Il primo dei cinque assiomi della comunicazione studiati dallo psicologo Paul Watzlawick e altri importanti esponenti della scuola di Palo Alto negli anni ‘60, sostiene che: “Non si può non comunicare”. Ciò significa che qualsiasi comportamento attuato da un individuo veicola un messaggio. Egli può risultare passivo, desiderare restare in silenzio e in ogni caso starà comunicando un messaggio, ovvero quello di non voler comunicare.

Qualsiasi atteggiamento si ponga in essere, parola si pronunci e persino il tipo di postura si assuma, si comunica.

La comunicazione è formata da diversi canali: vi è la comunicazione verbale guidata da regole e convenzioni e che rappresenta il contenuto del messaggio; vi è quella para verbale che concerne il modo in cui noi trasmettiamo un messaggio, utilizzando la nostra voce, il tono di quest’ultima, il volume, le pause e la punteggiatura; essa , quindi, risulta di ausilio a quella verbale; vi è poi quella non verbale che consiste in tutto ciò che riguarda il linguaggio del corpo come la postura, gesti, espressioni del viso.

La cosa più importante della comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto.

(Peter Drucker)

Un esempio di quanto sia fondamentale conoscere i diversi canali della comunicazione, potrebbe essere quello che vede una coppia di innamorati vivere una discussione accesa. Lui, dopo alcuni minuti, cerca di avvicinarsi a lei chiedendole di fare pace ma quest’ultima resta in silenzio, rannicchiata sul divano e voltando viso e corpo dalla parte opposta a quella del partner.

Lei verbalmente non ha espresso nulla ma il suo corpo ha detto molto al suo lui:

  • si mostra rannicchiata sul divano: potrebbe rappresentare un atteggiamento fisico di chiusura verso l’altro e desiderio di protezione verso se stessa;
  • voltare viso e corpo dalla parte opposta al suo lui: potrebbe comunicare il suo stato emotivo attuale di rabbia, risentimento, desiderio di essere lasciata sola.

Un altro esempio potrebbe essere quello che mostra una coppia di amiche, A. e S., ad una festa. A., ad un certo punto, dopo aver ricevuto un messaggio sul proprio smartphone, subisce un radicale cambiamento di umore e si estrania dalla festa, sedendosi a bere un drink e restando in silenzio.

S. nota il differente atteggiamento di A. e decide di avvicinarsi a lei. S. Non pronuncia nessuna parola. Ciò che fa è accovacciarsi di fronte ad A. per guardarla negli occhi, porle una mano sulla spalla e farle una carezza. Ecco che A. scoppia in un forte pianto e abbraccia S.

S. non ha pronunciato nessuna parola ma, con il suo atteggiamento fisico, ha comunicato molto ad A.:

  • accovacciarsi per poterla guardare negli occhi: potrebbe voler dire: “Io ti vedo, vedo che stai soffrendo per qualcosa che ti è accaduto, desidero aiutarti ad affrontare il tuo dolore”;
  • appoggiare una mano sulla spalla dell’amica: potrebbe significare: “Ti sostengo”;
  • accarezzarle il viso: potrebbe voler dire: “Ti dico che non sei sola, sono qui per te”.

Il pianto di A. è il risultato di ciò che è veicolato all’interno del messaggio di S. Anche senza dirsi nulla verbalmente, entrambe hanno comunicato e hanno compreso il messaggio dell’altra.

La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima.

(Henri Bergson)

Tra i diversi livelli di comunicazione vi è anche quella riguardante la meta comunicazione. Anche quello della meta comunicazione è un concetto diffuso dagli psicologi della scuola di Palo Alto i quali, desideravano che si ponesse attenzione alla complessità dell’area comunicativa, della sua evoluzione ma anche dei suoi aspetti disfunzionali e talvolta patologici.

Un esempio di meta comunicazione è quello che vede protagonisti un genitore e un figlio in età infantile. Orgoglioso e felice, il bambino mostra al genitore il disegno fatto a scuola il quale rappresenta egli stesso insieme al genitore, mano nella mano, al parco divertimenti. Il genitore risponde: “Bellissimo disegno. Bravo!” Il tutto, però, continuando a svolgere l’attività in cui era impegnato fino a pochi istanti prima che il figlio facesse ingresso nella stanza (come, ad esempio, l’utilizzo del proprio smartphone), non guardando il figlio negli occhi, utilizzando un tono di voce distratto e privo di entusiasmo. Ecco che il suo atteggiamento fisico e il tono di voce risultano in totale contrasto con quanto affermato verbalmente.

Tutto ciò può anche portare a risvolti patologici nel momento in cui il soggetto che riceve il messaggio non risulti in grado di comprendere la contraddizione e, di conseguenza, egli potrebbe vivere uno stato di confusione; oppure, pur comprendendone la contraddizione potrebbe non risultare capace di risolvere il conflitto che ne scaturisce.

Importante fattore da considerare all’interno di ogni interazione è il codice comunicativo utilizzato. Non è scontato, infatti, che quest’ultimo sia lo stesso per entrambi e quindi semplice da decodificare. Ci sono, inoltre, diversi elementi detti “di disturbo” da valutare: fattori culturali, età, genere, stato fisico (freddo, caldo, sonnolenza), psico-emotivo (emozioni che si stanno vivendo, come gioia, tristezza, ansia, euforia ecc.), rumori presenti nel luogo in cui si sta interagendo con l’altro (tv ad alto volume, lavori in corso sulla strada, ecc.).

La responsabilità della comunicazione tra due individui è del 50% per ciascuno. Se uno dei due soggetti va oltre il proprio 50% farà risultare la sua comunicazione verso l’altro aggressiva; se invece resta indietro rispetto al suo 50%, la sua comunicazione risulterà passiva; infine, se raggiunge il suo 50%, la sua comunicazione risulterà assertiva.

In conclusione, si può affermare che l’obiettivo del mittente, ovvero colui che invia il messaggio, consiste nel porsi nella condizione di farsi capire e quello del ricevente, colui che lo riceve, è di impegnarsi a comprendere.

In questo modo la comunicazione potrà risultare equilibrata ed efficace.