La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza e colpisce prevalentemente le persone oltre i 65 anni. In Italia i malati di Alzheimer sono circa un milione, 36 milioni in tutto il mondo. La patologia è destinata a diffondersi in modo dilagante: considerando l'aspettativa di vita di chi nasce oggi, circa 90 anni, si prevede che circa il 50% di questi cittadini soffriranno di Alzheimer. A livello mondiale si calcola che nel 2050 ci saranno circa 115 milioni di pazienti. Nonostante la ricerca scientifica abbia fatto passi da gigante nella comprensione dei meccanismi attraverso i quali questa patologia provoca la morte delle cellule cerebrali, allo stato delle attuali conoscenze per la terapia farmacologica della malattia di Alzheimer non disponiamo di un trattamento causale (cioè consistente nella eliminazione della causa), ma soltanto di farmaci “sintomatici” (cioè finalizzati all’attenuazione/rallentamento delle manifestazioni cliniche).

Nell’ultimo decennio si sono avute sempre più evidenze sull’efficacia in questa patologia di approcci non farmacologici e per questo sono nate strutture mirate dove poter intervenire con questa modalità terapeutica come il Centro Sperimentale Alzheimer (NEDCCG-Fatebenefratelli, Roma). Il NEDCCG esiste dal 2004 e a tutt’oggi ha assistito migliaia di pazienti e familiari sia in modalità residenziale che ambulatoriale individuale e di gruppo.

La recente emergenza Covid-19 con le conseguenti misure di distanziamento sociale e permanenza a domicilio ha esposto e continua a esporre i nostri pazienti a numerose criticità. La quotidianità anche fuori delle mura domestiche, le terapie riabilitative, le visite di controllo sono fondamentali per mantenere un buon equilibrio sintomatologico della patologia nei pazienti ambulatoriali. Parimenti i pazienti ricoverati sentono la mancanza delle visite dei familiari che la pandemia ha bruscamente interrotto. I primi giorni abbiamo ricevuto tante richieste di aiuto dalle famiglie e telefonicamente non è sempre possibile risolvere o quanto meno attenuare la problematica in modo adeguato. Abbiamo pertanto pensato di espandere il nostro approccio ricorrendo alla tecnologia.

Da anni presso il nostro Istituto è attivo un progetto di telemedicina noto come PAD, iniziato da un libro distribuito per promuovere le attività sociosanitarie benefiche della ONLUS AFMaL (Associazione Fatebenefratelli per i Malati Lontani). Il testo, dal titolo evocativo Alla ricerca della memoria perduta, è stato scritto da me e da altri professionisti del Centro ed è ricchissimo di consigli per i caregiver e schede neurocognitive che impegnano i pazienti su funzioni come memoria, linguaggio, funzioni esecutive, abilità visuo-spaziali, coordinazione neuromotoria e orientamento spazio-temporale solo per citarne alcune.

Il PAD funziona così: i pazienti/familiari ricevono periodicamente via e-mail questo materiale; dopo aver seguito le indicazioni per il loro svolgimento, le rinviano con eventuali domande e considerazioni. Se una persona non è in grado di usare un computer o uno smartphone, può ovviamente fare gli esercizi con l’aiuto di un parente o assistente domiciliare. In sede ogni giorno c’è un gruppo di lavoro (formato da medici, psicologi e terapisti cognitivi) che risponde alle email.

Oltre a potenziare questa risorsa già esistente, in seguito all’emergenza Coronavirus abbiamo pensato di continuare, ove indicato e possibile, le terapie riabilitative individuali e di gruppo e il sostegno alle famiglie e di mettere in contatto i pazienti ricoverati con i loro cari mediante videochiamata con Skype e WhatsApp e con la piattaforma Zoom. All’inizio eravamo titubanti, ci domandavamo se i pazienti avrebbero reagito bene, se avrebbero accettato la “distanza” imposta dall’informatica. Come sempre ci hanno sorpreso positivamente e le terapie e i contatti con l’esterno sono stati sostituiti quasi in toto con questa nuova modalità, facendo in modo che i percorsi riabilitativi, e più in generale la serenità e il benessere dei pazienti, non ne risentissero.

Il bisogno che i malati di Alzheimer ed i loro familiari hanno di sentirsi coinvolti e seguiti è importante. La tecnologia che da sempre si affianca all’uomo per facilitarlo nello svolgimento delle sue attività e sollevarlo dalle fatiche fisiche, in questo momento di sofferenza generale si dimostra un ottimo aiuto anche per una fatica ben più gravosa: la fatica esistenziale.