alle molteplici circostanze della vita, singola e comunitaria (tipico esempio di questa “saggezza interpretativa” è il ricorso alla “equità canonica”)17.

Così sommariamente delineato il perimetro concettuale del nostro “diritto”, cercheremo brevemente di riflettere sul suo rapporto con la Chiesa. Tipica è stata l’obiezione secondo cui vi sarebbe una radicale incompatibilità tra fenomeno giuridico ed essenza spirituale della Chiesa o, almeno, una decisa insofferenza o totale indifferenza nei confronti della dimensione giuridica18. Tuttavia, la Chiesa è fortemente radicata nel tempo e nello spazio ed oltre disciplinare – almeno per certi aspetti – il rapporto del singolo con la divinità si occupa soprattutto delle relazioni che intercorrono tra i vari soggetti nell’ambito della comunità ecclesiale19. Inoltre, la Costituzione conciliare Lumen gentium insegna come vada respinta con fermezza qualunque tentativo di contrapporne l’aspetto “visibile” e quello “spirituale”, l’elemento “terrestre” e quello “celeste”20. Infatti “la società costituita da organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato”21. E proprio l’immagine paolina del “corpo” e delle “membra” 22, a cui aggiungerei l’altra della “vite” e dei “tralci”23, ci richiama il necessario e vitale legame con Cristo e lo stato di profonda e reale (seppur invisibile) comunione tra tutti i battezzati e, in generale, tra tutti gli uomini; in più questo organico legame di tutti noi (sue membra) è fondato certamente sul mistero di amore trinitario24, ma anche sull’ordinata costituzione di tutto il creato, che ha precise “regole” stabilite da Dio, seppur non tutte interamente da noi conosciute25; per cui si realizza quel mirabile equilibrio tra “amore” e “norma”, tra infinita misericordia e perfetta giustizia26, che fonda la sostanza del diritto della Chiesa che, come sappiamo, mira alla “salvezza delle anime”.

Pertanto dire che Dio è un mistero (pensiamo al sacrificio di Cristo) di perfetta carità, ciò non esclude la sua incomparabile giustizia. Perché “di ogni cosa perfetta ho visto il limite, ma la tua legge non ha confini”27. E partendo dal presupposto che la Chiesa ha questo “doppio” carattere umano e divino, occorre mai dimenticare che essa è sempre una comunità imperfetta di uomini e donne, che necessita anche dello strumento giuridico per garantirne il funzionamento e la “certezza” dell’istituzione. Tanto per fare un esempio significativo, è indubbia l’importanza dell’Eucarestia nella vita della Chiesa, ed anzi la sua assoluta centralità28; ed è evidente come la liturgia (come preghiera pubblica radicata nella viva e autentica esperienza della fede), la spiritualità, la riflessione teologica, la preghiera e la Tradizione (come testimonianza autentica e certa di fede vissuta nella Chiesa) educhino i fedeli alla sempre migliore comprensione e adesione alla sua realtà salvifica, e li aiutino a viverla pienamente per poter poi affrontare l’impegno quotidiano della missione nel mondo. Ciò non toglie però che il Codice di diritto canonico preveda il delitto di profanazione delle specie consacrate (can. 1367). Perciò, da questo punto di vista, anche il diritto della Chiesa è dotato di sanzioni, rendendolo compatibile con alcuni “criteri identificativi” del diritto in generale. E se è vero che la radice dei comportamenti è il cuore dell’uomo29, è altrettanto vero che il diritto deve assolvere alla sua nobile funzione sociale, umana e dunque ecclesiale. Se resta molto eloquente e vera questa famosa espressione paolina: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”30; proprio questa necessaria debolezza dell’”involucro”31 necessita dello strumento giuridico. Va anche riprovato “il funesto errore di coloro che sognano una Chiesa ideale, una certa società alimentata e formata di carità, alla quale (non senza disprezzo) oppongono l’altra che chiamano giuridica. […] Dunque, nessuna vera opposizione o ripugnanza può esistere tra la missione invisibile dello Spirito Santo e l’ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno ricevuto da Cristo. Anzi queste due realtà si completano e perfezionano a vicenda (come in noi il corpo e l’anima). […] Che se nella Chiesa si scorge qualche cosa che denota la debolezza della nostra condizione, ciò non deve attribuirsi alla sua costituzione giuridica, ma piuttosto alla deplorevole tendenza dei suoi singoli membri al male, tendenza che il divin Fondatore permette che esista anche nei membri più ragguardevoli del suo Corpo mistico, affinché venga messa alla prova la virtù sia delle pecorelle sia dei Pastori e in tutti si accumulino i meriti della Fede cristiana”32.

Certamente il diritto canonico favorisce l’acquisizione della piena consapevolezza della dignità battesimale e della corresponsabilità dei fedeli nel cercare il bene della Chiesa33, evitando anche che diventino evanescenti i loro fondamentali diritti-doveri; giacché, come è risaputo, “il diavolo è nel dettaglio”, di conseguenza è possibile anche affermare dei finti “sì” che, nel tempo – e senza l’ausilio e le garanzie del diritto – si confermano dei “no” reali.

Ancora una questione – apparentemente soltanto teorica e cavillosa - merita di essere segnalata, a proposito del rapporto (complesso) tra diritto e teologia34. In sostanza – tenendo conto di quanto prospettato fino adesso – il diritto canonico è una disciplina giuridica con metodo teologico, oppure una disciplina teologica con metodo giuridico?35 Io convintamente propendo per la prima ipotesi36. Il diritto di per sé è già naturalmente orientato al bene, ed ha una sua universale vocazione a servizio dell’umanità certamente voluta da Dio37 (al di là di settoriali e ulteriori specializzazioni giuridiche). Senza contare che la giustizia (a cui mira la scienza pratica del diritto) è una essenziale virtù cardinale. Ecco perché Orio Giacchi ebbe a dire che, se l’ordinamento della Chiesa si concepisce come ordinamento giuridico, non vi è dubbio che “la meta principale, se non l’unica, alla quale deve tendere la scienza canonistica è quella stessa meta che dev’essere raggiunta dalla scienza giuridica ogni volta che essa si ponga a studiare un determinato ordinamento: una costruzione completa e armonica di tale ordinamento che ne offra il sistema. Infatti, secondo il maestro della Università Cattolica, dal punto di vista giuridico formale ‘non vi è alcuna effettiva differenza tra diritto canonico e diritti laici… come si devono usare le stesse regole fisiche per la costruzione degli edifici sacri e di quelli profani’“38. Fatta questa “difesa” della giuridicità del diritto canonico, è indubbio che occorra una visione, un “metodo”, una sapienza interpretativa teologica, proprio (continuando nella metafora) per le finalità e funzioni del nostro “edificio sacro”. Del resto un celebre autore come il D’Avack – pur nella sua intransigente difesa dell’autonomia della scienza canonistica – non giunge mai a negare ogni funzione della teologia nello studio di questa nobile disciplina. Pertanto, non è nella negazione delle basi teologiche della scienza canonistica che si può garantire la giuridicità della disciplina; ma, semmai, è proprio partendo da questa intrinseca “teologicità” e dalla suprema finalità della “salus animarum” che si realizza la funzione, la peculiarità e il fascino di questo particolare diritto (anche dal punto di vista comparativistico), che sa cogliere la sfida di disciplinare, con strumenti giuridici, rapporti umani e sociali in un ambito squisitamente spirituale e religioso.

Note

1 Solitamente ci si riferisce alla storia del diritto della Chiesa in Occidente (che è quella più importante); tuttavia, “è auspicabile venga superata l’idea che non possa parlarsi di diritto canonico e di storia del diritto canonico in aree extracattoliche od addirittura al di fuori dell’ambito della Chiesa cattolica di rito latino”, così L. Musselli, Storia del diritto canonico. Introduzione alla storia del diritto e delle istituzioni ecclesiali, (Collana di Studi di diritto canonico ed ecclesiastico – diretta da R. Bertolino), Giappichelli 1992, 7.
2 V. G. Caputo, Introduzione allo studio del diritto canonico moderno, tomo primo, Cedam 1987, 5.
3 Così G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, Il Mulino 1979, 11.
4 Denominato anche Concordantia discordantium canonum, in quanto questo celebre autore, maestro di teologia a Bologna, si propose di “conciliare” i canoni discordanti, nel tentativo di ridurre ad unità il sistema giuridico della Chiesa quale era venuto delineandosi negli undici secoli precedenti, v. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 11.
5 Così L. Musselli, Storia del diritto canonico, 8.
6 Interessante il giudizio storico del Cardinale Giuseppe Siri, il quale, rispondendo ad una mia domanda se il Concilio si fosse giovato del fatto di esser stato convocato e guidato da due Papi, mi disse: “tra un secolo le risponderò!”, v. R.C. Delconte, Una testimonianza sul Card. Giuseppe Siri – “Il Concilio Vaticano II è da leggere in ginocchio”, in L’Osservatore Romano del 20 agosto 2006, 7.
7 Così G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 25.
8 Senza contare la pubblicazione completa degli atti del periodo antepreparatorio e preparatorio nonché dei verbali integrali delle Congregazioni conciliari, per consentire ad operatori e studiosi di rendersi conto del processo di formazione delle singole deliberazioni, v. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 29.
9 V. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 34.
10 Cfr. G. Feliciani, La codificazione per la Chiesa latina: attese e realizzazioni. Dobbiamo tornare alle Decretali?, in Papato, episcopati e società civili (1917-2019) – Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico (a cura di M. Madonna), Marcianum press 2020, 103.
11 Così Papa Giovanni Paolo II, Sacrae Disciplinae leges – Per la promulgazione del nuovo Codice di Diritto canonico, 25 gennaio 1983.
12 Ricordiamo anche che il 18 ottobre 1990 è stato promulgato da Papa Giovanni Paolo II il Codice dei canoni delle Chiese orientali (in vigore dal 1° ottobre 1991).
13 Va anche precisato come il can. 19 affermi che, qualora una determinata materia manchi di espressa disposizione di legge, oltre al ricorso ai principi generali del diritto, alla giurisprudenza, alla prassi della Curia romana, vi è “il modo di sentire comune e costante dei giuristi”.
14 Così G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 41.
15 Se è vero che il “diritto divino” viene considerato come immutabile, è altrettanto vero che la conoscenza del diritto divino non è definitiva, ma si realizza attraverso un continuo processo di approfondimento da parte dell’uomo. Questa considerazione non è fatta per avallare un certo “relativismo”, ma vuole semplicemente riconoscere il senso della storia – per nulla estraneo alla teologia cattolica – e quel metodo di “pedagogia divina” (che tiene conto delle concrete capacità dell’uomo) ben presente nella stessa Bibbia.
16 Cfr. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 64-65.
17 Cfr. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 70.
18 Cfr. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 58. E’ stato anche sostenuto che ciò che più potrebbe sconcertare l’osservatore esterno della Chiesa, è il fatto che essa si è data un proprio ordine: “e lo ha cementato con uno strumento di per sé profano e terrestre, quello stesso con cui si reggono tutti i potentati, tutti i regni, tutti i domini della terra: lo strumento dell’organizzazione e della coercizione giuridica… Erede, con ciò, in tutto e per tutto, di Roma: sotto ogni profilo, anche negativo, Chiesa di Roma, continuatrice della sapienza giuridica e politica di Roma”, così G. Caputo, Introduzione allo studio del Diritto canonico moderno, 4. Cfr.: G. Philips, La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II. Storia, testo, commento della Costituzione “Lumen gentium”, Jaca Book, 1969; P.A. Bonnet, Comunione ecclesiale. Diritto e potere, Giappichelli, 1993; G. Ghirlanda, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione, Pont. Univ. Gregoriana, San Paolo, 2006.
19 Cfr. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 58-59.
20 Così G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 59.
21 Così Lumen gentium n. 8, lett. a).
22 1Cor 12,12-31.
23 Giovanni 15,1-8.
24 Del resto “Dio è amore”, v. 1 Giovanni 4,8.
25 Ricordiamo, ad esempio, le famose cinque vie per dimostrare l’esistenza di Dio – elaborate da San Tommaso d’Aquino – di cui la quarta via si basa sui diversi “gradi di perfezione” delle cose, implicando ciò che vi sia un ente superiore che, avendo in sé il massimo di queste perfezioni, possa essere causa dei minori gradi di perfezione presenti nel mondo. Mentre la quinta via, partendo dalla constatazione che tutte le cose dell’universo appaiono ordinate in vista di un fine, e poiché gli enti naturali sono privi di conoscenza, quest’ordine presuppone l’esistenza di una intelligenza ordinatrice che è Dio.
26 Come affermava il Cardinale Giuseppe Siri, solo Dio – nella sua somma, eterna grandezza – riesce a conciliare cose che sembrerebbero opposte, come ad esempio riuscire a governare il mondo (giacché Dio non si è limitato a crearlo per poi ritrarsi nel suo trono di infinite perfezioni), ma anche a rispettare nel massimo grado la libertà umana (libertà da lui stesso fondata e garantita). Perché “la dote suprema dell’anima è la sua libertà… Per la libertà dinnanzi all’uomo si leva la sua possibilità di mente, la sua responsabilità, il suo valore e l’essenza della sua personalità”, così G. Siri, Natura dell’uomo e principalmente dell’anima (1938), in Renovatio, aprile-giugno 1990, 168.
27 Salmo 118,96.
28 Cfr. P. Coda, L’eucaristia e la Chiesa, in L’eucaristia sacramento di ogni salvezza, Piemme 1996 e M. Semeraro, Mistero, comunione e missione, Dehoniane 2013, 93 e ss.
29 “Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi”, v. Matteo 15,19.
30 V. 2 Corinzi 4,7. Cfr. C. Cardia, Il governo della Chiesa, Il Mulino, 1984.
31 Celebre la definizione della Chiesa come di “casta meretrice” (espressione mutuata da Sant’Ambrogio), che indica questa compresenza di bene e di male, di salvezza e di peccato, di gloria e di mortalità, di gioia e di dolore, di perfezione e di errore.
32 Così Pio XII, Mystici corporis Christi, parte prima.
33 V. R.C. Delconte, Né clericalismo né anarchia spirituale. Prove di riflessione sulla sinodalità nella Chiesa, in Meer, 8 aprile 2022.
34 Secondo alcuni Autori il diritto canonico potrebbe svolgere il tipico ruolo di puro “diritto di servizio”, v. G. Caputo, Introduzione allo studio del Diritto canonico moderno, 13. V. poi C. Fantappiè, Ecclesiologia e canonistica, Marcianum Press 2015, 255 e ss.
35 V. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, op. cit., 62-63.
36 In effetti, “se nell’esame di qualunque ordinamento giuridico occorre guardarsi da sterili e false contrapposizioni tra dati ‘giuridici’ e dati ‘politici’, per la comprensione del diritto canonico è assolutamente indispensabile saper cogliere l’intima relazione che intercorre tra la ‘forma’ delle norme e quella ‘sostanza’ dell’essenza della Chiesa che ne giustifica e determina l’esistenza”, v. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, 61.
37 Perché “Dio è ordine. Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, perciò l’uomo è ordine”, così G.A. Scaltriti, Romanità della Chiesa e di Pietro, in Renovatio, aprile-giugno 1990, 173.
38 Cit. da G. Feliciani, Il diritto canonico nelle università non ecclesiastiche, in Papato, episcopati e società civili (1917-2019), 325.