Dopo più di cinquant’anni, l’umanità si prepara a rimettere piede sulla Luna. Non con bandiere e discorsi solenni, ma con ingegneria, competizione commerciale e tanta — tantissima — tecnologia. A contendersi il ruolo di “traghettatori lunari” per conto della NASA, due colossi del settore spaziale privato: SpaceX, l’azienda di Elon Musk, e Blue Origin, fondata da Jeff Bezos. Entrambe sono state selezionate per sviluppare i sistemi di atterraggio umano nell’ambito del programma Artemis, ma i loro approcci non potrebbero essere più diversi.

SpaceX sta sviluppando una versione modificata del suo veicolo Starship, il colossale razzo che promette — sulla carta — di portare decine di tonnellate sulla Luna, su Marte, e forse un giorno anche più lontano. La versione lunare, denominata Starship HLS (Human Landing System), sarà il taxi cosmico di Artemis III, la missione che dovrebbe riportare gli astronauti sul suolo lunare non prima di settembre 2026, preceduta da un test senza equipaggio previsto per il 2025. Ad oggi, sono già stati costruiti diversi prototipi della Starship, con voli di prova eseguiti a partire dal 2020. L’obiettivo di SpaceX è arrivare a un primo test completo in configurazione lunare entro il 2025, ma molto dipenderà dagli esiti delle campagne di test in corso. Il ritmo serrato dello sviluppo, con una successione continua di iterazioni, è una delle caratteristiche distintive dell’approccio di SpaceX, che mira a risolvere i problemi in tempo reale, sul campo.

Blue Origin invece ha scelto una via più “classica”, quasi ispirata al passato glorioso dell’Apollo. Il suo lander, Blue Moon MK1, ha dimensioni più contenute e un profilo più sobrio. Il volo di prova, chiamato Blue Moon Pathfinder, è previsto per agosto 2025, mentre la vera missione con equipaggio — Artemis V — è pianificata per il 2029. La costruzione del primo prototipo di Blue Moon è attualmente in fase iniziale, con test preliminari sui motori BE-7 già avviati. Tuttavia, occorre sottolineare che, a differenza di SpaceX, Blue Origin non ha ancora effettuato lanci orbitali complessi: i suoi successi finora si limitano al sistema New Shepard, pensato per voli suborbitali. Questo limita, per il momento, la capacità dell’azienda di confrontarsi direttamente con il livello operativo di SpaceX. È quindi necessario attendere lo sviluppo del razzo New Glenn per capire se l’azienda sarà realmente in grado di portare carichi significativi in orbita terrestre e oltre.

Elon Musk ama le accelerazioni, non solo nei razzi. SpaceX ha fatto del metodo “testa, esplodi, ripeti” un marchio di fabbrica. E i fatti parlano chiaro: il secondo volo di prova di Starship, nel novembre 2023, si è concluso con una perdita di controllo e distruzione in volo. Il settimo, nel gennaio 2025, ha sparso detriti su alcune isole caraibiche, portando a un’indagine da parte della FAA. Non esattamente l’ideale se si vuole dimostrare “affidabilità lunare”. Tuttavia, questo approccio ha anche un rovescio positivo: ogni fallimento diventa un’opportunità di apprendimento. In pochi anni, SpaceX ha accumulato più esperienza sui voli di grandi veicoli a metano e acciaio inossidabile di qualsiasi altro attore del settore.

Blue Origin, al contrario, procede con il freno a mano tirato. Ogni passo è studiato, ogni componente testato con metodica precisione. Il sistema New Shepard ha all’attivo 16 missioni consecutive senza incidenti, incluso tre test di fuga della capsula. Un record da manuale, ma costruito con lentezza. Molta lentezza. Inoltre, non si può ignorare che si tratta comunque di un sistema per voli suborbitali, con dinamiche e rischi molto diversi da quelli di un lancio e atterraggio lunare. La transizione da voli suborbitali brevi a missioni lunari rappresenta un salto tecnologico e operativo di grande portata, che l’azienda di Bezos deve ancora dimostrare di saper compiere.

E allora viene da chiedersi: cosa conta di più per arrivare sulla Luna vivi e interi? La velocità nello sviluppo, o la solidità dei risultati? Una risposta potrebbe arrivare proprio guardando al passato. Nel 1969, fu il modulo lunare LEM della Grumman a portare Armstrong e Aldrin sul suolo lunare e a riportarli in salvo. Il LEM era il frutto di un progetto che privilegiava la semplicità, la leggerezza e l’affidabilità. Basso, stabile, costruito specificamente per operare in condizioni lunari, fu uno dei capolavori ingegneristici dell’era Apollo. La sua architettura, composta da due stadi separati (uno per l’allunaggio e uno per la risalita), riduceva la complessità operativa e aumentava la probabilità di successo.

È proprio a questo modello che Blue Origin si è in parte ispirata per Blue Moon: un veicolo più compatto, con un baricentro basso, pensato per adattarsi alle insidie del terreno lunare e progettato con un’attenzione quasi maniacale alla stabilità. Il design di Blue Moon punta a minimizzare i rischi attraverso la robustezza e la semplicità. Inoltre, il lander dovrebbe essere in grado di trasportare carichi utili importanti, inclusi piccoli rover o strumenti scientifici, oltre all’equipaggio umano. Il motore BE-7, alimentato a idrogeno liquido e ossigeno liquido, è pensato per operare in ambienti con forti escursioni termiche e in condizioni di bassa gravità, fornendo un controllo preciso nella fase di discesa.

La Starship, invece, è tutt’altra cosa. Alta più di 50 metri, come un palazzo di quindici piani, poggia su gambe sottili e instabili, in un equilibrio delicato su una superficie irregolare. Il suo baricentro elevato la rende vulnerabile, soprattutto in presenza di pendii, crateri o sassi. Per garantire un atterraggio sicuro, dovrà affidarsi a sensori sofisticati, algoritmi impeccabili e forse persino alla preparazione artificiale del suolo lunare. Inoltre, la presenza di un ascensore per far scendere gli astronauti dalla cabina abitativa alla superficie aggiunge un ulteriore elemento di complessità e potenziale vulnerabilità. Un guasto a questo sistema potrebbe compromettere seriamente l’intera missione.

Da un lato, quindi, SpaceX punta su un’unica architettura multiuso — la stessa Starship sarà usata per il trasporto orbitale, l’allunaggio, e in futuro per Marte — mentre Blue Origin costruisce veicoli specifici per ogni fase. È un confronto tra modularità e specializzazione. Ma quando si parla di gravità lunare, la semplicità spesso paga. E la robustezza del LEM insegna che un design essenziale può fare la differenza tra successo e tragedia. Va anche detto che il sistema Starship HLS non dovrà decollare dalla Terra con equipaggio: sarà trasportato in orbita, rifornito da altre Starship tanker e infine inviato verso la Luna. Questo riduce il peso e la complessità del volo iniziale, ma aumenta le dipendenze da missioni multiple e precise.

Entrambe le aziende devono ancora dimostrare tutto: nessuno dei due veicoli ha mai toccato la Luna, nemmeno senza equipaggio. Tuttavia, alcuni segnali cominciano ad emergere. SpaceX ha una capacità impressionante di innovare, correggere e ripartire. Ma ha anche una tendenza documentata a correre troppo, a lanciare prima che i regolatori diano il via libera. Un atteggiamento che può andar bene sulla Terra, ma che sulla Luna potrebbe costare caro. Blue Origin invece sembra voler convincere la Luna con la calma e la pazienza, non con la forza. Ogni bullone è sotto controllo, ogni procedura calibrata. Manca forse la spettacolarità, ma c’è una coerenza ingegneristica che convince. E soprattutto, quando si parla di atterraggi su suolo incerto, l’altezza non è un vantaggio.

Il design più contenuto di Blue Moon potrebbe fare davvero la differenza tra un allunaggio morbido e una catastrofe da milioni di dollari. Anche la gestione del ritorno sulla superficie lunare sarà fondamentale: Blue Moon è concepito per un’operazione relativamente semplice, con possibilità di riutilizzo limitate, mentre SpaceX immagina un sistema completamente riutilizzabile, che però comporta sfide ancora maggiori. Il riutilizzo potrebbe ridurre i costi nel lungo termine, ma solo se dimostrato efficace su larga scala.

La nuova corsa alla Luna non è più una gara tra superpotenze, ma una sfida tecnologica tra visioni opposte del futuro spaziale. Da un lato, l’ambizione totalizzante di SpaceX: un unico veicolo per tutto, dalla Luna a Marte. Dall’altro, l’approccio più mirato e conservativo di Blue Origin, che sembra voler ricostruire, passo dopo passo, un nuovo Apollo. In questo contesto, la NASA gioca il ruolo dell’arbitro e del garante, scegliendo i progetti migliori in base a criteri di affidabilità, flessibilità e sostenibilità economica.

Cosa attendersi da ora a fine decennio:

  • 2025–2026: Starship HLS uncrewed landing test + New Shepard e Blue Moon Pathfinder.

  • 2026–2027: Artemis III crew con Starship; primi dati reali su assetto e atterraggio.

  • 2028–2029: Blue Moon crewed su Artemis V, comparazione diretta di approcci.

  • Fine anni ’20: confronto tra performance, affidabilità, capacità di riutilizzo e installazione infrastrutture.

Nel frattempo, le due aziende continueranno a sviluppare nuove tecnologie e soluzioni per supportare la permanenza lunare a lungo termine: habitat, sistemi di supporto vitale, rover autonomi e infrastrutture energetiche. Non è solo una corsa all’atterraggio, ma l’inizio di una colonizzazione tecnologica del nostro satellite.

Chi avrà ragione? Lo scopriremo solo quando le zampe toccheranno il suolo grigio della Luna. E se saranno ancora dritte, o rovesciate, sarà il giudice più imparziale di tutti — la gravità lunare — a deciderlo.