Questo è il “leitmotiv” che mi accompagna fin da bambina e che oggi, alla tenera età di 50 anni, ho fatto mio.

Ogni giorno abbiamo a che fare con molte persone, le interazioni che abbiamo con esse ci portano ad avere un’idea della loro personalità e a generare una serie di aspettative sociali sul loro comportamento. Non appena conosciamo una persona, tendiamo ad inserirla in una categoria e, solo se ci interessa approfondire il rapporto, avremo modo di verificare se il suo comportamento è conforme a quella categoria.

Non ci si sente mai “abbastanza” per nulla, il senso di non sentirsi all’altezza e inadeguati ci pervade e ci rende insicuri, ma è tutto nella nostra testa e possiamo cambiare le cose.

La nostra vita è ricca di aspettative sociali, nostre verso gli altri e degli altri verso di noi. Tutti noi vogliamo avere relazioni confortevoli e tendiamo a cercare di soddisfare queste aspettative, il non farlo lascia spazio all’incertezza e, quindi, all’ansia.

Le persone spesso si lamentano su questioni legate a relazioni affettive poco appaganti, mansioni lavorative poco gratificanti, aspetto fisico, sovrappeso, amicizie, la lista è infinita ma il finale è sempre lo stesso, non fanno nulla per cambiare le cose che non funzionano.

Mahatma Gandhi disse: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Iniziare ad essere la migliore versione di se stessi porta al “cambiamento”.

Non dobbiamo focalizzarci solo sul risultato finale, concentriamoci piuttosto su ciò che stiamo facendo per ottenerlo. Come in un viaggio, se ci concentriamo solo sulla meta finale non vedremo ciò che avviene prima di raggiungerla.

Durante le mie consulenze di orientamento professionale incontro persone che sono alla ricerca di lavoro o che intendono cambiarlo, persone “insoddisfatte” del proprio lavoro o del proprio ruolo, insicure o troppo sicure di se, confuse, afflitte, deluse o rassegnate.

Le frasi più ricorrenti sono: non sono adatto a, non sono portato per, sicuramente non sarò tra i selezionati, certamente il mio capo mi reputa una persona di questo tipo, avere una promozione non è da prendere in considerazione e tante altre affermazioni che solo noi abbiamo il potere di rendere reali e di far esistere nella nostra testa.

Ricordiamo che “ideale” non è “reale”.

Il noto psicologo americano Carl Rogers ha fortemente enfatizzato la distinzione tra il sé reale e il sé ideale, non per sottolineare qualcosa che non va in noi, ma per accettarci. Questa consapevolezza è alla base del benessere. Siamo molto più di quanto possiamo pensare, dobbiamo solo riuscire a tradurre in azione la consapevolezza.

L’ambiente familiare è la base su cui si costruisce lo specchio di noi stessi. Se ci amano, saremo amabili, se ci detestano, saremo insopportabili.

L’amore genitoriale insegna che si è amati per ciò che si è, nonostante gli errori.

Se siamo cresciuti pensando di non essere mai abbastanza tenderemo a creare ideali irraggiungibili e saremo destinati a soffrire.

Tutti noi abbiamo la capacità dell’autodeterminazione, per questo possiamo determinare il nostro comportamento per migliorarlo. La volontà naturale di vivere, perfezionarsi, preservarsi e modificarsi.

Quando ci si trova a svolgere compiti o mansioni ripetitive si tende ad accettare per dato di fatto ciò che è. Proviamo invece ad usare la nostra “creatività” per svolgere al meglio delle nostre possibilità ciò che stiamo facendo. Sforziamoci di mettere del nostro per rendere quella monotonia un’opportunità di crescita.

Pensate ad una segreteria che per parecchi giorni al mese deve occuparsi di riempire tabelle ponendo grande attenzione a numeri e dati. Un lavoro noioso come tanti altri, ma che solo noi possiamo decidere di farci piacere. Immaginate di fare una gara con voi stessi, fissatevi dei traguardi in termini di qualità della prestazione, cercate nuove soluzioni creative per portare a termine quel compito dandogli valore, pensate allo scopo e all’utilità di ciò che state facendo. Mettete anche in conto che potreste non vedervi riconosciuto alcun aumento di stipendio, alcuna promozione, nessuno vi ringrazierà, ma eviterete la stanchezza alimentata dalla noia e avrete uno stimolo intellettuale.

Agire “come se” il nostro lavoro ci piacesse porterà ad apprezzarlo riducendo ansia e stress. È una questione di chimica. Le endorfine vengono prodotte nel lobo anteriore dell’ipofisi del cervello umano in risposta a determinati stimoli e attività. Ci sono metodi naturali come: ascoltare musica, suonare uno strumento, accarezzare un animale domestico, fare sport… e, al lavoro, possiamo sorridere!

La mattina, prima di alzarmi, penso sempre a fare bene ciò che devo fare, qualunque cosa essa sia. Indosso la versione migliore di me stessa e inizio la giornata.

Un lavoro ben fatto è utile alle persone, alle organizzazioni, è un approccio, un modo di essere e di fare, un’opportunità. Una buona abitudine che, imparando a fare nel modo giusto, faremo nostra. Lo possono fare tutti e a qualunque età. Devi fare una torta?… Falla bene! Devi preparare una presentazione aziendale?… Falla bene! Devi svolgere attività fisica?… Falla bene! Devi preparare un esame?… Fallo bene! Devi svolgere un lavoro noioso?… Fallo bene!

Qualunque cosa tu debba fare, in qualsiasi situazione ti possa trovare… Falla bene!

Quando ognuno di noi fa bene ciò che deve fare, tutto funziona meglio. Quando ci alziamo la mattina pensiamo alla gioia di fare, a quanto potremo essere coraggiosi o intraprendenti, piuttosto che pensare a quanto noi non valiamo o a quanta fatica faremo. Alleniamo i nostri pensieri a vincere i nostri limiti, per noi stessi e non per gli altri.