-Come si chiama quel libro che hai in tasca?
Mi domandò. Glielo mostrai. Lo guardò con aria disgustata.
-Dagli stracci alla ricchezza – lesse - non è un po’ indietro, per un ragazzo della tua età?
Alzai le spalle.
-Ti piacciono i libri? - domandò sorridendo.
-Sì, mi piace leggere.
-Perché non ti procuri qualche buon libro, alla biblioteca pubblica?
-La biblioteca è per i citrulli.
Il professore rise. -Senti, farò così, ti iscriverò alla mia biblioteca. Avanti, serviti.
Indicò la porta del gabinetto.
-Avete dei libri?
-Sì, avanti, scegli. È il posto migliore per tenerci la biblioteca. Là ci si può davvero concentrare, su quello che si legge.

Entrai nel gabinetto. Le pareti erano coperte di scaffali pieni di libri. Avevano tutti titoli sconosciuti. L’Educazione di Henry Adamsdi un certo Yeats, ad esempio, e molti altri.
-Be’, hai trovato qualcosa che ti piacerebbe leggere? - domandò il professore.
Lessi un titolo che mi diceva qualcosa: la Vita di Johnson di Boswell. Be’, pensai, questo dev’essere molto buono. Tutto su Jack Johnson, il campione. Presi il libro. -Che cosa hai scelto? - domandò il professore.
Glielo mostrai. Mi guardò dubbioso.
-Credi che ti piacerà e che riuscirai a capirlo?
-Scherzate? - sbuffai.
-Roba piuttosto profonda per un ragazzo - disse.
-Non conoscete Noodles, professore. È un tipo fantastico. Il più in gamba di tutta Delancey Street.
-Va bene, Noodles - disse il professore - quando lo avrai finito, mi farà piacere sapere che cosa ne pensi.
-Bene, ve lo dirò - promisi.

Erano queste le parole che le mani nodose di Harry Grey, pseudonimo di Herschel Goldberg, creavano dal letto di ospedale nel quale era ricoverato a seguito di un incidente. Herschel era un gangster. Un gangster ucraino, nato a Odessa quando ancora faceva parte dell’impero zarista. Un gangster ebreo, figlio di Israel e Celia Goldberg. E quel Noodles a cui piacciono tanto i libri noi lo abbiamo già incontrato. Lo abbiamo visto aggredire un ubriaco e spiare Deborah, lo abbiamo visto “andare a letto presto” e rifiutarsi di uccidere un vecchio amico. C’era una volta Noodles, c’è era una volta in America. Harry Grey si racconta nei panni di Noodles, in quella che è la prima autobiografia di un gangster, usando uno pseudonimo per proteggere la propria famiglia. Sergio Leone deve aver apprezzato veramente tanto A mano armata, per decidere di dedicarle più di 10 anni della propria vita e regalarci 276 minuti di quello che può essere considerato l’archetipo della vita, 276 minuti nei quali non manca nulla per comprendere che cosa significhi vivere.

Noodles è un divoratore di libri, infatti Harry Grey gli mette in mano una biografia di Jess il Bandito, Robin Hood, L’educazione di Henry Adams, Don Chisciotte e Dagli stracci alla ricchezza di Alger. Titoli, si sa, non scelti a caso. Sergio Leone non li vuole nel suo film. Ha in mente altro.

Nella scena in cui Noodles si trova nel bagno comune del palazzo sudicio nel quale vive, tirando una cordicella fa emergere quasi dal nulla un libro: l’indimenticabile Martin Eden di Jack London.

A quel punto, dovevamo scegliere il libro. Potevamo scegliere uno di quelli che legge nel romanzo. Invece abbiamo scelto Martin Eden. Perché? Ci tengo a dire che aveva un valido concorrente: Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.

Come ogni riferimento, non è mai casuale. Leone si stacca dal romanzo di partenza e ci porta su altre strade, sulle orme della grande letteratura americana: London e Fitzgerald, e se ci concentriamo sui due loro importanti protagonisti, Martin Eden e Jay Gatsby (nonché loro alter ego), notiamo che Noodles è sempre stato lì con loro, e che aspettava solo di essere svelato. Per evitare un anacronismo temporale, Leone ha scelto il capolavoro di Jack London.

Perché? Perché la storia è la stessa. Due persone che la vita fin dalla nascita pone in una condizione di svantaggio, due persone che sanno che devono lottare per conquistare quello che per gli altri è un semplice diritto. Martin, un marinaio che lavora notte e giorno per sopravvivere, Noodles, un ragazzo di strada del ghetto ebraico di New York. Non hanno prospettive e lo sanno. Ma a entrambi è concesso di affacciarsi ad una finestra aperta su qualcosa lontano dalla miseria della loro vita, questa finestra è l’amore. Martin una sera salva un ragazzo durante una rissa, Arthur, il quale per ringraziarlo lo invita a cena. È in questa casa borghese e benestante, piena di libri e buone maniere che incontra Ruth, una ragazza che ama immediatamente e per la quale decide di “migliorare sé stesso” per poterle essere degno.

Noodles da bambino spia Deborah, una ballerina che vuole fare l’attrice, il cui padre possiede un ristorante, cosa che la rende socialmente superiore a lui. Deborah e Ruth, due nomi ebrei, due donne socialmente più elevate, due donne idealizzate che i due protagonisti ergono nel tempio della propria anima a santità verso le quali la loro vita tenderà sempre. Martin si sente inferiore a Ruth, che va all’università, a teatro ed è benestante, così inizia a lavorare notte e giorno solo per potersi permettere un paio di pantaloni da teatro che poi dovrà restituire. Noodles, dopo aver passato una vita in galera, invita Deborah a cena nel ristorante che ha interamente affittato per lei dichiarandole nella celebre scena di aver “aspettato tutta la vita”.

Deborah ama Noodles? C’è una scena di estrema delicatezza che si svolge nello scantinato del ristorante del padre di lei, dove è solita provare i suoi passi di danza classica e che Noodles è solito spiare tramite un buco nel muro. Un giorno lei lo invita a entrare e recita uno stralcio del Cantico dei Cantici, in un momento etereo ed eterno come lei (con una grandissima interpretazione di una Jennifer Connelly ancora bambina).

Il mio diletto è candido e rosato, le sue guance sono oro sopraffino, il suo collo è uno stelo soavissimo, anche se non se lo lava dalla Pasqua passata. I suoi occhi sono occhi di colomba, il suo corpo è risplendente avorio e le sue gambe sono due colonne di marmo in calzoni così luridi che stanno in piedi da soli. Egli è tutto una delizia ma sarà sempre un pezzente da due soldi, e perciò non sarà mai il mio diletto. Che peccato!

Deborah, dolce e impertinente allo stesso tempo, fa capire a Noodles che il loro amore è impossibile, perché lui è un “pezzente da due soldi”, e sa che con lei la vita è stata più generosa rispetto a lui, perché oltre ad una posizione sociale possiede un’altra cosa della quale Noodles è privo: un sogno. Lei infatti vuole diventare un’attrice, mentre Noodles è un qualunque ragazzo di strada destinato ad essere travolto dal tempo.

Allo stesso modo Ruth tratta con tenerezza Martin, pur amandolo, di un amore borghese, s’intende, il massimo che il suo animo ordinario possa concepire. Lo ama ma lo compatisce perché se lui è povero “non è colpa sua”, e allo stesso tempo però è attratta dalla sua diversità, dalle sue mani callose, dalla sua pelle abbronzata di marinaio, dalla sua aria primordiale e diretta, perché fa appello al suo lato più vero dell’essere umano, alla vita più selvaggia e autentica.

Ma Noodles e Martin percepiscono l’accondiscendenza che le donne che amano mostrano nei loro confronti, e se ne vergognano, perché la loro virilità è mortificata fin da subito. Martin è a disagio per la propria mancanza di buone maniere, per la pelle rovinata dall’esposizione al sole di chi lavora sulle barche, si vergogna della propria mancanza di cultura. Allo stesso modo Noodles, lucidato e splendente nel suo vestito nero, con la sicurezza di chi ha passato 35 anni in galera e di chi ha affittato un intero ristorante per una donna, si sente una nullità quando Deborah ordina elegantemente in francese, rimarcando involontariamente e tristemente l’abisso che li separa.

È proprio per questi motivi, secondo un comportamento del tutto umano, che i nostri due protagonisti si avvicinano a due donne a loro più simili: Martin frequenta Lizzie, un’operaia, e Noodles una prostituta, Eve.

Martin Eden è la storia di un’elevazione sociale. Martin è un giovane marinaio, rude e semi-analfabeta, come Noodles, e proprio come Noodles percepisce la propria inferiorità in ogni minuto. Sono due uomini che partono dal fondo della piramide sociale per inseguire il Sogno Americano, che secondo London è un falso mito perché ha illuso le persone che tramite il lavoro ci si possa affermare, e la classe borghese alla quale Martin aspira per amore di Ruth, non è altro che un’enorme bugia (“la colossale mediocrità senza amore della borghesia”).

Noodles diventa un gangster, Martin per tutta la sua vita tende incessantemente verso qualcosa che non riesce ad afferrare (quell’Eden che porta ossimoricamente nel suo cognome): essere degno di Ruth e diventare uno scrittore, e quando ci riesce, cioè quando la famiglia di Ruth lo accetta perché è diventato uno scrittore famoso, crolla l’illusione che lo aveva nutrito per tutta la vita: si rende conto che Ruth non è altro che una persona limitata, senza idee proprie ma riprese dai libri, una donna borghese il cui amore in realtà cela tutto il profondo disprezzo che prova perchè si sente superiore a lui.

La sua era quella comune limitatezza di pensiero che fa credere alle creature umane che il loro colore, la loro fede o la loro ideologia sia migliore e più giusta di quella delle altre persone sparse per il mondo e che sono in una posizione meno fortunata della loro. Era quella stessa limitatezza di pensiero che spingeva l’antico ebreo a ringraziare Dio per non essere nato donna […] e questo faceva sì che Ruth volesse plasmare quell’uomo sul modello della vita degli uomini che vivevano nel suo particolare cantuccio d’esistenza.

Lì si rende conto di quanto la sua vita e il suo amore siano stati vuoti, e che senza Ruth, quella che però aveva idealizzato, non quella reale, la sua vita non ha senso, nemmeno il successo assume un qualche valore, nemmeno l’amore (opportunista) che ora lei gli dimostra.

Così come Noodles, che durante gli anni in carcere si è nutrito dell’illusione e del ricordo di Deborah.

Deborah esiste, è là fuori, esiste. E con quello superavo tutto. Capisci ora cosa sei per me?

Quando scopre che la donna che per 35 anni gli ha donato una prospettiva ora è prossima a trasferirsi a Hollywood per coronare il suo sogno, crolla ogni cosa.

E il muto vuoto che vediamo nello sguardo di Noodles, in taxi con Deborah, è lo stesso di Martin che fissa il vuoto mentre Ruth gli si siede sopra e gli confessa il suo amore, due fantasmi, due persone nella più cieca sconfitta della vita.

Ed è lì che ripudiano questa illusione: Martin rifiuta Ruth, incredula che lui possa fare una tale cosa a lei, e decide di lasciarsi annegare nell’oceano (sceglie la morte perché “la vita era diventata una malattia, qualcosa di insopportabile”), Noodles stupra Deborah per uccidere in sé la Deborah che spiava mentre danzava quando erano bambini, e renderla più reale, cioè un corpo qualunque usato per il proprio piacere.

Martin e Noodles hanno medicato la propria anima nutrendola dell’illusione che Ruth e Deborah potessero rappresentare l’incarnazione di ciò che loro ritenevano fossero la salvezza e la perfezione spirituale.

Allo stesso modo sarebbe morto Jay Gatsby, se un anacronismo temporale non lo avesse escluso dalla scelta (il romanzo venne pubblicato nel 1924, l’adolescenza di Noodles si svolge quattro anni prima), un cadavere galleggiante nella propria piscina.

La fine del Sogno Americano, in una casa dell’oppio, dove si rifugia Noodles, in una piscina piena di sangue, nell’oceano indifferente, due abissi.

Era ormai sceso troppo in profondità, non sarebbero mai riusciti a riportarlo in superficie. Ebbe la sensazione di galleggiar languidamente in un mare di visioni sognanti. Lo circondavano luminescenze colorate, come per colpirlo e penetrargli dentro. E quello cos’era? Sembrava un faro, ma all’interno del suo cervello: una bianca luce brillante che lampeggiava. Lampeggiava sempre più rapida, sempre più rapida. Lampeggiava sempre più rapida, sempre più rapida. Quindi ci fu un suono, come un lungo rimbombo, e gli parve di precipitare giù, lungo una grande, infinita scala, al fondo della quale, da qualche parte, profondò nell’oscurità.
Fu tutto quello che riuscì a capire: era sprofondato nell’oscurità. E nell’istante stesso in cui lo seppe, cessò di saperlo.

Con queste ultime parole Jack London ci congeda da Martin Eden, un eroe destinato a rimanere nel nostro cuore.