Cos’è un MacGuffin? Questo termine, inventato da Alfred Hitchcock, indica un oggetto che serve da pretesto per muovere la trama, come la busta coi dollari in Psycho o, saltando da Hitchcock a Tarantino, la valigetta in Pulp Fiction. Ma può un libro essere un MacGuffin all’interno di altri libri?

È il singolare destino toccato ad una delle opere di Aristotele, la Poetica, il breve trattato in un libro solo in cui il filosofo di Stagira parla di epica e tragedia e che per secoli fisserà dei canoni da rispettare nella composizione di opere teatrali (famosa, o famigerata, è la regola delle tre unità, come celebre è il canone che definisce l’Edipo Re come capolavoro assoluto della tragedia greca). Quindi un libro che parla di libri protagonista di altri libri: questo gioco di scatole cinesi non poteva non piacere ad alcuni autori novecenteschi.

La Poetica di Aristotele è nota al grande pubblico soprattutto per essere al centro del Nome della Rosa, il bestseller mondiale di Umberto Eco, un giallo filosofico ambientato in un’abbazia medievale.

Come noto Eco postula l’esistenza di un secondo libro della Poetica sulla commedia. In realtà non vi è alcuna prova dell’esistenza effettiva di questo secondo libro sulla commedia, sebbene Aristotele dichiari che è sua intenzione scriverlo e il patriarca Timoteo I, mille anni dopo, affermerà l’esistenza di tale libro. Nonostante queste testimonianze, gran parte dei grecisti moderni nega l’esistenza di questo secondo libro della Poetica.

Umberto Eco costruirà la trama del suo romanzo più famoso proprio sulla presunta distruzione, da parte di un monaco fanatico, del secondo libro della Poetica. Il giallo medievale di Eco mescola suggestioni della filosofia dell’Età di Mezzo con tematiche moderne: il suo protagonista, il monaco-investigatore Guglielmo da Baskerville è, sin dal nome, un singolare miscuglio fra il filosofo francescano medievale inglese Guglielmo da Occam e Sherlock Holmes. Il tema della distruzione del libro di Aristotele sulla commedia offre all’autore lo spunto per ragionare sul potere salvifico del riso e sul suo benefico instillare il seme del dubbio che distrugge ogni fanatismo. Per questo il potere teme il secondo libro della Poetica e lo vuole distruggere.

Ma chi è questo monaco fanatico che vuole distruggere l’opera aristotelica? È il bibliotecario cieco del monastero, un monaco spagnolo di nome Jorge da Burgos. Sia il nome che le caratteristiche sono un evidente richiamo al grandissimo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che probabilmente a Eco stava antipatico. Ebbene, anche Borges fece della Poetica di Aristotele il MacGuffin di un suo racconto: La ricerca di Averroé. Ci spostiamo dal Medioevo europeo cristiano al Medioevo andaluso musulmano: il protagonista del racconto di Borges è il grande filosofo aristotelico arabo Abu ‘l Walid Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Rushd, noto in Occidente come Averroé “che ‘l gran Comento feo” come scrisse di lui Dante. Anche in questo racconto l’opera di Aristotele spiazza il sapiente che l’accosta: se in Eco era il tema del riso a spaventare il venerabile Jorge, bel racconto dell’argentino Jorge è l’ignoranza, nel mondo islamico medievale, del teatro. Averroé, impegnato sia a confutare il mistico persiano al Ghazali nel suo capolavoro Tahafut at-tahafut al-falasifa (La distruzione della distruzione dei filosofi) sia, soprattuto. Al suo monumentale commento ad Aristotele, non riesce a comprendere cosa siano la tragedia e la commedia. La ricerca di Averroé del titolo è appunto il tentativo di comprendere un concetto incomprensibile ad un musulmano medievale, proveniente da una civiltà priva di arte scenica.

Alla fine, Averroé risolve la questione così: “Aristù (Aristotele) chiama tragedia i panegirici e commedia le satire e gli anatemi. Mirabili tragedie e commedie abbondano nelle pagine del Corano e nelle iscrizioni nel santuario”. Se il romanzo di Eco si basa su un’ipotesi del tutto fantasiosa, ovvero la distruzione del secondo libro della Poetica forse mai scritto, Borges si basa sull’effettivo escamotage trovato da Averroé per cercare di spiegare quel che non riusciva a capire: e infatti Borges sceglie come epigrafe per il racconto una frase tratta dallo studio Averroes di Ernest Renan: “S’imaginant que la tragédie n’est autre chose que l’art de louer” immaginava che la tragedia non fosse altro che l’arte di lodare.

La Poetica di Aristotele: un libro che parla di altri libri e del quale si parla in altri libri.