Se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare le nostre capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali – in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico all’intelligenza emotiva – potremo sperare in un futuro più sereno.

(Daniel Goleman)

Trieste è una città tranquilla che ha una lentezza tutta mediterranea, soprattutto in certe sue sere profumate di mare e annaffiate da abbondante vino; dopo il secondo bicchiere i suoi abitanti tendono a instaurare rapporti meno burberi e più affettuosi con chi gli capita a tiro e con il mondo intero.
Le canzoni popolari di questa città incastrata tra il mare e l’altipiano si sono sempre mescolate a quelle della tradizione dei canti alpini, e il vino è stato uno dei temi centrali di entrambi i canzonieri. Si beve senza eccessiva moderazione ma senza esagerare, si beve per onorare una centenaria tradizione e la saggezza popolare che sostiene che “l’acqua è fatta pei perversi, e il diluvio lo dimostrò”.

Recentemente la mia idilliaca visione di questa Trieste amichevolmente brilla si è infranta su due notizie di cronaca: martedì scorso un gruppetto di giovinastri sbronzi hanno picchiato a sangue l’attivista LGTB Antonio Parisi e due suoi amici, e sabato sera quattro giovani alterati e imbecilli hanno aggredito Ammad Alam Khan, capitano della squadra di cricket Trieste United, che è stato colpito alla testa con una bottiglia e scaraventato in mare. Sarebbe affogato se una ragazza non avesse avuto la prontezza e l’incoscienza di buttarsi in acqua e salvargli la vita.

In tutto il nostro Paese le aggressioni si stanno moltiplicando, sugli autobus continuano a verificarsi frequenti episodi di violenza sia verbale che fisica nei confronti dei conducenti, negli ospedali c’è una escalation di attacchi contro il personale sanitario, a scuola gli assalti nei confronti dei docenti si moltiplicano in modo preoccupante. Si moltiplicano anche le aggressioni omofone e xenofobe, gli adolescenti organizzano maxi risse, i dati ISTAT dimostrano che nell’ultimo anno le chiamate di donne al numero antiviolenza sono raddoppiate, i social media sono invasi da messaggi di odio, il livello di aggressività e di violenza verbale non è mia stato così alto.
Sono segnali inquietanti.
Se sono segnali forse bisogna tentare di interpretarli.

Se un adolescente che sta cercando di mettere assieme i pezzi confusi di quel puzzle che dovrebbe rappresentare il mondo in cui deve cercare di vivere si trova davanti a figure adulte che promuovono il bullismo, l’omofobia e il razzismo, abbiamo un problema. E se queste figure non sono l’ubriaco da bar ma uno che - sebbene a me continui a sembrare l’ubriaco da bar - è stato ministro degli interni, forse i ragazzi hanno diritto a sentirsi fortemente disorientati.

L’aumento dell’aggressività però non riguarda solamente i ragazzi ma tutti, adolescenti, genitori e nonni; stiamo assistendo ad un fenomeno transgenerazionale in cui a furia di sbraitare si è perso sia il senso comune che la capacità di identificare il bene comune.
Sembra che non abbiamo perso solamente le regole della grammatica delle emozioni, ma l’ABC stesso del vivere sociale e che stiamo regredendo verso uno stato di analfabetismo emotivo e culturale accompagnato dalla perdita del senso di comunità, con il forte rischio di ritornare alla legge della giungla.
La grande forza della comunità è quella di riuscire a proteggere ogni suo membro, garantendo l’inclusione e la sopravvivenza dei più deboli; al contrario, la legge del più forte è basata sulla prevaricazione, e sulla soppressione dei più deboli. La storia di ogni dittatura mai esistita sulla Terra è la storia del prevalere della legge del più forte sul senso di appartenenza e comunità.

Io credo che l’aumento di aggressività che stiamo vivendo sia legato all’aumento della paura.
Ogni dittatura e ogni dittatore (o chi oggi vorrebbe diventare tale) ha sempre creato e alimentato la paura: la nostra paura nutre il potere.
Se dobbiamo misurarci e combattere con la paura, per prima cosa dobbiamo imparare a conoscerla.

Da un punto di vista fisiologico, la paura è una emozione che viene elaborata in una struttura del cervello chiamata amigdala.
L’amigdala è un agglomerato di nuclei nervosi localizzata nella parte anteriore dei lobi temporali ed è una componente del sistema limbico, la parte più antica del cervello.
Si ritiene che l’amigdala sia il centro di integrazione delle emozioni e l’archivio della nostra memoria emozionale ed è attiva nel sistema che compara gli stimoli con le esperienze passate, cioè mette a confronto tutti i ricordi passati in cui ci siano aspetti simili all’esperienza presente.
Quando uno stimolo viene identificato come pericoloso, l'amigdala invia segnali di emergenza a tutte le parti principali del cervello, stimola il rilascio degli ormoni dello stress (adrenalina, dopamina, noradrenalina) che sono capaci di mettere in atto la risposta alla paura, cioè la reazione di attacco o di fuga, e sono responsabili dell’aumento della pressione, del ritmo respiratorio e della sudorazione e della frequenza del battito cardiaco.
Il fatto che a volte le nostre reazioni vengano scatenate da una emozione prima di riuscire a formulare un pensiero cosciente dipende dalla amigdala.

Esiste una sostanza capace di modulare e ridurre l’iperattività dell’amigdala: è un altro ormone, l’ossitocina, che viene chiamata la molecola dell’amore e che a sua volta interagisce con due altri due ormoni detti “della felicità”: la dopamina e la serotonina.
Amore e felicità.
Ognuno di noi ha sperimentato la sensazione che deriva da un rilascio massiccio di queste sostanze durante l’innamoramento, il meraviglioso squilibrio chimico provocato da un abbraccio, un bacio; ma anche un contatto non fisico ma molto intenso con l’altro (uno sguardo, un sorriso, un gesto) provoca il rilascio di queste sostanze.
Allora possiamo sfruttare la chimica a nostro favore, appropriandoci di queste sostanze autoprodotte, gratuite, biologiche, che ci possono aiutare a stare meglio e a diventare una società migliore, ad acquisire i mezzi culturali ed emotivi per imparare o ritornare a essere empatici e resilienti.
Possiamo vaccinarci e raggiungere l’immunità contro l’odio invece di venirne contagiati.
Possiamo imparare ad includere invece che escludere, abbracciare invece che spintonare.

Per diminuire i livelli di stress, aggressività e ansia, aumentare la fiducia, il senso di appartenenza e la felicità secondo me (da brava triestina) mezza bottiglia di vino può essere un valido aiuto.
Ma il vero antidoto per la paura è l’amore.