Il professor Polimori si chiuse la porta dietro le spalle e prese un grosso respiro. Allora. Calma. Oggi doveva scrivere, il professor Polimori, scrivere! Scrivere un trattato. Scrivere un trattato di logica-matematica. Una cosa nuovissima. Un’intuizione purissima. Polimori era convinto, da mesi, anni: forse dalla nascita, a ben pensarci, di aver individuato un nuovo principio. Un nuovo principio da affiancare al principio del terzo escluso e al principio di non contraddizione. Forse più importante del principio di De Morgan e più importante del principio della cumulatività dei connettivi e certamente più rilevante del principio di idempotenza dell’implicazione. Ah sì, più importante, più importante! Certo, prima doveva mettersi giù e scrivere! Scrivere scrivere scrivere! E poi… la Medaglia Dirac nell’anno 2384 sarebbe stata sua! Sua sua sua!

Il professor Polimori si tolse la bombetta e l’appese al chiodo della cappelliera. Si tolse il cappotto e l’appese al piolo del vestibolo. Si prese delicatamente la punta del naso con due dita e cominciò a svitarlo in senso antiorario (alcuni suoi colleghi avevano nasi che si potevano svitare in senso orario, ma non aveva importanza: lui sapeva bene cosa avesse o non avesse importanza, l’aveva sempre saputo, ed eccolo, infatti… a un passo dalla Medaglia Dirac, a un passo dalla storia, a un passo da una rivoluzione assoluta). Una volta svitatosi il naso, Polimori lo mise nel porta-naso d’ottone sul tavolo d’entrata. Togliersi il naso gli avrebbe impedito di starnutire o di venire distratto da strani effluvi. Si portò le mani alle orecchie come se volesse comprimersele per impedirsi di udire e invece anche qui cominciò a svitare. Le orecchie girarono come le manovelle di un portellone e dopo tre o quattro giri vennero via facendo anche un leggero rumore di tappo che stappa. Le posò nel porta- orecchi d’argento: un oggetto a forma di spirale, quasi uno stecchetto. Ora che non udiva più nulla, era sordo come una campana, già si sentiva meglio. Anche non sentire odori lo stava aiutando a concentrarsi meglio. Ma per sicurezza si sollevò maglione e camicia e si tolse lo stomaco. Che grande invenzione lo stomaco sganciabile! L’uomo che l’aveva brevettato era stato anche fatto Santo dal Papa avendo in un sol colpo vinto la fame nel mondo. Senza più bisogno di uno stomaco non c’era più necessità di mangiare. Di cibo. Rimaneva il puro piacere di farlo, di mangiare le bistecche sintetiche nel pane sintetico nelle catene McGates – le uniche rimaste in circolazione ormai dopo la battaglia tra Findus e la Gates Company. Peraltro, le bistecche sintetiche McGates erano ogni anno più buone. Meglio dei pesci di plastica che la Findus voleva imporre al mercato. Polimori ripose il suo stomaco nel porta-stomaco d’oro che gli era stato regalato alla Prima Comunione trenta e passa anni fa da una zia.

Senza più lo stomaco tra le balle (alle quali arriveremo presto), Polimori non sentiva più il senso di fame. Per sicurezza però si mise una mano in bocca e si staccò la lingua mettendola in uno scatolino di plastica: sì, il suo porta-lingua non era particolarmente pregiato, ma il professore si riprometteva da tempo di ovviare alla svista acquistando un porta-lingua in legno di frassino avvistato in un negozietto della catena Bezos. Ah, non c’era che dire… ora si sentiva subito meglio: senza più papille gustative aveva definitivamente fatto fuori anche il desiderio di bere e mangiare oltre alla necessità fisiologica data dalla presenza dello stomaco.

E veniamo adesso alla parte più disagevole e fastidiosa: le palle. Con vero piacere il professor Polimori si cacciò una mano sotto la cintura e i pantaloni e si svitò le palle. Ci mise un po’, perché c’era un cernierino in fondo, lì tra le gambe, un po’ difettoso, ma alla fine riuscì a slacciare, e a togliersele. Mise le sue belle palle rotonde nel porta-palle d’acciaio Inox 1810 e si assicurò che il porta-palle fosse ben sigillato perché danneggiare quelle avrebbe potuto essere un problema al momento del riallacciamento: avrebbero fatto un male cane.

Ah, ora sì che andava tutto bene! Senza le palle si sentiva veramente bene. A posto. Pronto a sedersi davanti al computer e a concentrarsi. Sì, perché si era in primavera in quel periodo ed era tutto un continuo prurito lì nelle parti basse. Ma come fa uno a concentrarsi in primavera, se non si stacca le palle? Ora senza più naso, orecchie, lingua, stomaco e… palle, Polimori era ormai pronto. Fece qualche passo avanti e si rese subito conto che gli scappava la cacca. Gli scappava la cacca? Sì. Gli scappava. Cacchio! Così, decise subito di svitarsi il sedere. Solo che non aveva un porta-sedere, allora decise di mettere le sue adorate chiappe nel lavello. In bagno. Le appoggiò lì e sembravano due budini bianchicci. Che culone gli stava venendo! La vita sedentaria del professore era una sciagura, per le chiappe… Comunque, ci avrebbe pensato più tardi. Ora la cacca non gli scappava più.

Andò nel suo studio, accese il computer e si sedette lì davanti ormai solo tutta mente, cervello, connessioni neuronali: niente l’avrebbe potuto disturbare, nessun senso. Cominciò a battere le prime parole del suo trattato logico matematico quando percepì un prurito al piede sinistro. Cacchio! Niente lo doveva disturbare! Niente! Anche solo un prurito al mignolino del piede sinistro avrebbe potuto influire sulla purezza dei suoi pensieri logico-matematici! Così, senza stare troppo ad andarci per il sottile, si afferrò il piede e se lo svitò. Tanto a che gli serviva il piede adesso che doveva scrivere? Mezzo incavolato, una volta svitato, si lanciò il piede alle spalle e quello rotolò in un angolo della stanza. Idiota! Come avrebbe fatto a recuperarlo, quando avrebbe finito? Avrebbe dovuto arrancare per la stanza puntellandosi ovunque alla ricerca del piede. Va bene. Non importa. Per sicurezza si tolse anche l’altro tenendo ovviamente il piede nella scarpa e se lo posò lì vicino. Adesso niente lo avrebbe potuto disturbare… ammenoché…

Mentre scriveva, sentì un prurito alla spalla. Poi un altro prurito lungo il costato. Poi pruriti un po’ ovunque. Cacchio! Cacchio! Cacchio! Le allergie. I pollini. I pollini della primavera. Erano arrivati. Erano arrivati! Come avrebbe fatto a concentrarsi se i pollini lo facevano prudere così?! Lui doveva scrivere! Quello che stava per scrivere avrebbe cambiato per sempre la storia dell’uomo, della donna, magari anche degli animali domestici e sicuramente delle piante da balcone: di tutto, suvvia, tutto. Non poteva essere interrotto da… un prurito alla spalla. Così, lo fece. Basta. Deciso. Essendo senza piedi, rimase seduto sulla sedia ma si tolse gli indumenti e poi una volta nudo si slacciò la pelle dal corpo. Prima la cerniera della parte superiore posta dietro la schiena e poi le gambe. Buttò tutto lì affianco e adesso non aveva più alcun tipo di terminazione nervosa tra le scatole. Ora era completamente insensibile ed era rimasto puro intelletto. Le connessioni neuronali, infatti, scoppiavano nella sua mente come un pacchetto di gomma da masticare frizzante – quelle che metti sulla lingua e ti fanno tutti quei pizzichi... Bastava non guardarsi troppo allo specchio perché faceva senso con i fasci muscolari lucidi e lubrichi attaccati alle ossa in bella vista. Volava ora letteralmente sulla tastiera concentrato come un vaso di marmellata posto a ventimila leghe sotto i mari. Ormai c’era quasi, sì. Eccomi Medaglia Dirac, eccomi! A più b più c meno d uguale e… k, y, m, z, q. Quando improvviso… Y, k, u, a, e, i o, u, y meno a, c, d, c…

L’immagine di lei. Lei. Lei che non vedeva da mesi e che proprio adesso, adesso, proprio adesso, le si riaffacciava alla memoria, con quel suo faccino, quel suo visino, quel suo… suo musino. E il cuore gli si mise a battere, al professor Polimori, a battere, battere ai mille all’ora, forsennato… E si deconcentrò. Proprio sul più bello quel viso occupò i suoi pensieri logico-matematici e… e Polimori si deconcentrò. Cominciò a tastarsi il petto, a schiacciarsi il capezzolo (beeep! beeep!), come per cercare l’interruttore per spegnersi il cuore o cavarselo dal petto strappandosi dalla mente l’immagine di lei. Lei. Maledetta lei! Santa, maledetta, benedetta lei! Ma… Ma quell’interruttore non esisteva, quell’opzione nessuno ancora l’aveva. Il cuore rimase lì, a battere. Il cuore. Lei e il cuore.

E il professor Polimori non arrivò alla soluzione del suo problema logico-matematico. Però… D’improvviso… Squillò il telefono.