Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza…

(da “L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio)

Diverso tempo dopo torno al cinema. Lo faccio con mia madre. I biglietti sono per L’Arminuta. Sala quasi piena, mascherine, green pass. Sembra un altro mondo, un’altra vita. Il Covid-19, uno spartiacque. Seduta stretta a mamma per la paura di avvicinarmi troppo alla sconosciuta al mio fianco che ha la stessa mia paura perché si stringe stretta all’amica al suo fianco. Piccole isole destinate a restare distanti. Il virus ci ha cambiato profondamente. Ci lascia soli anche quando siamo in compagnia. Nonostante le precauzioni sembra che tu ce l’abbia sempre accanto. Riprendere una vita all’apparenza normale non sarà facile.

Le luci si spengono lo stesso, nonostante le divagazioni dei miei pensieri. Inizia il film. Ho letto il libro, quindi so cosa mi aspetta anche se scoprirò che il film vive di vita propria. Nel suo libro, Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del premio Campiello 2017, narra la storia di una ragazzina di 13 anni che viene riconsegnata, dalla famiglia che l’aveva cresciuta, alla famiglia d’origine passando dall’agiatezza di una vita in città in linea con i tempi alle ristrettezze e alle usanze ben diverse di una piccola realtà montana dell’Abruzzo che ci fa fare un ulteriore salto nel tempo. Il film del regista Giuseppe Bonito con le due protagoniste Sofia Fiore e Carlotta De Leonardis segue la trama.

Non racconterò la storia perché non è il caso di anticiparla, non mi permetto di avventurarmi in una critica cinematografica perché non è il mio mestiere ma consiglio caldamente di leggere il libro e vedere il film. Mi soffermerò sulle figure femminili che dominano il racconto e che mi hanno molto colpita da semplice spettatrice. Innanzitutto le due piccole protagoniste: forti, tenaci e allo stesso tempo fragili e in cerca di affetto e del loro posto in un mondo governato dagli adulti che fanno e disfanno. Diversissime eppure complici nonostante le difficoltà soprattutto emotive che si trovano ad affrontare. L’una che parla perfettamente l’italiano e di cui non conosceremo mai il nome e l’altra, Adriana, che parla il dialetto abruzzese in maniera verace. La loro comunicazione, verbale e non verbale, è la chiave per leggere il loro vissuto. Il loro volersi bene, che non viene dall’avere lo stesso sangue, è il balsamo per ogni dolore. Le loro vite così diverse fino a quel punto, si mescolano. Hanno bisogno l’una dell’altra: per sopravvivere l’una, per resistere l’altra.

Siamo nell’estate del 1975. Le due mamme mostrano, invece, il divario sociale che esisteva tra le due realtà. Passiamo dalla dura realtà della vita in montagna a quella un po’ più moderna della città affacciata sul mare, Pescara. Il loro ruolo nelle famiglie e nella comunità è solo apparentemente marginale. In realtà tengono in piedi la società che sembra dominata da uomini fragili nel loro rapporto con le donne che li circondano nonostante gli atteggiamenti prepotenti e i rari momenti di tenerezza. Proprio il 1975 è l’anno delle grandi manifestazioni femministe, della riforma del diritto di famiglia che muta radicalmente la condizione della donna all’interno del matrimonio. La donna e l’uomo hanno pari diritti e doveri, cambia anche il rapporto tra genitori e figli. Nascono i consultori familiari e viene garantita assistenza psicologica e sociale alle coppie in difficoltà. Gli anni Settanta rappresentano uno spartiacque nella lotta per i diritti civili: dal divorzio all’aborto legale. Si parla di contraccezione e del riconoscimento anche nella sfera lavorativa dell’uguaglianza tra i generi.

Mentre scorrono le immagini, mia madre, si rivede nelle scene del film. La vita della famiglia d’origine rispecchia molto la condizione di vita delle famiglie negli anni successivi al dopoguerra. Lei, che quegli anni li ha vissuti davvero, rivede la sua giovinezza fatta di tanti sacrifici, di privazioni ma anche di momenti felici. Ricorda gli amici che subivano la violenza di genitori frustrati, i letti che da bambini condividevano con gli adulti nelle fredde stanze di ruderi edificati nelle campagne, la speranza nei raccolti che dovevano dividere con i padroni, le serate con la fisarmonica che alleggeriva la fatica delle giornate passate in campagna, la scuola che doveva raggiungere a piedi percorrendo strade di fango, il “bagno” sistemato all’esterno della casa e la paura del buio quando dovevi lasciare il letto per raggiungerlo, il padre che voleva assolutamente farli uscire da quella situazione. Mi racconta di sua mamma, delle sue nonne. Mi racconta delle donne, di ciò che passavano, di ciò che provavano e di quel poco che riuscivano ad ottenere. Ma anche della loro forza ancestrale che non permetteva la resa. Quando il piano sequenza passa al racconto della vita in città, si sposta in avanti anche l’orologio del tempo perché, nonostante i fatti narrati si svolgano in contemporanea, la differenza di vita è enorme. Il salto nei ricordi lo fa anche mia madre. Mi racconta degli anni Settanta, dell’impegno in politica e di come ogni piccolo passo verso il riconoscimento dei diritti e della parità veniva accolto come una conquista. La lotta civile, portata avanti a colpi di slogan e di partecipazione attiva alla vita pubblica, stava creando le basi per dare spazio alla voce delle donne.

Penso al significato delle parole di mia madre e a cosa è rimasto oggi di quello spirito che alimentava la voglia di diritti nelle donne ma più in generale dell’umanità intera, quando oltre alle battaglie femministe scendevano in piazza anche studenti, operai e pacifisti. Mi chiedo se forse oggi non sia il momento di tornare a far sentire la propria voce perché, nonostante le numerose conquiste degli ultimi anni, di strada da fare ce n'è ancora molta visto ciò che accade in giro per il mondo. I diritti conquistati vanno ampliati e protetti perché, ogni giorno, si fanno anche passi indietro. Lavorare sulla cultura del rispetto, in ogni ambito della vita, diventa fondamentale per far crescere la consapevolezza che tutti abbiamo diritto ad esprimerci e realizzarci come desideriamo.

Intanto si riaccendono le luci. Negli occhi e nelle orecchie le due grandiose protagoniste de L’Arminuta, la ritornata, e nel cuore e nella testa le parole di mia madre.