La Terra Verde del nord Europa, quella sulla quale sia sono appuntate le attenzioni del nuovo presidente staunitense nella sua azione di disconnessione del mondo come lo abbiamo conosciuto e delle relazioni internazionali come concepite fino ad ora cosdtituisce non soltanto un oggetto del desiderio – molto concreto e poco poetico – di questo o quel leader politco, ma un grande punto di riferimento per lo studio e l’approfondimento di quei cambiamenti climatici in atto sul nostro pianeta dei quali tanto si dicute tra atteggiamento messianici e catastrofali e razionale analisi dei dati e studio delle possibili evoluzioni dal punto di vista scientifico, previsionale e pratico. Già nel nome la Groenlandia ci conduce ad approfondire e a guardare nel passato remoto delle terre emerse.
Sappiamo dagli studi sempre più precisi ed avvincenti che nel caso del continente antartico ad esempio potremmo un giorno scoprirne la natura complessa dal punto di vista tettonico e geologico e immaginarne la realtà quando era quasi indenne dai ghiacci eterni in epoche talmente ampie che la vita umana ha lo spessore di qualche secondo!
Allo stesso modo appunto la Groenlandia ci rimanda a una terra verde, fertile e non coperta dai ghiacci nelle ere geologiche della quale andiamo via scoprendo le caratteristiche. Quel che di drammatico e dal punto di vista scientifico sta accadendo è che la più grande isola del mondo una volta nascosta da una coltre di chilometri di ghiaccio, comincia a farsi conoscere per fenomeni molto incidenti e quel che è più complesso in tempi non geologici ma umani.
È questo il messaggio che arriva da una grande ricerca condotta dal Cnr-Isp (Istituto di scienze polari), in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari Venezia, le Università di Friburgo e Copenaghen e il Servizio geologico di Danimarca e Groenlandia. Si tratta dell’acquisizione dei dati acquisiti da satelliti in 35 anni e un punto di riferimento per contribuire a comprendere l’incidenza del riscaldamento globale sulle variazioni della criosfera. I risultati sono stati pubblicati su Journal of Glaciology.
I ghiacciai montani della costa occidentale della Groenlandia – quelli sui quali i dati appaiono nella, loro maggiore stabilità e chiarezza - si stanno riducendo in maniera significativa e come abbiamo osservato in un orizzonte temporale “umano”.
La ricerca ha analizzato oltre 4000 ghiacciai della Groenlandia occidentale in un arco temporale di 35 anni (1985-2020), mettendo in luce come la diminuzione dell’area e della massa indichi un rapido declino degli stessi, distribuiti sulle catene montuose costiere.
Quando si parla di Groenlandia viene abbastanza automatico pensare alla grande calotta glaciale, ma al di fuori di essa esistono migliaia di ghiacciai montani del tutto simili a quelli alpini, oltre a piccole calotte glaciali minori.
Sollinea Andrea Securo, dottorando in scienze polari dell’Università Ca’ Foscari Venezia e primo autore della ricerca.
Sebbene meno studiati e osservati fino ad ora, si contano oltre ventimila ghiacciai di questo tipo, la cui area complessiva è 70 volte più grande di quella dei ghiacciai alpini, rendendo questa zona una delle principali responsabili dell’innalzamento del livello del mare per fusione glaciale, seconda soltanto all’Alaska.
Lo studio – sottolineano i ricercatori - ha messo a punto dati satellitari forniti dall’Esa Sentinel Hub, misurando le perdite di volume con metodi fotogrammetrici attraverso la sovrapposizione di set di immagini satellitari ravvicinate. “I risultati che abbiamo elaborato mostrano una riduzione di quasi il 15% dell’area complessiva e di circa il 19% del volume di ghiaccio, rispetto alla situazione che si presentava nel 1985”, spiega a sua volta Renato R. Colucci, ricercatore del Cnr-Isp che ha guidato il team di ricerca.
Un altro dato molto interessante riguarda la linea di equilibrio glaciale (ELA), che indica l’altitudine alla quale si può formare un ghiacciaio: nel periodo esaminato, i dati dei satelliti hanno dimostrato come questa linea si sia alzata mediamente di oltre 150 metri, portando alla scomparsa di 279 ghiacciai. Tuttavia, prendendo in esame la parte più settentrionale dell’area, l’innalzamento dell’ELA è arrivato a superare i 250 metri.
I ghiacciai montani, se monitorati almeno su scale decennali, rappresentano un indicatore importante per valutare quanto e come il clima interagisca con la criosfera, ovvero con i territori ghiacciati della Terra. Lo studio è stato realizzato all’interno del progetto Local Glaciers Sisimiut (LOGS), finanziato dal Greenland Research Council.
Per quel che si può osservare potremmo dire che in tempi ravvicinati quel che un tempo era un bastione ghiacciato e senza tempo, un temibile luogo per l’uomo e le sue debolezze, una vera sfida per le attività umane come le grandi estensioni del Nord America o della Siberia potrebbe mostrarci un’immagine completamente diversa, in evoluzione con tutte le conseguenze che vanno dall’innalzamento dei mari ai fenomeni connessi allo sfaldamento e allo scioglimento del permafrost. Situazioni che mano a mano potrebbero modificare non soltanto la geografia, ma anche l’utilizzo delle terre, delle riserse in esse rimaste per millenni e nuovi pesanti riflessi sul clima e sui cambiamenti in atto.
Quella terra ghiacciata, silente, regno della natura incontrastata rischia di manifestarsi in tutta la sua potenza anche di fronte allo scogliersi dei ghiacci con consegunti modifiche che potrebberoriguardare tuttociò che ha fatto da riferimento perenne a navigatori, esploratori e via dicendo.
In pratica il rischio, come anche la fantastica opportunità non scevra da rischi altissimi, è che in tempi umani potremmo avere l’occasione di veder ritornare verde una terra che lo era solo di nome. Quale mondo sarà a quel momento possiamo soltanto immaginarlo anche se alcune linee tendenziali già le riusciamo ad intravedere!