Si è fatto un gran parlare, spesso a sproposito, di quello che è stato un happening unico e colorato, profondamente rispettoso dei luoghi in cui si è svolto e che ha unito un pubblico pacifico per quanto disomogeneo, per estrazione e classe anagrafica, nel segno del teorema "godere senza distruggere".

L'allusione è tutta per il Jova Beach Party, l'ultima creatura nata dalla fervida immaginazione di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, che si è così specchiata nel talento di Francesco Faraci in queste Cronache da una nuova era, il perfetto diario edito da Rizzoli in cui fuoriesce questo mare di facce, situazioni ed happenings incontrate su e giù per l'Italia al seguito del tour: da Lignano Sabbiadoro a Rimini, passando per Roccella Jonica e Fermo, con un’ostica tappa in montagna nello stupendo scenario di Plan de Corones e l'ultimo bagno di folla, approfittando della pausa imposta dalla ristrutturazione, presso l'aeroporto di Linate.

Il fotoreporter siciliano ha liberamente interpretato quel salto di frequenza in cui Jovanotti e la sua gente si sono innescati vicendevolmente in barba alle (sterili) polemiche di perbenisti e moralisti da strapazzo: immagini potenti e liberatorie, dotate di una carica di energia e vibrazioni positive che, se realmente ci fosse in giro un'alternativa altrettanto credibile, ne basterebbe la metà.

Un’ottima occasione per riavvolgerne il nastro fin dall'inizio con il suo entusiasta braccio figurativo: "Fotografare ai concerti non è il mio settore di provenienza, per cui il mio rapporto con Lorenzo - ribadisce il fotografo palermitano - è nato in maniera del tutto casuale. Sua moglie Francesca ha visto i miei scatti, perché in qualche modo gli sono arrivati e così abbiamo iniziato a scriverci. È nato un bel rapporto di stima col desiderio reciproco di incontrarci, conoscerci meglio, cosa che poi è successa nel maggio del 2018, quando il tour di Oh Vita! è giunto in Sicilia. Mi invitarono e ci andai. Ci siamo presi bene dal primo sguardo. Ho scoperto lì che Francesca gli aveva evidentemente già parlato di me, mostrandogli appunto le foto e lui se n'era innamorato. Mi chiesero di fare delle foto, mi diedero un pass e quello ha rappresentato il vero e proprio inizio, perché poi ben dieci scatti di quella sera finirono sul libretto del disco live. Da lì abbiamo iniziato a scriverci con regolarità, parlando di libri, film, scambiandoci opinioni soprattutto sulla letteratura sudamericana, della quale siamo entrambi fan sfegatati, fino a quando a gennaio di quest'anno, mi scrisse dicendo che gli sarebbe piaciuto coinvolgermi in questa folle e meravigliosa avventura del Jova Beach Party."

Non le solite foto dei concerti suppongo dopo aver sfogliato il libro, ma un progetto strutturato in maniera diversa, che rivoltasse un po’ i canoni dei libri fotografici che riguardano i tour...

Esatto. Lorenzo mi ha lasciato carta bianca, voleva da me esattamente ciò che era nelle mie corde, ovvero quello che sapevo fare, nessuna imposizione, nessun limite. E quindi mi sono assecondato, svolgendo ciò che ho sempre fatto, ovvero stare fra la gente, seguirne le dinamiche dentro e fuori dai concerti. Mi interessava il viaggio in sé, avevo voglia di perdermi, mischiarmi con la gente del posto, essere quel posto. Mi interessava sapere cosa è l'Italia del 2019, cosa pensa. Attraverso questo libro ho tentato di descriverne uno spaccato.

Alla fine cosa ne è uscito e come lo avete composto vista la prontezza della sua pubblicazione?

Col passare delle date e dei giorni scoprivo che davvero stavo facendo le foto con l'approccio di sempre, basato sul lasciarmi trascinare, sull'empatia nei confronti delle persone che fotografo. Il libro è stato assemblato durante il tour. Man mano che scattavo selezionavo le foto che per me erano buone e le mandavo in casa editrice. La scelta delle foto quindi è stata personale, a tour finito poi abbiamo scelto insieme quelle che ci stavano di più, quelle che meglio descrivevano le mie intenzioni. Insieme. Considero questo libro frutto di un gran lavoro di squadra. Sì, ho fatto le foto, ho scritto i testi, ma ho avuto la fortuna di avere a che fare con persone meravigliose, che sono state capaci di entrare nella mia testa, a fondo nel mio lavoro. Hanno capito quello che volevo dire e tutto è filato liscio. Non c'è stato un solo problema. Forse è raro, ma talvolta capita ed è meraviglioso.

C'era una routine nel senso di una sorta di cerimoniale che hai seguito durante il tour, oppure lo hai modificato di sera in sera?

Non so se tre mesi on the road possano ad un certo punto trasformarsi in routine, cambiava tutto di continuo, e anche velocemente. Piani, tempi, ma in realtà avevo un solo obbligo, quello di essere presente il giorno del concerto. Per il resto ero libero di muovermi. Ho preso autobus, treni, funivie, ho persino fatto l'autostop per spostarmi da un paese all'altro, in Basilicata. Vagabondavo, il che è una costante della mia vita.

In copertina di solito ci sono le immagini che l'artista ritiene maggiormente rappresentative o quelle a cui dal punto di vista emotivo si sente maggiormente legato: spiegaci come sei arrivato a questa scelta...

Le due foto che sono in risalto sono per me quelle che racchiudono l'essenza di questa estate e anche quelle a cui sono più affezionato, anche se mi riesce difficile affezionarmi alle mie "cose", penso sempre che le cose migliori siano quelle che riserva il futuro, che devono ancora arrivare. Ma quelle due foto lì, sì, sono selvagge, dentro c'è tutta la voglia libertà che ha "condizionato" questo tour pazzesco, tutta la goduria possibile del trovarsi davanti a quaranta-cinquantamila persone di volta in volta. C'è la stanchezza anche, il caldo, ma soprattutto c'è la voglia di sorpassare i limiti, spostare l'asticella un po’ più in là.

C'è stato qualche momento veramente magico, nel senso superiore alla già elevata media e che ritratto generazionale è uscito vista l'estrema disomogeneità del pubblico che ora segue Jova?

I momenti magici sono stati tanti, ma quello che più mi colpiva era che ad un certo punto ogni barriera veniva abbattuta, non c'erano più ruoli, si diventava una cosa sola e sentivo dentro una gran bella sensazione, credevi, e ne sono convinto anche adesso, che le cose storte si possono cambiare. Ho visto tanta bella gente quest'estate. Uomini e donne vogliose di riscatto, vogliose di futuro fuori dalle logiche che sembrano tenere in scacco l'intera nazione. Tanti giovani venuti lì, sì per divertirsi, ma anche per riflettere, per liberarsi ognuno dei propri pesi. L'Italia non è dei razzisti, degli omofobi, l'Italia, quella vera, è quella che crede in un futuro pacifico, e in questo il tour ha avuto un grande ruolo sociale, perché per una volta forse, siamo stati tutti uguali.

La storia ha insegnato che la fascinazione artistica può portare a degli abbagli una volta che quell'immagine spesso quasi onnipotente, dal palco ha guadagnato le quinte. Anche se la mia estrazione è diversa, a me Lorenzo ha sempre convinto: lo ritengo assolutamente in linea di coerenza per positività, entusiasmo e coerenza. Tu che feedback puoi aggiungere?

Totalmente in linea con le tue parole: Lorenzo è proprio così come lo si intuisce, anzi esattamente a come lo si vede. Senza filtri, dinamico, carismatico, ma di un carisma silenzioso non autoritario e quindi ancora più potente. Ho scoperto una persona meravigliosa, colta, aperta al dialogo, sempre alla ricerca di qualcosa che non c'è ma che vale comunque la pena di cercare. Forse è proprio questo suo essere genuino che lo rende simpatico, perché non è affatto di facciata, ma reale. Assolutamente reale, vero e sincero.

Come e quando ti sei scoperto fotografo? Quale è stato il tuo percorso di crescita ed apprendimento e quali sono state le tappe più significative?

In realtà la fotografia mi è venuta addosso. Non ho mai frequentato corsi o scuole. C'è stato un momento della mia vita in cui un amico mi ha messo in mano una macchina fotografica e con quella presi a camminare per chilometri e chilometri, tanto che non mi sono ancora fermato. Ho scoperto che attraverso quel mezzo potevo dire delle cose, diventare amico dei miei demoni. Fotografare è stato ed è un modo per tenerli a bada. Ho studiato antropologia all'università, ho lavorato per anni in un’azienda e poi dall'oggi al domani mi sono licenziato facendo un grande salto nel buio, nell'incerto, ma che sapevo di dover fare. Sentivo, da qualche parte nel mio stomaco, che non era quella la mia vita, che avevo voglia di stare sulla strada, cercare di dare un senso alla mia vita, capirla e capirmi un po’ di più, avvicinarmi agli altri. Ho iniziato fotografando per i giornali, poi col tempo ho allentato dedicandomi così ai miei progetti personali, di ampio respiro. È stato ed è tutto parte di un percorso che cambia, nelle modalità più che nella sostanza, come cambio e mi evolvo io. Non credo mai di essere arrivato e ogni punto di arrivo è per me un nuovo punto di partenza, uno spostare il limite e portarlo più su.

Cosa ti piace fotografare?

Mi piace la gente. L'umanità. Quando mi chiedono cosa fotografo la prima cosa che mi viene da rispondere è la vita e la morte. Fotografo la mia terra, il Mediterraneo, Il Sud, l'Italia, il mondo. Le cose che mi colpiscono, quelle che ancora oggi fanno riemergere il bambino che è dentro di me, quelle che mi permettono, nel bene e nel male, lo stupore. Qualcuno dice che le mie fotografie sembrano scattate in guerra, quando la guerra è silente. Non lo ha detto solo Lorenzo, è già successo. Forse hanno ragione, c'è una certa tensione, in un certo senso una sospensione del tempo nell'attesa di chissà cosa, ma questo forse succede perché non faccio alcuna differenza fra quello che faccio e quello che sono, per cui nei miei scatti trovi quella porzione di realtà, ma anche tutte le mie paure, i miei demoni, le mie insicurezze.

Ad ispirazioni e maestri come siamo messi invece?

I miei riferimenti provengono per la maggior parte dalla letteratura e dalla musica. Dalla beat generation e dal blues, dal rock ‘n roll al romanzo sudamericano. Sono una specie di spugna, assorbo tutto, poi lo faccio mio e cerco di personalizzarlo, di metterci sempre del mio.

Quali fotocamere ed obiettivi utilizzi?

Non ho un gran feeling con le macchine fotografiche, ne ho una, funziona e mi basta così. Fra l'altro la mia è pura bella distrutta e sta letteralmente in piedi con lo scotch. In sé la fotografia non mi basta. Soprattutto ultimamente sento il bisogno di mischiarla alle parole, all'immagine in movimento di una telecamera, in modo da provare a tirare fuori le mie "cose" in modo più completo. Sono uno che ha sempre bisogno di sperimentare e ricercare, non per niente sono anche un gran camminatore: faccio una media di 10-15 chilometri al giorno e la fotografia è la conseguenza di ciò, rispecchia cioè quello che è il mio processo evolutivo.

Adesso che hai già degli anni di esperienza alle spalle, che significato ha per te fotografare in termini emotivi, e la tua foto perfetta che canoni deve rispettare?

Prima cercavo la complessità nell'immagine, mi interessava riempire il rettangolo di ogni singolo scatto. Col tempo, invece, tendo a essere più asciutto, a dire delle cose per sottrazione e non per addizione. Una fotografia per me deve inchiodarti. La devi guardare ma non te la devo spiegare. È auspicabile che lei (la foto) abbia più livelli di comprensione e lasci lo spazio per una personale interpretazione: le cose che fai devono rispecchiare quello che sei, se non succede c'è qualcosa che non va. La mia è una ricerca continua, mi viene sempre da pensare, con i dovuti distinguo, alla Commedia Umana di Balzac. Mi piace pensare che ogni progetto, ogni parola, siano legate da un filo che le accomuna, fino a formare un unico grande discorso.