Nel 2021 non c’è niente di scontato. Non è scontato passare tre serate di musica in un posto bellissimo, in un’atmosfera serena, vedere le persone che sorridono, cantano, battono le mani. Non è scontato sentire gli artisti che ringraziano per la possibilità di stare finalmente di nuovo davanti al microfono, o con una chitarra in mano. Incontrare gli amici fotografi che si affollano sotto al palco del Serravalle Rock facendolo sembrare un Lollapalooza in terra toscana, ma slalomeggiando tra i bambini che giocano davanti alla prima fila. Quando si parla di tutto questo un po’ di retorica è inevitabile, e infatti qualcuno sceglie di non parlarne, degli ultimi 18 mesi, di non dare un nome a questo tempo cristallizzato, che però resta lì, non è ancora finito, e che magari prima o poi sapremo raccontare.

La rocca di Castruccio a Serravalle Pistoiese è un posto caro alla musica. Da ormai molti anni sotto le sue torri risuonano le note del Serravalle Jazz (anche per quest’anno trasferito a Pistoia a causa del Covid), che ha visto passare praticamente tutti i grandi musicisti italiani e molti big stranieri. Ci sono stati Lee Konitz e Paolo Fresu, Kenny Wheeler e Franco D’Andrea, Renato Sellani e Steve Swallow, ma la lista delle stelle è troppo lunga anche per darne un assaggio minimamente significativo.

Dal 2016, però (con l’inevitabile “buco” del 2020) la stessa location ha offerto anche un’alternativa, con la nascita di un festival dedicato al rock, che ha saputo darsi un taglio molto interessante, non puntando ai grandi nomi ma semmai cercando di pescare prevalentemente artisti e band che abbiano poco passato alle spalle e (si spera) tanto futuro davanti. In ognuna delle edizioni (la prima era una specie di numero zero, e poi la manifestazione si è irrobustita) dal Serravalle Rock sono passati progetti che poi hanno dimostrato di avere qualcosa di significativo da dire, e altri che probabilmente lo faranno. Penso al volo ai Piqued Jacks, che sono nati in Valdinievole, quindi a pochi passi da Serravalle, ma anche ai Birthh, ai Platonick Dive o ai Rooms by the Sea, e sono solo i primi che mi vengono in mente e che mi colpirono, come gli svedesi Priest tra gli ospiti internazionali. Anno dopo anno il pubblico è aumentato, gli appassionati della zona hanno imparato che sul calendario dell’estate va segnato in rosso anche questo piccolo ma ambizioso festival, prezioso in un momento in cui i grandi eventi sono sospesi e in cui si cercano suggerimenti e stimoli nuovi e diversi.

Nel 2021 la rocca è in fase di restauro, ma il piazzale antistante è un’alternativa perfetta, che lascia il castello come quinta naturale e sfrutta uno spazio piuttosto ampio e comodo, anche con le regole che vanno rispettate in questi tempi complicati. Le tre serate si sono tenute a cavallo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, hanno distribuito perfettamente sei concerti (due per ogni sera), in un programma che in realtà ha avuto poco a che fare con il rock classico e ha spaziato dal folk appena sbocciato (o in procinto di farlo) di Talèa, che ha aperto la manifestazione il 29 luglio, al power rock declinato al femminile di Alteria, al cantautorato energico di Max Zanotti, con una buona rappresentanza dell’elettronica, sia il 30 agosto con i Tersø che nell’appuntamento conclusivo con l’esperienza e la ricerca di Flavio Ferri, che aveva come spettatori d’eccezione nientemeno che Antonio Aiazzi (Litfiba) e Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, CSI, insomma un pezzo di storia del rock italiano su cui è perfino inutile scrivere nulla).

A chiudere la tre giorni, il 1° agosto, è stata Emma Nolde, per la quale gli organizzatori (il Comune di Serravalle Pistoiese, Lorenzo Becciani direttore artistico) non nascondevano grandi aspettative, pienamente rispettate. Questa toscanissima ventenne di San Miniato è stata una ventata di talento che ricorderemo, sia per la qualità delle canzoni, sulla quale aveva già detto abbastanza l’album Toccaterra, uscito nel 2020, sia per la grande capacità di stare sul palco, di conquistare il pubblico con una naturalezza e una sincerità riscontrabili anche nei testi e nella musica, e in cui non c’è (ancora di più nella versione live) la minima traccia di artefatto, di cliché, di rappresentazione fine a se stessa. Da sola sul palco con l’unico batterista al mondo che grazie ai suoi due metri e dieci può farla sembrare piccola mentre in realtà è altissima, alternandosi tra tastiere e chitarre, Emma canta in italiano, è una ragazza degli anni Venti che però parla della nonna, si muove in territori musicali che vanno da Bon Iver a Elisa, dai Radiohead a Niccolò Fabi, dalla melodia allo spoken word che lambisce il rap nel refrain marziale che spinge tutto il pubblico a scandire BER-LI-NOOOO senza che nemmeno ci sia una richiesta esplicita.

Territori che sconfinano in un cantautorato raffinato, che quando nasce dal pianoforte ricorda anche nelle scelte vocali la potenza evocativa di Soap&Skin, per citare un nome, e quando invece si appoggia sulla tessitura chitarristica lo fa evitando i ganci troppo facili, facendosi apprezzare – una volta tanto fa piacere dirlo – perché c’è un talento oggettivo che tiene insieme tutto. In alcuni momenti c’è un taglio più orientato al pop di qualità, in altri una dominante più scura e profonda: una multidimensionalità che incuriosisce riguardo alla strada che questa ragazza, che a Serravalle ha dimostrato di destreggiarsi benissimo con registri diversi, potrà prendere in futuro. Sempre che ne scelga una, e che non continui a toccare più corde, facendosi dire brava da pubblici diversi.