Ultimamente ne abbiamo sentite di tutti i colori, anche sulla possibilità di trasferirci presto a vivere su Marte. Per farsi “di nuovo grandi” si sparano promesse impossibili. La notizia è che dovremmo aspettare ancora a lungo per trasferirci su un altro pianeta. E la colpa è del sesso. No, niente spoiler, andiamo per ordine perché questa è un’intervista seria con domande puerili (cioè che farebbe un bimbo): si parla di ricerca (sì, anche su come praticare attività sessuale in assenza di gravità), di cosmopolitismo, immaginazione, tecnologia e umanità.

E a raccontarci tutto questo nel modo più comprensibile possibile è un ragazzo del futuro che, si sa, è già presente: Vittorio Baraldi, classe 1997, ingegnere aerospaziale che ha collaborato con la NASA, popolarissimo divulgatore scientifico (AstroViktor sui social). Suo il libro uscito lo scorso febbraio Come vivremo nello spazio, un racconto tra storia, scoperte, miti da sfatare.

Quando ha capito di voler lavorare in orbita?

Sono competitivo e ambizioso così credo inconsciamente di essermi detto: qual è il mestiere più difficile che esista? Andare nello spazio, esplorare i confini del conosciuto. Al liceo ho deciso di provare ingegneria spaziale all’università di Bologna. Ho passato il test. Col tempo quel percorso mi ha portato anche a diventare un divulgatore scientifico. Ho iniziato a fare video su Instagram, YouTube, raccontando quello che studiavo in modo più semplice, più leggero, senza formule complesse. E pian piano il mio canale è cresciuto, insieme con la passione, che oggi è diventata il mio lavoro.

Da bambino come s’immaginava lo spazio?

Irraggiungibile fisicamente, ma soprattutto mentalmente. E forse proprio questo mi affascinava. Poi studiando ho capito che sì, lo spazio è enorme, ma c’è tanto anche vicino a noi. Molto di quello che facciamo oggi lo facciamo attorno alla Terra: satelliti, esperimenti. La maggior parte dell’attività spaziale si svolge in quella che chiamiamo “orbita bassa terrestre”.

Ci spiega meglio?

La luna è a 400 mila chilometri di distanza, un viaggio di diverse centinaia di migliaia di chilometri: lontanissima. Invece, la Stazione Spaziale Internazionale1, la postazione in orbita terrestre dedicata alla ricerca scientifica in un progetto congiunto tra cinque diverse agenzie spaziali di cinque diversi Paesi, si trova a soli 400 chilometri sopra le nostre teste: una distanza che si potrebbe percorrere in macchina in quattro ore, se si potesse andare in linea retta. Eppure è tecnicamente nello spazio, perché siamo oltre l’atmosfera. E ci vivono astronauti da oltre vent’anni.

Quindi lo spazio è in pratica nel nostro giardino?

Esattamente. E se guardiamo la scala del sistema solare, la stragrande maggioranza di ciò che facciamo è attaccata alla Terra. Questo ci fa capire quanto ci sia ancora da esplorare e conoscere.

Missioni, satelliti, esperimenti nelle galassie: oltre all’umana curiosità, a cosa servono?

La curiosità è un grande motore, quello che ha spinto Cristoforo Colombo oltre le colonne d’Ercole, dove si pensava ci fosse solo il nulla. Però ci sono anche moltissimi motivi scientifici. La Stazione Spaziale Internazionale è un laboratorio unico nel suo genere. I nostri astronauti sono a tutti gli effetti scienziati. Lì si studia come reagisce corpo umano, molecole, materiali in microgravità.

Ad esempio?

Sulla Stazione si fanno ricerche per malattie come l’Alzheimer, per la stampa 3D di organi, per nuovi trattamenti oncologici. Si è anche lavorato su nuovi medicinali contro la distrofia muscolare di Duchenne, a oggi incurabile, e la ricerca spaziale ha dato uno stimolo significativo allo sviluppo di terapie che rallentano la malattia.

E per fare tutto questo serve “lo spazio”?

Non è necessario, ma lo spazio offre condizioni uniche, non replicabili sulla Terra. La microgravità altera il comportamento di cellule, organi, materiali. Per esempio: i globuli rossi in microgravità cambiano forma, da “ciambella” diventano sferici. Questo ci permette di studiare meglio il loro funzionamento. Altro esempio: la perdita di massa ossea e muscolare in assenza di peso ci aiuta a capire di più sul funzionamento del nostro corpo e a trovare contromisure per malattie simili sulla Terra. Anche lo sviluppo delle radiografie lo dobbiamo allo spazio: deriva da un sistema di elaborazione delle immagini dei satelliti che poi sono stati utili per rendere più precise le tomografie assiali computerizzate (Tac).

E fuori dall’ambito medico?

I pannelli solari sono stati perfezionati grazie alla necessità di alimentare i satelliti già negli anni Sessanta. O la tecnologia per il riciclo dell’acqua: sulla Stazione Spaziale si ricicla circa il 90% dell’acqua, inclusa l’urina, che è purificata e riutilizzata. Questo tipo di tecnologia è stato adattato per essere utilizzato anche in zone della Terra dove l’acqua potabile scarseggia.

E poi si studia anche come andare (a vivere) su un altro pianeta. La cantante americana Kety Perry è già andata in orbita come turista. Quali sviluppi e quali tempi per andare su Marte?

Il viaggio di Kety Perry è stato venduto come un traguardo molto più grande di quello che è. Si tratta piuttosto di un’operazione di marketing un po’ da spacconi americani, ma ben riuscita. Ha fatto rumore e catturato l’attenzione del grande pubblico ed è servita per fare altri piccoli esperimenti utili ancora in campo medico. Su tempi e sviluppi è difficile fare previsioni esatte perché oggi la ricerca è molto più interdipendente rispetto al passato. Ci sono collaborazioni internazionali, aziende private coinvolte. È tutto più complesso. Se devo dare una mia visione, penso che dovremo aspettare gli anni Quaranta per una missione umana su Marte. Tra qui e allora possono accadere cose che velocizzano o rallentano, ma ogni sviluppo in quel senso passa prima dalla Luna.

Perché prima di Marte dobbiamo passare ancora dalla Luna?

Sulla luna non ci torniamo come negli anni Sessanta, per piantare una bandiera e tornare a casa, ma con il progetto Artemis, della NASA, si prevede un ritorno stabile. Si punta a permanenze più lunghe, a costruire basi, a utilizzare le risorse della Luna, per spostare lì il nostro “laboratorio”. Sarà una sorta di test per poi fare il salto successivo verso Marte. La missione Artemis I, senza equipaggio, è partita nel 2022. Artemis II, con astronauti a bordo, è prevista per aprile 2026. Artemis III, che riporterà l’uomo sulla Luna, dovrebbe avvenire tra il 2027 e il 2028. Ritardi ci sono già stati, probabilmente ce ne saranno altri, ma credo che entro il 2030 vedremo persone camminare di nuovo sulla Luna.

E su Marte, quindi, ci sarà una corsa per arrivarci.

Sono abbastanza sicuro che non sarà per nulla una corsa. Sarà un processo veramente graduale, che richiederà tantissimo tempo. Inizialmente saranno missioni esplorative ci andranno solo astronauti, persone altamente addestrate, preparate sia dal punto di vista tecnico che fisico e psicologico. Dobbiamo ricordarci che, per quanto affascinante sia vedere una persona su Marte, si tratta prima di tutto di scienza. Servono individui con una resilienza, una prontezza mentale fuori dal comune. Sarà l'impresa più complessa che l'essere umano abbia mai affrontato, ben più difficile dello sbarco sulla Luna.

Anche per via della distanza...

Esatto. Il viaggio è lunghissimo. Non è pensabile andare e tornare in pochi giorni. E poi c'è anche il problema della comunicazione: tra Terra e Luna c'è un ritardo di poco più di un secondo, su Marte parliamo di un ritardo di 15-20 minuti. Se c'è un problema grave, sei da solo. Non c’è nessuno che possa intervenire in tempo reale.

Magari viene in aiuto un Marziano... perché esistono vero?

(ridiamo) Sì, è possibile. Però quando parliamo di marziani dobbiamo immaginare forme di vita batteriche, piccoli ecosistemi semplici. Al momento non abbiamo prove certe, ma diversi indizi ci fanno pensare che qualcosa potrebbe esserci. E qui si apre una grande questione etica: abbiamo il diritto (recandoci lì) di alterare un ecosistema, per quanto semplice e lontano? È un interrogativo importante.

Quanto sono connessi tra loro i pianeti?

A livello di ecosistemi, zero. Ogni pianeta contribuisce al sistema solare, certo. Giove ad esempio, con la sua enorme gravità, ha deviato moltissimi asteroidi che altrimenti avrebbero potuto colpire la Terra. Però, in termini di vita, non c’è influenza diretta tra i pianeti oggi. In passato si pensa che l’acqua sia arrivata sulla Terra grazie a impatti con meteoriti, e che la Luna sia nata da un impatto con un corpo grande quanto Marte. Attualmente non c'è connessione biologica tra i pianeti.

Quali abitudini umane possiamo "traslocare" su un altro corpo celeste? E cosa è impossibile?

L’essere umano cambia, ma lentamente. Non siamo molto diversi da com’eravamo secoli fa, almeno dal punto di vista biologico e emotivo. In futuro, però, potremmo evolverci in modi impensabili grazie alla bioingegneria o alla fusione tra uomo e macchina. Esistono già persone con arti artificiali controllati dal sistema nervoso. Si parla d’impianti cerebrali in grado di leggere e potenziare il nostro cervello. Sicuramente l’essere umano ha bisogno di relazioni, socialità ma anche di sole sul viso, di una passeggiata nella natura.

Cose non fattibili su Marte. Quindi, le abitudini da “traslocare” sarebbero quelle che ci rendono emotivamente stabili, altrimenti si rischia di dimenticare il senso del perché siamo lì. Poi si può anche creare un nostro alter ego alterato biologicamente, ma sapendo che non avrebbe nulla in comune con noi più di quanto noi non abbiamo con un homo erectus o un australopithecus . Un essere umano del genere sarebbe una nuova razza, del tutto diversa da noi. È tutto plausibile, non è né meglio né peggio, è un'evoluzione ma tenendo presente che l'essere umano sta in un'altra configurazione. Il mio auspicio è che non perdiamo l’umanità nel progresso.

Umanità: quanto è importante la cooperazione tra etnie, culture, paesi diversi in ambito spaziale?

Fondamentale. La Stazione Spaziale Internazionale è il progetto di cooperazione più grande della storia umana: più di 280 astronauti da ventitré paesi diversi hanno vissuto lì. Ed è anche l’oggetto singolo più costoso mai costruito: 150 miliardi di dollari. Anche durante conflitti come quello in Ucraina, nello spazio si è continuato a collaborare. Lo spazio è sempre stato nei fatti un luogo di cooperazione e andare su Marte può davvero unirci in un’impresa straordinaria, magari per la pace.

Ce lo auguriamo. Lei ha visto il film Interstellar?

È il mio cult movie sullo spazio. Ha quella componente di umanità di cui parlavamo prima. Le persone che lasciano tutto per il bene di qualcun altro, anche senza garanzie, solo per la speranza che ci sia qualcosa di meglio. E poi ci sono i paradossi temporali: il viaggio senza ritorno, il tempo che passa più in fretta sulla Terra. È pieno di temi profondi. E anche un po’ di egoismo in mezzo a tutto quell’altruismo: Cooper parte anche perché vuole andare.

Quando parte lei per lo spazio?

(Ride) Non lo so, spero presto! Anche se la mia strada è più nella divulgazione che nell’ingegneria pura, non è il percorso più classico per diventare astronauti, ma chissà. Penso che ognuno debba seguire ciò che ama così prima o poi le opportunità arrivano.

Ha conosciuto Samantha Cristoforetti?

Di vista sì. La rispetto molto è una pioniera della divulgazione.

Le capita di avere la testa tra le nuvole?

Spessissimo! Il mio lavoro richiede immaginazione. Mi piace pensare a futuri possibili, a viaggi nel tempo, a scenari alternativi. Noi ingegneri calcoliamo traiettorie, carburante, ma poi: cosa mangeremo su Marte? Come costruiremo le case? Come dormiremo? Possiamo fare sesso nello spazio? Ci siamo mai riprodotti lì?

Ecco, ce lo dica! È mai successo?

Purtroppo a quanto sappiamo, no: nessuna attività sessuale nello spazio e sicuramente mai una riproduzione. Ci sono voci di esperimenti russi e un caso nel 1992 con una coppia sposata in missione, ma niente di confermato. Il problema principale in orbita è che fluttui: non c'è attrito, non c’è gravità. C’è chi ha pensato a imbracature per risolvere il problema... ma insomma, non è così semplice. La certezza è che l’attività sessuale classica ha bisogno della forza di gravità. E quindi vede, c’è chi dice che prestissimo saremo pronti per andare a vivere su un altro pianeta, ma non sappiamo né se, né come potremmo riprodurci nello spazio. Ci mancano le basi (ride).

Per gli altri bisogni primari invece tutto ok?

Si mangia benissimo, la scienza in cucina ha fatto grandi passi, lo sappiamo tutti. Per il resto, la Stazione ha una toilette da 23 milioni di dollari! Un’opera d’ingegneria: l’urina è aspirata e riciclata come acqua potabile, le feci invece sono sigillate in sacchetti ermetici che poi vanno all'interno di un contenitore più grande, posto esattamente sotto la tazza e quando il contenitore è pieno è sganciato in una navicella con i rifiuti per bruciare in atmosfera.

Quindi occhio a guardare le stelle…

(ride) Può capitare che qualche stella cadente non sia davvero una stella cadente.

Vuole aggiungere qualcosa?

Voglio dire ai miei coetanei e ai più giovani che lavorare per lo spazio non è qualcosa solo per ingegneri astrofisici, ma sempre più per professioni diverse: c’è bisogno di figure come l’avvocato e il medico spaziale, passando per esperti di biologia, architettura, design, ambiente, agricoltura, nutrizione. E poi ci tengo a dire che dobbiamo continuare a farci domande. Anche le più semplici: sono quelle che fanno progredire e ci rendono umani.

Note

1 Stazione spaziale internazionale.