Nello studio, in qualsiasi tipo di studio, la costanza ripaga più di ogni altra cosa. Avere un metodo di studio è importante, avere passione per la materia trattata indispensabile, buoni insegnanti e buona memoria possono fare poi il resto. Ma anche in assenza di tutto ciò, anche con difficoltà nell’apprendimento evidenti, la costanza da sola può ovviare efficacemente. E, alla base della costanza, non può esserci che la passione e il piacere per ciò che si studia altrimenti, per quanto ci si sforzi, per quanto si cerchi di essere volitivi, prima o poi si molla. Per studiare quindi basta perseverare… so che è difficile da credere, ma se mi seguite cercherò di spiegare perché.

Innanzi tutto, facciamo una distinzione forse semplice, ma non banale: imparare per superare gli esami versus imparare per comprendere. Nel primo caso il fine è superare un esame, cioè imparare a breve termine, nel secondo l’obiettivo è possedere una conoscenza stabile. La scuola, gli studenti, i genitori degli studenti sono tutti intrappolati in questo equivoco: si dovrebbe andare a scuola per farsi una cultura, cioè ad imparare “cose” per la vita, poi invece si finisce per prepararsi a superare esami e basta. Ora, mettersi a fare una discussione sul valore degli esami e di tutte le altre prove di valutazione dell’apprendimento non è oggetto di questo articolo anzi, diamo pure per scontato che esami, test e altri tipi di valutazioni siano indispensabili. Il problema, tuttavia, resta e la maggior parte degli “agenti” coinvolti non ne è adeguatamente consapevole. La domanda che pongo, e riconosco che sia retorica, è se si può essere costanti quando si hanno delle scadenze, soprattutto delle scadenze ravvicinate e su materie differenti. Di solito questo non accade: si studia pressati dalla necessità del compito di matematica o dell’interrogazione di inglese e così via.

Questo è il motivo fondamentale per cui ciò che si studia a scuola poi dopo poco si dimentica: non si rispettano i tempi dell’apprendimento. Che l’apprendimento “stabile” richieda tempo e ripetizione è cosa nota, meno noto è che le ripetizioni devono essere fatte ad intervalli prima costanti e poi progressivamente “dilatati nel tempo”. Nelle varie epoche molti sistemi sono stati approntati, da molti anni esistono anche software dedicati; tutti i metodi e gli stratagemmi però condividono un assunto di base: per imparare veramente occorre costanza. È per questo motivo che a scuola e all’università si imparano tante cose di cui poi però si ricordano soltanto quelle che si ha l’opportunità di utilizzare sul lavoro, perché il lavoro – costantemente – rinnova e rinforza quelle conoscenze. La costanza aiuta poi per altri motivi, il principale dei quali è che col tempo e la ripetizione (sebbene in alcuni casi lentamente) si produce sempre – spesso senza esserne chiaramente consapevoli – un approfondimento della comprensione. Questa a sua volta aiuta a “ordinare e riordinare” le conoscenze e l’atto di “ordinare e riordinare”, a sua volta e di nuovo, aiuta ad approfondire la comprensione. E così via.

Per questa strada, come è facile intuire tutti, o quasi, possono arrivare a padroneggiare ogni materia, anche quelle più ostiche. Il problema che sorge spontaneo porsi a questo punto è se valga la pena impegnarsi così tanto per raggiungere, magari in tre anni, ciò che altri raggiungono agevolmente in un anno soltanto. Una risposta univoca non c’è, dipende da tanti fattori personali e dagli obiettivi che ognuno individualmente si prefigge. Rispondere a questo dilemma non è del resto il fine del presente articolo. Qui intendo semplicemente rimarcare il fatto che la costanza è alla base di tutto, senza di essa nessuna forma strutturata di sapere può acquisirsi. Certo, senza un minimo di predisposizione allo studio, senza un metodo di studio consapevole ed efficace, i risultati tardano ad arrivare e, spesso, sono soltanto risultati parziali. Ma, detto ciò, la costanza resta fondamentale.

Chiunque proponga metodi di studio mirabolanti, tecniche di memorizzazione infallibili che vi consentono di preparare un esame universitario in pochi giorni, o cose simili, promettono qualcosa che non può essere raggiunto, se non al prezzo di una conoscenza superficiale e destinata a svanire presto. Purtroppo, si devono studiare spesso materie che non interessano o che ci vengono proposte in maniera non accattivante, questo ci fa sembrare allettante ogni scorciatoia che prometta di raggiungere lo scopo (superare l’esame) nel minor tempo e col minor sforzo possibile.

Il problema è che le materie vengono affrontate in maniera standardizzata e isolate le une dalle altre. Non potrebbe essere diversamente, per ragioni curriculari e amministrativo-scolastiche. Ed è sicuramente giusto così, niente da obiettare ma, come premesso all’inizio di questo articolo, se lo scopo è imparare veramente – e non fare una corsa a ostacoli con gli esami – allora anche questa divisione “burocratica” delle materie di studio viene meno e incaponirsi a mantenersi mentalmente all’interno di rigidi schemi, è sicuramente controproducente.

Faccio un esempio, prendiamo uno studente universitario di scienze politiche particolarmente appassionato di storia, ma refrattario all’economia. Dovendo studiare quest’ultima materia si sforzerà di apprenderne i principi dal punto di vista “economico” così come glieli pongono i manuali su cui studia. Invece potrebbe apprendere con maggiore efficacia gli stessi concetti se riuscisse a contestualizzarli “storicamente” e/o da un punto di vista storiografico. Alla fine, avrebbe imparato le stesse cose (anzi nel secondo caso tante di più), ma con molto meno sforzo e molta più soddisfazione.

In definitiva, la costanza è anche costanza nel collegare le cose che ci piacciono meno (o che sono più difficili) a quelle che ci piacciono di più. La chiave del successo nello studio non è quindi l’intelligenza o il metodo, bensì la costanza e il piacere.