Il fisico premio Nobel Giorgio Parisi ci ha spiegato che le evoluzioni complesse degli stormi di uccelli nel cielo di Roma dipendono da poche semplici regole, che gli uccelli hanno selezionato nel corso di un lunghissimo apprendimento evolutivo. Per comprendere le regole degli stormi sono stati necessari ben due anni di osservazioni degli uccelli in volo con telecamere piazzate sui tetti degli edifici. Il risultato è riassumibile in poche regole.

Prima regola, gli uccelli interagiscono in modo diverso con quelli più vicini: ogni uccello tende ad avere una maggiore distanza dal compagno davanti o dietro rispetto a quelli laterali. Seconda, le differenze si riducono fino a scomparire con gli uccelli più lontani. Terza, ogni uccello è interessato a mantenere invariati i rapporti tra le distanze con i vicini, non la distanza assoluta. Queste semplici regole, più qualche altra che stabilisce la densità dello stormo al centro e ai bordi, spiega la capacità degli stormi di compiere le coreografie che possiamo ammirare nei cieli.

Annota Parisi:

È impressionante la sproporzione tra lo sforzo per capire una cosa nuova e la semplicità e naturalezza del risultato una volta che i vari passaggi sono stati compiuti. Nel prodotto finito, nelle scienze come in poesia, non c’è traccia della fatica del processo creativo e dei dubbi e delle esitazioni che lo accompagnano1.

La fatica è necessaria perché i comportamenti complessi non dipendono da una singola regola, come accade con la caduta dei gravi che seguono solo la legge della gravitazione universale di Newton. Al contrario, i comportamenti complessi sono spiegati da più regole che interagiscono in modo inatteso. Le regole, infatti, sono tra loro in competizione. Nel caso degli stormi, ogni uccello è combattuto tra l’esigenza di mantenere l’allineamento con i vicini e il doversi adeguare alla variazione di direzione di un compagno di volo. In termini più generali, ogni uccello deve dare valore ad un singolo evento e deve ricondurre gli eventi difformi a un ordine complessivo. Una capacità condivisa da tutti gli esseri viventi, che spiega la continuità della vita, nonostante gli immani cataclismi che hanno scosso il pianeta in milioni d’anni.

Senza tema di smentite possiamo considerare l’Homo sapiens al vertice di un programma evolutivo inteso a sviluppare la capacità di collegare fatti difformi in un ordine generale senza spegnere l’individualità dei singoli fatti. Non deve meravigliare, dunque, che l’ordine sia problema centrale di ogni nostra pratica conoscitiva. A seconda della disciplina assume nomi diversi: legge, gestalt, struttura, regola, forma, significato, rituale, schema, ritmi, routine, identità, categoria. Termini che hanno in comune l’idea di una regolarità a cui deve essere ricondotto il caos dell’esperienza.

A questo punto vi chiederete quale sia la differenza tra gli storni di Parisi e noi. Ebbene, gli storni si sintonizzano sulla base dei vicini. Gli umani, invece, grazie al linguaggio sono in grado di costruire legami tra cose molto diverse tra loro. Uno degli schemi linguistici più efficaci è la metafora, definita come:

Un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo aver mentalmente associato due realtà differenti sulla base di un particolare sentito come identico, si sostituisce la denominazione dell’una con quella dell’altra. […]. A un estremo si hanno le catacresi (la gamba del tavolo, il collo della bottiglia e simili), in cui la metafora si sviluppa come termine proprio di una realtà altrimenti non denominata; all’altro estremo si ha uno sfruttamento intenso, di tipo poetico (portami il girasole impazzito di luce, Montale); nel mezzo si collocano metafore più o meno istituzionalizzate come gli anni verdi, il timone dello Stato, il ruggire dei motori. ecc.

(cfr. Enciclopedia Treccani)

Insomma, la metafora non tiene conto dei vicini, come negli stormi di Parisi, ma dei lontani, creando legami sotterranei tra entità molto diverse. Facciamo qualche esempio con ‘le idee’, prestando attenzione alle parole in corsivo delle seguenti affermazioni2:

  1. egli è il padre della moderna biologia;
  2. le sue idee vivranno per sempre;
  3. finalmente le sue idee hanno dato frutti;
  4. è una teoria che sta germogliando;
  5. egli produce nuove idee con una facilità incredibile;
  6. la sua produttività intellettuale è diminuita negli ultimi anni;
  7. quest’idea non paga;
  8. c’è sempre un mercato per le buone idee;
  9. quel libro è una miniera di idee;
  10. abbiamo consumato tutte le nostre idee;
  11. questa è un’idea incisiva;
  12. ha una mente penetrante;
  13. questa idea è vecchio stile;
  14. questa è un’idea superata.

Le parole in corsivo ci svelano i ponti creati dal linguaggio metaforico: le idee sono persone (1 e 2), sono piante (3 e 4), sono prodotti (5 e 6), sono merce (7 e 8), sono risorse (9 e 10), sono strumenti taglienti (11 e 12), sono moda (13 e 14). Senza averne piena coscienza, ma guidati solo dal linguaggio, una rete di collegamenti di senso si instaura tra aree diverse di esperienza. L’effetto immediato è che un concetto astratto come l’idea acquista concretezza e capacità di azione: vive, genera, produce, consuma, penetra, ecc. Come per magia, le azioni fatte dagli esseri umani, dalle piante, dalle merci, ecc. diventano anche azioni delle idee. Il linguaggio metaforico costruisce, affermazione dopo affermazione, un reticolo dove i nodi, come ‘idee’ e ‘piante’, mantengono la propria specificità, e, tuttavia, diventano parte di uno stesso sistema. La cosa sorprendente è che si crea un universo concettuale, dove può convivere tranquillamente una idea-moda ‘vecchio stile’ con una idea-pianta che produce frutti.

Proprio grazie ai collegamenti tra entità lontane consentite dal linguaggio metaforico che noi umani possiamo fare evoluzioni molto più complesse degli storni di Parisi e costruire azioni collettive infinitamente più sofisticate.

Note

1 Giorgio Parisi, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi, Milano, Rizzoli, 2021, p. 19.
2 Per approfondire il ruolo della metafora nel costruire insospettati ponti semantici si veda G. Lakoff e Mark Johnson, Metafora e vita quotidiana, Milano, Bompiani, 1980.