Una finissima ragnatela di quasi impercettibili fili del tempo attornia lo sguardo che cerca di catturare lampi di memoria tra immaginazione e realtà, tra passato e presente.

Torno ad incontrare gli occhi che si sono perduti nel vuoto della sapienza, ma non riesco più a ritrovarne l’intensa luce di giovinezza.

Un debole raggio di sole illumina gli occhi che ho amato e pare che per un istante fulmineo la luce di un tempo torni ad illuminarli.

Negli occhi ci sono i paesaggi che hai veduto quando ancora sapevi commuoverti ai colori del tramonto, quando mi facevi scoprire terre lontane verso le quali si poteva volare sopra gli oceani nella notte di eterne stelle.

Ho imparato a leggere gli occhi come una preziosa pergamena sulla quale stanno depositati i caratteri indelebili del sapere del corpo, ho imparato a farne messaggeri di un sentire che coltivo come malinconiche orchidee, di sensazioni che amo guardare come vecchi abiti nei quali è rimasto un sentore di colonia.

Osservo e ritrovo un modo antico di riconoscersi, di far incontrare esistenze segnate dal limite che rende più forte il particolare, ne dilata l’intensità.

Mai come ora ritorniamo a guardarci in quello specchio che riflette la nostra anima e le sussurra immagini di desideri antichi come il mondo.

Lo sguardo si esprime con una parola antenata che apre un passaggio fra intimità ed esteriorità e lascia comparire i segni delicati di un altrove che non può nascondersi.

Negli occhi sta scritto il turbamento che appanna la parola e la trasforma in un balbettato silenzio.

Lo sguardo ci aiuta a ricostruire la completezza della nostra immagine, ad affidarla all’altro così che ne possa incontrare a pieno la somiglianza.

Lo sguardo si tuffa nell’acqua limpida del ricordo e ne fa riemergere figure che imprimono i loro contorni su una sorta di fondale arabescato di pensieri lontani, di emozioni non ancora sopite.

Negli occhi ricompaiono mondi che credevamo dimenticati e riscrivono storie che si illuminano di realtà.

Sprofondiamo nelle increspature che riflettono la tenerezza con la quale il bambino incontra gli occhi della madre in un’antica icona.

È una risonanza di percezioni che lascia affiorare il tessuto primigenio nel quale lo sguardo attinge la propria trasparenza e riscopre ciò che è sepolto, occultato nel profondo.

C’è riposo nello sguardo, c’è una sosta contemplante nella quale le parole sono silenti, una visione che ha il segno della verità.

Incontrandoci cerchiamo nelle nostre anime di carne il frammento di eternità che ci avvicina e ci consola, l’anelito al sublime che ci rende creature luminose.
L’anima smarrita ritrova lo sguardo del cuore.

L’occhio svela e subito torna a velarsi, si concede e si ritrae in un gioco di adorabili sottintesi che parlano una lingua intessuta della sottile materia di cui sono fatte le emozioni.

Negli occhi rimane traccia del disordine primordiale nel quale si mischiano paura, attesa, rabbia, forse pietà.
C’è spaesamento ma anche attrazione.

Negli occhi stanno segni di separazione e distacco ricuciti con il filo della benevolenza, impronte di distanza e di ritorno che sono strati della coscienza che cerca sentori di infinito.

Lo sguardo attinge a memorie profonde nelle quali la mente può sostare.

Sono fotogrammi di cielo quelli che accendono gli occhi che si spalancano alla meraviglia, che si alimentano di stupore.

La felicità attraversa lo sguardo che ascolta parole di gratitudine e custodisce a lungo la visione limpida di quel sentimento prezioso.

Nello sguardo si scrive un’altra storia fatta di gesti senza durata intrisi di intensità, capaci di alimentare segreti e sogni.

Sguardi che percorrono campi assolati di speranza, sguardi che custodiscono la gioia di un pomeriggio trascorso sul mare, sguardi che attraversano l’orizzonte ad incontrare la vastità del cielo.
Negli occhi passa il tempo dell’attesa, le sembianze della condivisione, il pensiero della fiducia e lo sguardo si acquieta come assopito.

Negli occhi si addensa il temporale che squarcia la mente quando i pensieri resistono, resistono e resistono senza via di fuga.

Occhi che si chiudono perché sia il cuore a diventare occhio e con quella visione guardare un altro mondo.

Occhi che si spalancano sulla distesa di rossi tulipani mentre ascoltano in lontananza la voce piangente del pavone che apre le piume occhiute del suo fascinoso ventaglio.

Pupilla, piccola bambina adagiata su di un lago color dell’ambra, custodita come gemma in uno scrigno prezioso.

Occhi che si incontrano alla fine della bellezza eppure si sposano nello sguardo,
occhi che si perdonano con dolcezza,
occhi illusi di rubare amore,
occhi rivolti al cielo per farlo misericordioso,
occhi celati nel buio del mondo,
occhi che hanno cantato in un girotondo,
occhi dallo sguardo tenebroso a ricordare le “donne dagli occhi pieni di malia”,
occhi che danzano attorno al fuoco nella notte consacrata alla Luna di maggio,
occhi capaci di grande coraggio.

Occhi segnati di nero lucente, occhi dolci di uva passa: sprigionano aromi che esistono nello sguardo della poesia.

Occhi incontrati nella inesistente casualità.

Occhi che si risvegliano nella sorpresa della vita, nella consolazione di ritrovarsi accanto.

Occhi che hanno impressa la mappa del desiderio che anela alle stelle, occhi sul volto ribelle.

Occhi liberati dalla prigione del troppo vedere.

Grandi occhi sfiorati dalla calda penombra sotto i rami del cedro, occhi allungati nello sguardo della nostalgia, occhi di cerbiatta che si aprono al respiro del mattino.

Occhi che raccontano il dolce segreto di un amore appena nato.
Sguardo che risuona come il sorriso nascosto sotto il velo che accarezza il volto della fanciulla in fiore.

Un sipario di lacrime lasciate a riposare cala sugli occhi di chi ha perduto un sogno.

Occhi stretti nel freddo di una sera d’inverno.

Negli occhi stupiti si inseguono le increspature di un inatteso volo di anatre sullo specchio d’acqua illuminato dalla luce ombrosa del sole al tramonto.

Occhio che guarda nell’unità, occhio che sa accogliere, che sa condividere, che si sente capace di incontrare altri sguardi.

Occhi pronti al pianto.

Sguardo che osserva un mondo nel quale poter abitare.

Sguardo che si spalanca sul coraggio del cuore e ne coglie la forza per proseguire, nel dolore.

Guardarsi negli occhi è lasciare che la luce ci guardi. Lasciarsi guardare è lasciarsi portare dentro come in un abbraccio.

Lo sguardo accoglie ed è accolto e accogliere è comprendere.

L’occhio è figlio dell’illusione che crede di poter conoscere l’infinita vastità del tutto e disimpara a comprendere attraverso la finitezza dello sguardo.

Onde lievi si inseguono nella chiarità di un mattino senza vento. l’occhio ne accarezza il moto.

A cura di Save the Words®