“Imparavo finalmente nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate”. Il tema dell’edizione 2022 di Fotografia Europea a Reggio Emilia si ispira a una frase dello scrittore francese Albert Camus e si rifà ad un’epoca di passaggio e di crescita, successiva a un periodo di complessità e di riflessione sulle forze interiori che guidano l’uomo nelle sue azioni in ogni momento della sua vita. E tutti gli artisti invitati a partecipare alla grande manifestazione dedicata alla fotografia sono stati chiamati a esprimersi rifacendosi alla metafora di Camus. Se Fotografia Europea manifesta la sua forza dopo 17 anni di Festival, conserva anche, tra i suoi obiettivi primari, la responsabilità di educare alla cultura visiva rivolgendosi a una platea ampia e diversificata. E lo dimostra nelle mostre diffuse tra I Chiostri di San Pietro, Palazzo da Mosto, i Chiostri di San Domenico, Biblioteca Panizzi, Galleria Santa Maria, Spazio Gerra, i Musei Civici, Collezione Maramotti, Fondazione I Teatri e gli spazi del Circuito OFF dove espongono grandi maestri e giovani esordienti, frutto della sapiente direzione artistica composta da Tim Clark e Walter Guadagnini.

Fotografia Europea a Reggio Emilia, Festival di fotografia di caratura internazionale è promosso e prodotto da Fondazione Palazzo Magnani insieme al Comune di Reggio Emilia e con il contributo della Regione Emilia-Romagna e oltre alle mostre offre un corollario ricco di eventi e talks.

L’offerta visiva si dipana nelle diverse location. La fotografia storica prorompe sale affrescate del piano terra dei Chiostri di San Pietro con Mary Ellen Mark e The lives of Women a cura di Anne Morin. Imperdibile a Palazzo dei Musei, la mostra In scala diversa, Italia in miniatura e nuove prospettive, organizzata nel trentennale della scomparsa di Luigi Ghirri, a Palazzo dei Musei, a cura di Ilaria Campioli, Joan Fontcuberta e Matteo Guidi. Si parte dalla serie In scala realizzata da Luigi Ghirri in più riprese, dalla fine degli anni Settanta alla prima metà degli Ottanta, nel parco divertimenti Italia in Miniatura di Rimini, si approfondiscono i temi del doppio, della finzione e dell’idea stessa di realtà, creando un dialogo con la raccolta – disegni, cartoline, documenti e immagini provenienti dall’archivio del parco – accumulatasi dalla metà degli anni Sessanta a seguito dei numerosi viaggi del fondatore Ivo Rambaldi lungo tutta la penisola, allo scopo di raccogliere quanta più documentazione visiva possibile per la costruzione dei plastici.

Come sempre le sale dei monumentali Chiostri di San Pietro saranno il fulcro del festival, ospitando ben dieci esposizioni fino al 12 giugno. Di grande impatto la fotografa Chloé Jafé con I give you my life che racconta la storia, spesso sconosciuta, delle donne della Yakuza – la mafia giapponese tra le più leggendarie al mondo – mogli, figlie, amanti, che orbitano intorno alle attività criminali dei gangster maschi e che a loro hanno dedicato la loro esistenza. E tra gli altri autori esposti, il giovane Guanyu Xu con le fotografie di Temporarily Censored Home dove trasforma lo spazio domestico e conservatore della sua infanzia, in scena di rivelazione, protesta e bonifica queer, mediante un mosaico di immagini raccolte da riviste di moda e cinema occidentali, nonché ritratti di sé stesso con altri uomini, per mettere in scena una performance profondamente intima e politica.

Al primo piano, in ordine di percorso, troviamo Nicola Lo Calzo con il progetto intitolato Binidittu, riflessione sulla condizione delle persone migranti nel Mediterraneo attraverso la figura di San Benedetto il Moro, il primo santo nero della storia moderna considerato un’allegoria dei nostri tempi: luogo d’incontro tra il Mare Nostrum e il mondo, tra la memoria e l’oblio, tra il razzismo banalizzato e l’humanitas condivisa.

“Il progetto è frutto di una ricerca a lungo termine che conduco da più di dieci anni, un progetto dove cerco di interrogare con la fotografia le pratiche che sono state elaborate durante lo schiavismo e che persistono tutt’oggi nella tratta atlantica e con Benedittu è un ritorno nel mondo mediterraneo sempre seguendo questo filo del colonialismo e soprattutto della diaspora africana”. Artista, docente e ricercatore (École National d’Art de Paris-Cergy), Nicola Lo Calzo s’interessa alle relazioni tra fotografia, memoria e potere. Il suo lavoro esplora gli usi possibili della fotografia documentaria per interrogare la memoria dei gruppi subalterni. Da dieci anni è impegnato in una ricerca fotografica a lungo termine sulle memorie della diaspora africana e della resistenza alla schiavitù coloniale tra Africa, Europa e America: il progetto Cham.

“Dovevo assolutamente documentarmi sul patrimonio siciliano di Benedetto perché intanto è già molto importante in America Latina e sono arrivato in Sicilia con l’idea di fare un lavoro più che altro sul suo culto contemporaneo. In Sicilia ho scoperto una realtà molto più complessa ma dovevo trovare il modo di raccontare questa figura che è tutto italiana, benché sconosciuta di San Benedetto il Moro, figlio di schiavi africani, considerato il primo santo nero della storia moderna (Sicilia, 1524-1589) che diventa poi una figura di emancipazione tra le popolazioni in schiavitù in America Latina” racconta l’autore.

Su questo simbolo di lotta contro il razzismo, in collaborazione con la galleria Podbielski, Nicola Lo Calzo presenta una trentina di immagini di medio e grande formato e ripercorre le tappe principali della biografia del Santo, dall’affrancamento dalla schiavitù alla sua morte, dall’utopia post razzista alla beatificazione. “Alla fine della mostra, l’installazione video The Open Boat rappresenta tutto un po’il percorso che ho fatto in questi dieci anni in altri territori e narra questa diaspora africana e come resiste attraverso la cultura” completa Lo Calzo.

La Galleria Santa Maria, nel centro storico di Reggio Emilia presenta i progetti dei vincitori della Open Call di questa edizione. Simona Ghizzoni racconta nel progetto Isola come sia riuscita a recuperare una relazione con la natura e con le persone, approfittando dell’emergenza Covid per lasciare Roma e tornare a rifugiarsi nell’Appennino Emiliano. La spagnola Gloria Oyarzabal, fotografa e cineasta, fissa il focus della sua indagine sul concetto di Museo in particolare in un’ottica colonialista con il progetto Usus fructus abusus. Infine Maxime Richè, parigino, da tempo si misura con la capacità di adattamento dell’uomo rispetto alle conseguenze degli sconvolgimenti ambientali. In Paradise, il focus è l’incendio che in sole quattro ore ha incenerito l’omonima città californiana e le persone che nonostante ciò, tornano per ricostruirsi una vita, proprio dove la vita è stata così brutalmente cancellata.