Kevin Horan, fotografo, ed Elena Passarello, scrittrice, hanno intrapreso un’avventura comune tra le pagine di un libro nel quale ritratti di capre e pecore ritmano lo sguardo del lettore. Non si tratta di un volume di zoologia, né di fotografia per l’infanzia, né tantomeno di “natura” in senso lato. È un libro d’arte, in tutti i sensi, e questa è la sua vera sfida. Dalla cura con cui è stampato in bicromia, così da portare all’attenzione del lettore ogni singolo dettaglio del pelo e dello sguardo dell’animale, alla sua “confezione”, al testo che introduce la galleria fotografica.

Questa singolarità del progetto muove una serie di curiosità su chi ci ha lavorato e creduto, e a cui è riservato un secondo piano dal momento che l’attenzione è catturata fin dal primo sguardo dai tanto potenti quanto iconici ritratti di questi animali da fattoria.

Il libro porta a sentirsi unità nella natura, a rimuovere le consuete barriere che separano il mondo umano da quello animale. Osservare le capre e le pecore ritratte da Kevin in uno studio fotografico le conduce immediatamente, e forse anche inspiegabilmente, ad acquisire una dignità che non attribuiamo con altrettanta semplicità a un animale scovato al pascolo. L’idea che emerge è quella di una convivenza pacifica e collaborativa tra uomini e animali… Le capre e le pecore, ciascuna con un nome proprio, sono immortalate senza giudizio, con assoluta obiettività. E il fotografo si pone alla stessa altezza del loro occhio. Non c’è alcuno sguardo di superiorità né la sensazione di invasione per esser stati costretti a vivere fianco a fianco sullo stesso piccolo pianeta.

Grazie alla disponibilità di Kevin Horan, e allo sguardo instancabile di Giulia Mirandola, i ritratti di capre e pecore saranno i protagonisti assoluti di una mostra, rigorosamente all’aperto, presso la realtà de Il Masetto, un luogo che unisce natura e cultura nella valle di Terragnolo, in Trentino. Questa realtà, nata dall’idea e dall’impegno di Giulia Mirandola e Gianni Mittempergher, pone in continuo dialogo i libri, la lettura e il territorio. E un gregge di capre al pascolo ha costituito l’espediente perché si costruisse questo ponte simbolico tra gli animali che abitano la campagna adiacente l’abitazione di Kevin Horan e la realtà de Il Masetto. La mostra Ritratti al pascolo. Le capre e le pecore di Kevin Horan, curata dalla Mirandola, inaugurata il 29 giugno, arricchirà il paesaggio visivo di coloro che, protagonisti o semplici curiosi, prenderanno parte, volontariamente o meno, al fitto ed entusiasmante programma di questa realtà colmo di proposte di alto profilo fino al mese di settembre.

Per meglio comprendere il lavoro di Kevin Horan e il testo che lo accompagna, ho voluto intervistare i due autori, interrogandoli con quelle che ho pensato essere le curiosità che muovono chi si avvicina, con un certo grado di stupore, a questo progetto di grande impatto visivo.

Kevin, com’è nato questo progetto, e quando? Da dove è arrivata la tua intuizione?

Quando mi sono trasferito dalla città (Chicago) alla campagna (Whidbey Island), mi sono ritrovato improvvisamente dei nuovi vicini di casa: le pecore. Mi salutavano dal recinto, credo perché era lì che veniva dato loro del cibo. Ognuna di loro mi chiamava con una voce diversa – da soprano, tenore, baritono. Mi imploravano, con tono dolce o scontroso. Anche le loro facce erano tutte differenti. Da qui l’idea di creare dei ritratti come fossero veri e propri individui. Mi sono chiesto, e se le facessi entrare in studio per scattare loro una foto che poi possano portare a casa e incorniciare sul muro?

L’idea di fotografare degli animali ha mai condotto qualcuno a valutare/giudicare il tuo lavoro meno interessante di altri? O meno serio? Ci racconti qualche aneddoto…

Oh, ne sono sicuro. Ma sono gentili e non me lo dicono. Al contrario, molte persone AMANO gli animali e sono attratte da queste fotografie prima di tutto per il soggetto. Penso che il lavoro fotografico inizi a lavorare sulla loro percezione solo in un secondo momento.

Ci sono stati degli aspetti che non avevi considerato e che risiedevano sostanzialmente nell’avere a che fare con animali e non persone? Oppure ritrarre uomini e animali è sostanzialmente la stessa cosa?

La parte più interessante è osservare quanto siano simili. Nel corso della mia carriera ho realizzato migliaia di ritratti di esseri umani, e l'obiettivo è sempre lo stesso. Organizzo un breve incontro e cerco di creare un'immagine bidimensionale che in qualche modo evochi la persona che ho davanti. È quello che ho fatto anche con le capre. Utilizzo il linguaggio della fotografia per creare persone non umane. Perché lo sono, sai. Di solito non possiamo entrare nella loro testa, tuttavia mi piace immaginare questa possibilità. Anche per i ritratti umani cerco sempre di fare lo stesso. Possiamo pensare di conoscere una data persona anche solo osservandola in fotografia.

Guardare le tue immagini conduce donne e uomini a ritrovarsi, a individuare affinità con due specie non così comuni. Gli animali antropomorfi per antonomasia, almeno oggi – tutto diverso nelle miniature medievali! – sono cani e gatti. Perché hai dunque optato per questa scelta controcorrente anche rispetto al mercato?

Sì, ciò che fa funzionare questi animali nelle immagini è proprio il fatto che sono comuni, ma non a noi così familiari come cani e gatti. Volevo guardare gli animali da cortile in un modo che stimolasse il tentativo di osservarli con riverenza e rispetto. Ogni creatura ha il proprio senso del mondo, quella cosa che osiamo chiamare coscienza. Quello che più mi affascina è il tentativo di provare l’impossibile, ossia cercare di capire come viene percepito il mondo dall'interno delle loro teste. Potrebbe essere una pecora, un pipistrello, un verme o il tuo capo!

Ora Elena, diamo la parola anche a te! Sei nota per aver scritto, tra le altre cose, *Animals Strike Curious Poses. Essays *(2017). Come interpreti la relazione speculare che connota talvolta gli uomini nel ritrovarsi in particolari specie animali? Hai degli esempi a riguardo?

Penso che ci vediamo negli animali per molte ragioni, alcune delle quali lungimiranti, altre che guardano al passato. Possiamo, per esempio, vedere versioni passate di noi stessi in altre specie: modi in cui eravamo più attenti, più istintivi e maggiormente a contatto con il pianeta. Inoltre, molto spesso gli animali hanno l'aspetto di persone. Riesco a vedere molti dei miei amici e colleghi nei volti dei soggetti fotogenici e accattivanti di Kevin.

Quando ti è stato proposto di scrivere un testo a corredo di un libro d’arte, fotografico, incentrato su ritratti di capre e pecore, cos’hai pensato? Conoscevi già il lavoro di Kevin Horan?

Uno dei miei primissimi pensieri è stato qualcosa del tipo: “Se vent'anni fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei trovata a introdurre un libro che raccoglieva una collezione di ritratti di capre, gli avrei risposto di non prendermi in giro!”. Seriamente, chi si sognerebbe di poter ricevere una chiamata come quella che ho ricevuto da Kevin? La sua proposta era unica! Sapevo che non avrei mai più avuto l’occasione di scrivere sugli animali – uno dei miei temi preferiti – in questo modo. Ma, soprattutto, mi sentivo davvero onorata. L'ho trovata una proposta molto incoraggiante, ma anche un’opportunità di tornare sui temi del mio libro due anni dopo la sua pubblicazione.

Dopo queste fotografie guardi il mondo animale con un altro interesse e soprattutto mosso da altre riflessioni o nulla è mutato nel tuo sguardo?

Non puoi guardare queste foto e non sentirti cambiato. Ogni volta che vedo una capra passare quando guido o faccio un'escursione (e vivo nell’Oregon che è semi-rurale, quindi accade spesso…), penso al lavoro di Kevin. Quando vedo le capre, la prima cosa che mi viene da fare ora è quella di cercare di pormi faccia a faccia con loro, di guardarle negli occhi e vedere se ricambiano lo sguardo.

Elena, sondare in scrittura il mondo animale ti ha aiutata a comprendere in modo più profondo quello umano? Ci sono delle riflessioni che ti sono nate, delle risposte a cui sei giunta, delle nuove domande che ti hanno rimessa in ricerca?

Scrivere un libro sui modi in cui gli esseri umani hanno guardato gli animali nel corso di diversi millenni ha i suoi svantaggi. Per cominciare, molte delle storie sugli animali che ho letto da bambina si sono rivelate molto più oscure, molti degli animali che mi sono stati presentati come felici o almeno magici vivono invece situazioni molto più complicate (penso, per esempio, agli animali del circo). Il libro mi ha fatto riflettere sulle condizioni degli animali, e mi ha interrogato sulle motivazioni per cui li apprezzo. Mi sono resa conto di nutrire per loro tanto rispetto e stupore! E questo soprattutto nei confronti degli animali che consideriamo “quotidiani” come gli storni, i piccioni, i ragni… Sono tanto comuni quanto cordiali, sono stati con gli esseri umani in ogni passo della loro evoluzione, e la loro straordinaria biologia si è intrecciata con le nostre storie in tanti modi affascinanti, dai primi mercati fino alla corsa allo spazio. Così ora, quando costeggio un campo di storni nel mio viaggio verso il lavoro, sento il bisogno di salutarli!

Quali i prossimi progetti? E soprattutto, con che tipo di soggetti?

Elena: Vorrei cercare di dar vita a qualcosa di impossibile e poi scrivere del fallimento che ne è derivato. Sono troppo superstiziosa per dare maggiori dettagli!

Kevin: Vorrei sperimentare il contrario: al posto di immagini molto dettagliate, in bianco e nero e studiate minuziosamente, mi piacerebbe realizzare immagini impressionistiche, a colori e ispirate alla serendipità.

Infine, non posso evitare di domandarvelo, qual è l’animale con cui credete di intrattenere la maggiore somiglianza?

Elena: Nei miei giorni migliori, sono una frenetica e vivace lontra di fiume. Ma la maggior parte dei giorni, mi sento una di quei mandrilli con la faccia arcobaleno. Sono entrambi al contempo fiammeggianti e riflessivi, e in effetti io sono spesso di poche parole!

Kevin: Penso che potrei essere un topolino.