Renzo Ruzzu
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Renzo Ruzzu

Guardando la mia biografia mi fa sempre sorridere e, a volte, addirittura ridere questo stile cavalleresco medievale dove si parla di me stesso in terza persona; sembra quasi un epitaffio scritto ante litteram! Che brutto, che ridere!

Perciò, questa volta, oltre a ridere proverò a declinare la mia biografia come dovessi fare una traduzione simultanea dalla lingua D’Oc medievale ad un linguaggio più millenial o “Z” di questa nostra ultima generazione.

Renzo Ruzzu nasce a Roma il … alla fine degli anni ’60/’70 (boh? chi può dirlo?) ma avrei preferito nascere nel Medioevo o nel Rinascimento, quando si dava più valore non solo alla sostanza ma soprattutto alla forma delle parole.

Il piacere di articolare la grammatica italiana, da Dante a Carducci, da Manzoni (guarda caso la mia prima scuola elementare) a Deledda (la mia seconda scuola elementare), il voler sempre dare la forma migliore e più completa alle sensazioni, ai sentimenti pieni, questo ha operato in me in modo potente. Inoltre, questa cosa di nascere a cavallo di due periodi importanti mi ha condizionato da sempre… lo ritengo un vantaggio.

Questo vantaggio di cui parlo qui sopra, inoltre, ha a che fare col mio excursus lavorativo professionale ma anche e soprattutto con vari aspetti del mio carattere; questa metamorfosi è - per dirla in termini sportivi - come il tiro impossibile di Van Basten agli Europei del 1988: parabola da sinistra a destra e poi da destra a sinistra, in senso inverso, andando poi a finire in un terzo, strano ed impossibile posto: sì, la definirei così.

Spiego meglio.

1)“Tiro iniziale” o inizio dell’excursus.

Sembrerà assurdo ma tutto parte da un talento completamente diverso: sì, il mio talento nel giocare a calcio come portiere (tradizione di famiglia) era quel presupposto che pensavo sarebbe durato tutta la vita ma in effetti questa mia predisposizione a giocare non poteva sopportare troppe cose per durare a lungo in modo profittevole per tutti, me compreso. Cito nell’ordine:

a) allenamenti troppo duri che scalfivano in modo significativo la mia pigrizia di gatto interiore. Io ero così nello sport. Tanto talento ma molto anarchico, alla gatto selvaggio appunto;
b) il carattere e i modi burbero/spartani/aggressivi dell’allenatore, tale signor Nevio;
c) le mie ginocchia un po’ fragili e un po’ no: con la scusa del ginocchio mezzo rotto ho comunque giocato fino a poco tempo fa, ma il pensare che da giovane avrei potuto fracassarmi tutto, fu un altro potente deterrente.
d) Ultima cosa che mi rallentò molto nello sport fu il fatto che dare spazio anche alla parte interiore non è possibile se sei un’atleta professionista, è tutto concentrato su te stesso. Non ero proprio disposto a fare questo.

Tirando le somme, decisi che avrei fatto tutto in maniera dilettantistica, quando ne avessi avuto voglia. Questi fatti quindi mi portarono naturalmente a concentrarmi fin da giovane a diventare, un appassionato divoratore di cultura e letteratura italiana.

2) Ora l’antitesi: tiro da destra a sinistra, invertendo il senso dell’ellisse.

Il fatto dell’essere attirato - da sempre - verso le cose belle, ricercate, le storie appassionanti, verso la cultura in generale, ritengo mi abbia portato a dirottare la mia bravura nello sport verso la mia professione ma in primis verso la Cultura tutta, ma più nello specifico verso il cinema.

Sono un cinefilo accanito e attento a tutti (ma proprio a tutti) gli stili narrativi dei registi italiani e stranieri. Tra i miei preferiti: Truffaut, Hitchcock, Altman, Christopher Nolan, Rydley Scott, Vittorio De Sica, i Fratelli Taviani, Gabriele Salvatores, Pietro Germi, Akira Kurosawa e Wim Wenders e tra gli ultimi in ordine di apparizione, Clint Eastwood, non solo un attore formidabile, ma un regista eclettico e dall’animo sensibile.

Così, in modo naturale, da ragazzo, comincio a scrivere mille cose diverse: poesie, piccoli racconti, soggetti cinematografici, insomma diciamo così, tanti sogni nel cassetto che è vero, ora non solo vogliono ma stanno effettivamente uscendo fuori con prepotenza.

Della serie: “It’s never too late”.

Vorrei comunque declinare meglio questo aspetto perché dirlo così è un po’ riduttivo.

Ebbene, termine cavalleresco medievale al quale non so rinunciare, ebbene dicevo, credo di aver cominciato a scrivere storie all’età di 9/10 anni: ricordo che non solo correggevo ma scrivevo di sana pianta le lettere d’amore o i bigliettini per i miei compagni di classe che si esprimevano a suoni gutturali cercando così di acchiappare - è proprio il caso di dirlo- la sventurata di turno.

Non sopportavo dover dire delle cose importanti, come i sentimenti, con frasi che sembravano coniate dall’uomo scimmia e così, dopo attenta analisi dei contenuti (ma dove erano nascosti?) cercavo di scrivere quello che doveva essere rappresentato al meglio… l’Amore.

È significativo che per rappresentare uno o più aspetti dell’animo umano la parola giusta sia “descrivere”, dove appunto non si può prescindere dallo “scrivere” come se le parole orali siano mancanti di qualcosa... è un concetto che amo!

Infatti, il dizionario Treccani recita: descrivere descrìvere v. tr. [dal lat. describĕre, comp. di de- e scribĕre «scrivere»] – 1. Rappresentare con parole un luogo, un oggetto, una persona, notandone gli aspetti, [...].

Mi piace pensare che il prefisso “de” che precede “scrivere” stia lì per dire o per significare, de-finire, de-lineare, come se lo scrivere fosse completo solo se si usano tutte ma proprio tutte, le parole che illustrano ora un sentimento, ora una sensazione ora un atteggiamento, nelle loro molteplici forme sia positive che negative.

Eredito tutto l'amore per la letteratura da mia madre, anche lei, scrittrice dilettante e amante della lingua francese o per meglio dire: mia madre ha tentato in tutti i modi di insegnare a noi piccolini il francese ma eravamo troppo infanti io e mia sorella! Io avevo 10 anni e mia sorella solo 6!? All’inizio lo presi un po’ a odio, ma poi l’ho amato e l’ho ritrovato con piacere a scuola Alberghiera.

3) Conclusione: questo aspetto rappresenta il pallone che va in un posto impossibile secondo l’ellisse iniziale: in rete!

Ovvero il mio lavoro attuale.

Parlando della mia professione è da 30 anni che lavoro in albergo ed essere Concierge d’Hotel, anche qui una figura un po’ retrò e un po’ moderna ha “completato” in me dei cambiamenti che erano già in divenire.

Un lavoro “artistico” come piace a me, nel senso che coniuga il mondo sofisticato dell’hotel di lusso e il suo servizio impeccabile, con la necessità di dover trovare mille cose bizzarre per i clienti, questo dicevo, mi dà modo di essere molto creativo.

Saper anticipare il desiderio o la necessità di un cliente, per quanto costosa o stravagante possa essere, stupirlo ogni volta che vi riesci (mi hanno chiesto perfino un elicottero giallo per il compleanno di una bambina…!) condisce il mio lavoro dandogli quella connotazione di imprevisto, sfuggente ed elettrizzante che è alla base di ogni pensiero artistico e in definitiva lo rende più soddisfacente.

Da mio padre, sempre allegro e scanzonato, eredito il senso pratico che mi porta quindi a lavorare in hotel "mutuando” dal mestiere di attore (altro sogno di gioventù) il volermi confrontare col sorriso con la gente, tutti i giorni.

Sono riuscito credo a poter coniugare due aspetti contradditori, l’amore per la letteratura, il cinema, l’arte in generale e quindi in definitiva il fatto di essere un po’ troppo sognatore, con l’altra metà, quella dell’avere un senso di vita pratica come mio padre, e questo mi ha portato a sviluppare a sua volta, questo amore per il dualismo.

All’inizio non lo capivo bene; ma poi ho realizzato: queste due facce della stessa medaglia non devono per forza essere in contrasto, non vi pare?

E così, applicandolo un po’ a tutto, viene fuori nell’ordine: Roger Moore e Tony Curtis nei modi, il funky e la musica rock, il cinema d’azione e i film psicologici, gli anni ’70 contro gli anni ’80 - ma poi perché contro?!

Questo dualismo, che oggi a ragione adoro e conservo gelosamente, mi ha portato ad esser un fan accanito degli anni ’70 e ’80 e a godermi questa sensazione all’infinito e cioè non di avere a disposizione solo il 50% di due periodi fantastici ma di averne invece il 100% ogni volta.

È un po’come avere doppia cittadinanza; quando sei in Italia sei italiano al 100% e così quando sei in USA.

E così, come un Batman notturno che di giorno fa il miliardario e di notte sconfigge i “birbaccioni”, come direbbe Alberto Sordi, assaporo ogni momento che passo estasiato a vedere un film o a scrivere una storia, una poesia… perché il giorno migliore è e sempre sarà… domani!

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