Mio padre era uomo sincero, sempre sorridente. Sapeva sorprenderti come un arcobaleno, sapeva stupirti come un guitto di teatro, sapeva incantarti come un prestigiatore, sapeva adularti come un diavolo tentatore solo per prendersi gioco di te e poi rivelartelo perché non poteva più resistere: voleva ridere con te. e sentire il tuo sorriso di approvazione su di sé.

Mio padre sapeva amare a modo suo, ma quando entravi nel suo "codice" non potevi più fare a meno di lui.

Ricordo mio padre, per esempio, che quando lavorava si prendeva bonariamente gioco dei suoi clienti, così solo per farmi ridere, solo per colorare una giornata storta.

Mio padre ha fatto il rappresentante per secoli; credo che Wikipedia, alla voce rappresentante - oltre al fatto che dovrebbe esserci scritto “Rappresentante, ovvero Luigi Angelo Ruzzu” - dovrebbe anche dare qualche dollaro di copyright a noi di famiglia.

Mio padre era un genio della commedia… Sì: la sua macchina usata per migliaia di chilometri era in realtà il suo camerino dove prepararsi e il negozio del prossimo cliente, era il palcoscenico dove mettere in pratica la sua arte, cioè il suo carattere divertente e solare. Tutto in modo assolutamente spontaneo e reale.

Spiego: col “burino” si comportava da burino peggio di lui; parlava senza senso imitandone anche la voce, con il sofisticato faceva lo snob e sembrava reale! Col “terra terra” ne imitava i modi e il dialetto; col “senza speranza” trattava con benignità avendo quasi paura di infierire, paura di rifilargli prodotti che non avrebbe voluto.

Avrebbe potuto vendere i frigoriferi agli eschimesi mio padre, ma era così generoso verso il prossimo che avrebbe aspettato che gli eschimesi glielo avessero chiesto. Non si va molto lontano negli affari facendo così, ma a lui non importava; era fatto così, senza chiedere troppo, ma dando molto di più di quello che gli altri potevano mai immaginare; amore, calore umano e comprensione sincera, senza far male, senza approfittarsi del prossimo.

Un’estate eravamo da un suo cliente e mio padre aveva la Citroen Pallas ancora incidentata; arrivati a parcheggiare davanti alla porta del negozio il cliente esclamò in dialetto velletrano: "A Lui', mamma mia! De poveri in Italia si rrimasto tu e S. Francesco, fatte benediì fijo mio...!". Ne abbiamo riso insieme a squarcia gola. Così era mio padre.

Sempre in quell’estate che rimane scolpita nel mio cuore dopo una giornata a lavorare sodo, mio padre disse: "Io dormo un po’ tu fa come vuoi", quindi accostò la macchina sotto un albero e comincio a russare! Così in aperta campagna! Si sa, il riposino di mio padre dalle 14 alle 15 era sacro dovunque si trovasse, andava fatto! Era un must!

Ebbi paura, ma era estate, vicino ad un paese ed avevamo da poco lasciato un cliente e allora pensai: "Se lui è così tranquillo e lui è il padre, io, mi devo preoccupare?". Conclusi che forse avrei dormito anch'io, visto che quella era ormai la cosa più assurda ma nel contempo più "Luigiamente" artistica da fare.

Mi mancano quei paesini dal nome assurdo del basso Lazio, “laddove nessun uomo è mai giunto prima d’ora” [Star Trek, ndr] e con la sua Mercedes mio padre si arrampicava per andare sul cucuzzolo della montagna per vendere a volte un bel niente! e riderci su.

Mi mancano molto i sorrisi e le burla di mio padre, i suoi consigli e il fatto di avermi insegnato poche cose - è vero - ma tutte profondamente essenziali: non parlar male del prossimo, (neanche di mia madre), di non rendere insomma pan per focaccia a nessuno, di essere pronto a dare senza per questo aspettarsi per forza qualcosa in cambio, di saper prendere la vita non troppo sul serio, di conservarsi l'animo da bambino anche se intorno tutti vogliono farti fare il contrario; di essere serio dentro e non per forza anche fuori.

Mi mancano persino le sue parolacce inventate di sana pianta, mixando quelle note con sue varianti fantasiose e d assurde.

Mi mancano i suoi ettolitri di vino aspro che andava fiero di avere comprato "non imbottigliato". Neanche gli Apache Mescaleros avrebbero bevuto una simile schifezza, credetemi, l'aceto sarebbe stato al confronto un nettare degli dei.

Mi mancano le sue auto che sapevano solo di fumo e di disordine. Mi mancano le sue agende piene di nomi di vecchi clienti che pronunciandoli insieme ridevamo come due dementi che ricordando a memoria una filastrocca della scuola non possono far altro che ridere.

Mi mancano le sue moto assurde: una sgarrupata comprata dai vigili urbani di Roma ed una Honda CBX 750 fiammante, tirata a lucido; lo yin e lo yang sempre e costantemente, così senza vie di mezzo... Mi mancano, i suoi giubbotti in pelle da motociclista e quei lunghissimi ed improbabili portachiavi rigorosamente con moschettone anni ‘70, portati a mo’ di coda su jeans “a zampa” fino a 70 anni.

Mi manca il fatto che veniva a trovarmi mentre lavoravo in hotel solo per vedere, senza parlare quanto fosse orgoglioso di me. Un pomeriggio non potei rivolgergli la parola, talmente ero impegnato, ma lui, tranquillo si sedette lì nel salone a fumare e mi osservò per tutto il tempo; alla fine, andando via dall’hotel, mi disse: “Dovrebbero darti molto di più per tutto quello che fai”. Non mi importò molto di comprendere che ero sottopagato: quel pomeriggio con mio padre vale tutta la mia vita lavorativa…

Mi mancano le sue mani grandi. Da ragazzo le vedevo enormi e in effetti lo erano; poi ho scoperto che da ragazzo anche lui aveva mani sottili come le mie; o forse è più giusto dire il contrario. Ricordo che giocava con i cani, soprattutto quelli enormi e gli metteva le mani in bocca e, anche lì, si prendeva gioco di loro; non si poteva dire chi dei due si stesse divertendo di più. Mi dicevo: "È per questo che ha mani così grandi, a forza di ricevere morsi!" ma non era così, era solo la normale metamorfosi del corpo di ognuno di noi. Me ne rendo conto solo adesso: ora che ho passato i 50 anche le mie mani stanno diventando più grandi, larghe direi, sento come se si stessero gonfiando o come se crescessero le ossa, non lo so.

Mi piace pensare che si stiano trasformando, protendendosi a somigliare a qualcosa che manca; alla carezza di mio padre, quella carezza fatta non solo di mani grandi, ma anche di grandi sentimenti.

Mi manchi tanto papà. Ti voglio bene.