Il Messico possiede un patrimonio archeologico ed etnografico ricchissimo. Le tracce materiali ed immateriali delle civiltà precolombiane che abitavano i territori che compongono oggi la Repubblica Messicana sono disseminate in lungo e in largo per tutto il Paese. Scavi e nuove scoperte archeologiche sono all’ordine del giorno, e continue sono le ricerche etnografiche in merito alle popolazioni indigene che formano parte della meravigliosa diversità etnica che contraddistingue il Messico. Negli ultimi decenni l’Istituto Nacional de Antropología e Historia (INAH), che si occupa della gestione e la conservazione del patrimonio archeologico della nazione, ha investito molte risorse nella sperimentazione di un nuovo approccio alla conservazione, mirando alla valorizzazione del contesto culturale all’interno del quale avvengono i ritrovamenti archeologici e del ruolo che le comunità indigene possono assumere per contribuire all’interpretazione, alla diffusione ed alla gestione di quello stesso patrimonio. L’antropologa Camilla Fratini, da anni si dedica allo studio di questo incredibile patrimonio.

Quali pratiche e teorie conservative attualmente vengono sperimentate in Messico?

Due fattori sono centrali: l’approccio interdisciplinare e la partecipazione delle comunità locali. La conservazione viene intesa in senso ampio, si cerca di mettere in risalto la connessione tra il contesto culturale originario e quello attuale dei ritrovamenti: da un lato, vengono create equipe di esperti di diverse discipline che lavorano in modo sinergico per portare alla luce i reperti e accumulare informazioni rispetto ai contesti archeologici; dall’altro, vengono sviluppati progetti che inseriscono i siti e i reperti all’interno del contesto culturale nel quale si trovano immersi oggi, attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità che vivono intorno a quegli spazi.

Nel 2012 ho collaborato con Nelly Robles García, allora Coordinatrice Nazionale di Archeologia (INAH) e Lilia Rivero Weber, allora Coordinatrice del Coordinamento Nazionale per la Conservazione del Patrimonio Culturale (INAH), al Progetto di riapertura del Museo Comunitario di San Mateo Macuilxochitl (Oaxaca), situato all’interno di una comunità zapoteca le cui origini precolombiane sono testimoniate dalla presenza, nei suoi dintorni, di imponenti resti di antiche città. Inoltre, sono continui, e spesso casuali, i ritrovamenti di reperti archeologici da parte della popolazione locale, ad esempio, durante il lavoro nei campi oppure in occasione degli scavi fatti per la costruzione delle fondamenta delle case o per le sepolture. Questi oggetti di diversa natura, perlopiù strumenti di uso domestico o rituale, vengono in genere conservati nelle abitazioni per il valore simbolico che viene loro attribuito; in passato, invece, finivano spesso per alimentare il mercato nero di oggetti preispanici. Per questa ragione l’INAH ha deciso di intervenire, non solo per salvaguardare gli oggetti in sé, ma anche per responsabilizzare la comunità in merito alla loro gestione, conservazione e valorizzazione. Insieme al governo dello Stato di Oaxaca ha così elaborato un progetto per il rinnovamento di un museo dove ospitare i reperti archeologici rinvenuti e dove costruire un discorso nuovo circa la contestualizzazione degli oggetti stessi, raccontandone il valore storico e archeologico ma anche il loro riutilizzo e la loro risignificazione in tempi recenti. Oggetti che sono quindi al tempo stesso archeologici ed etnografici, raccontano di civiltà antiche e di comunità indigene contemporanee. Il progetto è stato articolato in diverse fasi: inizialmente si è proceduto all'organizzazione di una campagna di sensibilizzazione sul valore dei reperti, alla loro raccolta ed alla partecipazione della comunità al progetto stesso; parallelamente e stata realizzata un’indagine etnografica sulla funzione attuale dei reperti all’interno delle comunità e sul simbolismo loro attribuito. Inoltre è stata sostenuta la formazione di un comitato comunitario che assumesse l’impegno di gestire, una volta riaperto, il museo e le sue attività.

In seguito si è proceduto all’allestimento del museo attraverso un percorso partecipato che tenesse in considerazione una delle caratteristiche principali dei musei comunitari: sviluppare una riflessione nuova rispetto alle radici culturali di una specifica comunità ed alle sue tradizioni, attraverso l’esposizione, pianificata con la comunità stessa, del materiale archeologico ed etnografico. Infine è stato realizzato un grande evento in occasione della riapertura del museo che, grazie alla partecipazione della comunità locale, si è trasformato in un’opportunità per far conoscere al pubblico alcune antiche pratiche culturali, come la famosa Danza de la Pluma.

Durante queste fasi come sono stati affrontati gli aspetti conservativi?

Gli aspetti conservativi sono stati tenuti in considerazione mettendo a disposizione, da una parte, esperti in restauro che potessero fornire alla comunità le conoscenze e gli strumenti necessari rispetto a come intervenire nell’eventualità di nuovi ritrovamenti, dall'altra, anche archeologi, antropologi e museografi da poter consultare per procedere nelle fasi successive. Una equipe interdisciplinare attraverso la quale si è potuta valorizzare la connessione tra materiali e siti archeologi, la comunità locale e il museo. Il patrimonio culturale è stato quindi considerato nelle sue diverse componenti, antiche e contemporanee ma anche materiali ed immateriali. Il museo è divenuto luogo di interpretazione e diffusione di questo patrimonio, la cui conservazione si trasforma quotidianamente in un processo vivo che mira ad essere sempre più realizzato in osmosi con la comunità.

Durante questi anni ha lavorato nella conservazione del patrimonio anche all’interno dell'area Maya, ed in particolare presso la Zona Archeologica di Uxmal e la Ruta Puuc, in Yucatán. Cosa può raccontarci di quest'esperienza?

Questo è un territorio disseminato di siti archeologici piccoli e grandi ma anche di comunità indigene Maya che vivono nei loro dintorni e per le quali le rovine hanno un forte valore simbolico. Le popolazioni locali vivono a stretto contatto con i reperti, soprattutto con resti di edifici che emergono nei campi agricoli e nei villaggi. Il patrimonio culturale di queste comunità è fortemente connesso ai resti archeologici, in parte perché questi testimoniano un passato antico ed in parte proprio perché le popolazioni locali vivono immerse tra le rovine.

La mia collaborazione in quest’area, e precisamente con José Huchim Herrera, Direttore della Zona archeologica di Uxmal e la Ruta Puuc (INAH), ha previsto la pianificazione di diversi progetti per la partecipazione delle popolazioni indigene alle attività dell'Istituto: progetti incentrati, anche in questo caso, sul coinvolgimento delle comunità locali nella gestione e conservazione dei siti archeologici attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale materiale ed immateriale. Tra le attività proposte vi è stata, ad esempio, la realizzazione di un punto di ristoro vicino ad una delle aree archeologiche maggiori, dove una cooperativa comunitaria propone ai visitatori piatti della tradizione locale elaborati con prodotti tipici della regione: un patrimonio immateriale, quello culinario dello Yucatán, candidato a essere riconosciuto dall’Unesco e la cui storia risale a tempi preispanici e coloniali ed è espressione dell’incontro tra culture diverse.

Il risultato è duplice: da un lato, lo sviluppo di microimprese cooperative per sostenere le popolazioni native, valorizzandone il patrimonio culturale e creando nuove opportunità di lavoro che possano arginare la forte tendenza all’abbandono delle comunità stesse; dall’altro, il sito archeologico offre un servizio destinato ai visitatori che permette di avvicinarsi in modo diretto ad alcune pratiche culturali legate sia al passato che al presente delle popolazioni Maya, favorendone in questo modo anche la conservazione.

Un altro esempio dell'impegno dell’INAH nel coinvolgimento delle comunità locali è rappresentato dal Programma de Empleo Temporal (Pet), un programma d’impiego temporaneo che l’Istituto, insieme alla Sedesol (Secretaria de Desarrollo Social), realizza all’interno di molti siti archeologici messicani, ogni anno e per alcuni mesi, coinvolgendo le popolazioni locali nelle attività di conservazione e mantenimento dei siti stessi.

Durante questo programma le persone vengono formate riguardo i procedimenti conservativi di base e l’importanza di valorizzare il proprio patrimonio archeologico e culturale. Da un lato, le comunità apprendono competenze tecniche e vengono preparate per avere un approccio più consapevole verso i reperti, favorendo, in questo modo, la loro conservazione e valorizzazione; dall’altro, i siti archeologici divengono uno spazio di attività formative e di dialogo tra i diversi attori che intervengono nelle pratiche conservative, contribuendo alla diffusione di quelle tradizioni culturali locali che vivono nella memoria storica e nelle pratiche quotidiane delle comunità. Un’eredità, questa, che sempre più corre il rischio di andare perduta, sia a causa dell’abbandono delle comunità da parte dei membri più giovani, sia per il processo di globalizzazione che in ogni parte del mondo tende a sostituire i saperi e le pratiche locali con quelli derivanti dall’omologazione culturale trasmessa attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Solo un esempio, nelle comunità Maya dell’area della Ruta Puuc si parla correntemente una lingua molto antica, il Maya Yucateco. Gli anziani non conoscono altra lingua, mentre gli adulti di mezza età parlano sia il Maya che lo spagnolo, avendo frequentato scuole pubbliche federali o avendo lavorato anche al di fuori dei villaggi. I giovani invece preferiscono non utilizzare la lingua indigena, sia perché la ritengono un elemento identificativo della loro provenienza, intesa quest’ultima in senso dispregiativo, sia perché i mezzi di comunicazione di massa e i social media, che sono arrivati a invadere anche i territori sperduti all’interno della foresta Yucateca, utilizzano unicamente la lingua spagnola. Per uscire da quello che viene considerato un isolamento linguistico e culturale, che deve oggi confrontarsi con i processi di acculturazione di massa, i giovani Maya dello Yucatán, pur comprendendo la lingua dei loro padri, hanno smesso di parlarla, delineando così un panorama futuro dove questa, come tante altre lingue indigene, andranno a scomparire. Le lingue sono uno strumento importante per accedere a una cultura così antica come quella maya e per interpretarla; la loro perdita inciderebbe negativamente anche nella conservazione del patrimonio immateriale e rispetto all’importanza della sopravvivenza delle diversità culturali nel mondo.

In tutti i progetti, si è cercato di costruire percorsi di partecipazione per arrivare a risultati che tenessero in considerazione le esigenze e il punto di vista delle popolazioni native: per fare solo degli esempi, i cartelli esplicativi del Museo di San Mateo Macuilxochitl sono stati realizzati in tre lingue -zapoteco, spagnolo e inglese- mentre a Uxmal i workshop per studenti sul tema del patrimonio si sono tenuti in lingua Maya e in spagnolo. Queste attività sono state realizzate proprio nell’intento di conservare e valorizzare le lingue indigene, ed entrambe sono state sostenute dall’impegno delle comunità locali.

Mettere in connessione il patrimonio materiale con quello immateriale, valorizzare saperi e pratiche locali ma anche le potenzialità insite nella partecipazione delle comunità alla conservazione, intesa nel senso più ampio del termine, rappresenta, a mio parere, un percorso possibile e auspicabile soprattutto nell’ambito della valorizzazione del patrimonio etnografico. In questa direzione la tutela delle minoranze etniche, delle popolazioni indigene, dei loro territori e delle risorse naturali da cui traggono sostentamento, rappresenta un obiettivo fondamentale per evitare la perdita di patrimoni culturali di valore inestimabile per l’umanità intera.