Nel Quattro-Cinquecento tutti gli interventi architettonici effettuati sul Campidoglio sembrano quasi simboleggiare una connotazione di asservimento alla politica pontificia, la quale, nel corso dei due secoli, tende a esautorare definitivamente le magistrature civili.

Una politica che, anche nel campo delle relazioni internazionali, dove il pontefice si arrogava il diritto divino di arbitro e giudice, è spesso ambigua e contraddittoria e che perfino in campo religioso aveva provocato la grave e insanabile frattura, all’interno della cristianità, con la Riforma protestante (1520).

Il 6 maggio 1527 un’armata di Spagnoli e di feroci Lanzichenecchi, fanti mercenari tedeschi per lo più luterani, invase Roma, sbarazzandosi assai presto delle truppe cittadine. Le uccisioni, le violenze, gli atti sacrileghi compiuti in special modo con fanatismo religioso dai soldati protestanti contro la “dissoluta” Roma, e i saccheggi della soldataglia di Carlo V, furono senza numero: le cronache parlano di assassinii, di stupri, di profanazioni di reliquie operati con orribile ferocia. Il papa trovò scampo in Castel Sant’Angelo, dove rimase prigioniero sei mesi, prima di riuscire a fuggire a Orvieto.

Gli invasori lasciarono Roma nel febbraio 1528. La popolazione, che all’inizio del secolo era di 50.000 abitanti, fra morti e fuggiaschi si era ridotta a quasi la metà ed era venuta meno ogni attività economica e commerciale.

Il pontificato di Paolo III Farnese (1534-1549) rovescia quello che sembrava un inevitabile destino di decadenza di Roma e della Chiesa; questo papa, appartenente alla potentissima famiglia originaria dell’alto Lazio e ormai dominante l’Urbe, concepisce la città come un organismo complesso, in cui interviene con un piano di interventi edilizi e viari articolato in modo da rispecchiare e modificare questa complessità, dandole il segno e l’impronta incancellabile della famiglia Farnese.

L’antico Capitolium, divenne uno dei punti nevralgici della politica urbana di Paolo III: il suo progetto è ambizioso, trasportare sul colle le più importanti statue cittadine; per riuscirvi si scontra con il venerando Patriarchio della basilica di San Giovanni in Laterano, cui sottrae il gruppo bronzeo di Marc’Aurelio a cavallo. È sua intenzione trasferirvi altre opere, solo la volontà contraria di Michelangelo riuscirà a farlo desistere da questa politica di spoliazione degli antichi monumenti.

Michelangelo Buonarroti (1475-1564) il più grande e geniale artista del Rinascimento italiano, si era recato a Roma già nel 1496 conquistandosi in pochi anni vastissima rinomanza. Il rapporto tra Paolo III e Michelangelo ruota attorno ai grandi incarichi architettonici e urbanistici affidati dal Farnese all’artista, tra cui Palazzo Farnese e la basilica di San Pietro. Al progetto del nuovo Campidoglio il Buonarroti si oppone fino al momento in cui viene eletto cittadino onorario di Roma con una cerimonia svoltasi il 10 dicembre 1537 proprio in Campidoglio.

Alla base del progetto michelangiolesco del nuovo assetto capitolino vi è principalmente un complesso programma simbolico, ruotante attorno alla figura di Paolo III come colui che somma in sé la figura del Vicario di Cristo e quella di Capo della cristianità anche in senso strettamente politico; il suo riconoscimento come dominatore della vita cittadina assume perciò anche un senso di restaurazione dell’antica supremazia imperiale, passata dai condottieri militari ai combattenti della Chiesa di Roma.

L’intervento di Michelangelo nell’area capitolina inizia con la collocazione, nel gennaio del 1538, del gruppo bronzeo del Marc’Aurelio al centro della spianata tra il Palazzo dei Conservatori e quello Senatorio, divenendo il perno del complesso architettonico. Per il gruppo scultoreo l’artista progetta un piedistallo che trasforma quando, qualche anno dopo, iniziano i lavori per la nuova piazza.

La scelta della statua equestre come gruppo scultoreo centrale del complesso capitolino è legata alla tradizione secondo la quale essa rappresentasse l’imperatore Costantino (e perciò chiamata Caballus Constantini), cioè colui che aveva concesso libertà di culto alla religione cristiana (313) avviandone poi il processo di acquisizione del primato del Vescovo di Roma, al quale l’imperatore stesso aveva donato come Sede episcopale la proprietà imperiale dei Palazzi Laterani.

La scultura bronzea, in realtà raffigurante l’imperatore Marco Aurelio, è dunque l’unica statua equestre di epoca classica giunta integra fino a noi, grazie a questa errata attribuzione che la identificava con l’immagine di Costantino, ritenuto, nell’immaginario comune dell’epoca, “primo re cristiano” e salvandosi così dalla sistematica distruzione delle altre numerosissime statue equestri che ornavano la Roma imperiale, che vennero fuse durante i secoli dell’alto medioevo per ricavarne il preziosissimo metallo.

Il gruppo scultoreo del Marc’Aurelio, realizzato nel 166 d.C., è un monumento onorario in bronzo dorato che raffigura l’imperatore della dinastia Antonina che indossa tunica e sagum (corto mantello militare) e con la mano destra fa un gesto di benignità e clemenza. Larghe tracce dell’antica doratura del bronzo rimangono visibili sul viso e sul mantello dell’imperatore e sulla criniera e il dorso del cavallo. Originalmente sotto la zampa anteriore destra alzata del regale destriero c’era, inginocchiata, una piccola figura di guerriero partico vinto e sottomesso, con le braccia legate dietro il dorso. Fu proprio la statua il punto di partenza per quel piano organico, ideato da Michelangelo e destinato a dare alla piazza prestigio e solennità, fissandone l’aspetto fino ai giorni nostri.

Quando il Buonarroti inizia i lavori per la nuova piazza la situazione dei due edifici esistenti, Palazzo dei Conservatori e Palazzo Senatorio, è molto precaria, l’impossibilità da parte del governo cittadino di restaurarli li aveva condotti verso uno stato di abbandono.

Il progetto michelangiolesco interviene radicalmente sui due edifici trasformandone l’aspetto, e ad essi ne aggiunge un terzo, detto Palazzo Nuovo, al quale viene affidato il compito di regolare geometricamente, attraverso la sua simmetricità al Palazzo dei Conservatori, l’area alla sommità del colle.

Michelangelo sfrutta la disposizione non ortogonale dei due edifici preesistenti per creare uno spazio trapezoidale che obbedisce a precisi intenti prospettici; la statua posta al centro della piazza e la decorazione stellare del pavimento paiono alludere alla posizione del colle capitolino come Centro simbolico dell’Urbe e “polo ideale” della Terra, che proprio in quel periodo, attraverso le scoperte geografiche, andava dilatando a dismisura i suoi confini in una dimensione planetaria; mentre la grandinata d’accesso pone l’insieme monumentale in diretto rapporto con la città. Riferimenti planimetrici, topografici, simbolici mirano alla fusione fra tradizione romana e nuova tradizione cristiana, secondo il concetto, proprio della cultura umanistica, per cui il mondo cristiano deve essere visto come la prosecuzione e la maturazione del mondo classico greco-romano. L’assetto divergente della piazza ha anche una funzione “antiprospettica” di dilatazione spaziale, che la fa apparire più ampia di quanto sia in realtà.

La volumetria delle masse degli edifici capitolini si muove lungo due direttrici apparentemente opposte, da una parte tende alla unitarietà dello spazio, dall’altra cerca di accentuarne la tensione dinamica, facendo della piazza un luogo polarizzato tra la staticità assorta dello spazio rinascimentale e il coinvolgimento dello spettatore in uno spettacolo architettonico “espressionista”.

La continuità spaziale è ottenuta da Michelangelo attraverso l’adozione di un motivo architettonico originale, l’ordine gigante: esso consente di racchiudere l’intera altezza degli edifici con un’unica, enorme lesena; ad esse, l’artista sovrappone il grande cornicione formando così un’intelaiatura architettonica straordinariamente monumentale che viene ripetuta, con alcune significative variazioni, nei tre palazzi.

Il Palazzo Senatorio, che è il primo ad essere trasformato, è caratterizzato dall’alta torre centrale (realizzata successivamente, nel 1578, da Martino Longhi il Vecchio ma già prevista da Michelangelo); la facciata, con i lievi aggetti laterali, sorge su un basamento a bugnato cui è sovrapposta la grande scalinata di accesso all’edificio. In realtà l’intervento michelangiolesco sul palazzo, mantenne intatta la precedente struttura ricoprendola con una nuova facciata, rinascimentale, in stucco. Questa ha la funzione di un vero e proprio scenario architettonico, copre ma non cancella i secoli di storia di questo luogo.

Alla base della scalinata d’accesso, il palazzo ospita le statue di Minerva (trasformata in dea Roma) e dei fiumi Nilo e Tevere, che costituisce con il suo grande corpo triangolare una rilevante indicazione spaziale, accentuando la divaricazione dello spazio nel fondo dell’area.

Nei due edifici laterali le lesene dell’ordine gigante si sovrappongono ai pilastri di sostegno dei palazzi, assumendo perciò un valore di struttura portante, a differenza del Palazzo Senatorio dove sono semplici aggetti della parete. Il carattere strutturale dell’ordine è confermato dal portico, formato da un ordine ionico di dimensioni minori che si intreccia con quello gigante, che è corinzio; su di esso poggiano i grandi finestroni del primo piano.

La sovrapposizione di due ordini in una stessa facciata, inedita nell’architettura romana, consente a Michelangelo di creare un doppio sistema di riferimento proporzionale, uno adeguato alle dimensioni dell’invaso, al suo “ruolo urbano”; l’altro commisurato all’uomo che percorre la piazza, al carattere di protezione, di “aperto-chiuso” del portico.

Ma è la statua del Marc’Aurelio sistemata al centro di un’area ovale, convessa come uno scudo, e percorsa da un disegno pavimentale composto da una rete stellata a dodici punte che fa diventare il Campidoglio di Michelangelo l’Umbilicus Urbis Romae. Dodici è un numero estremamente importante nella simbologia pagana come in quella cristiana: nella prima esso è il numero delle case dello zodiaco, nella seconda è il numero degli apostoli; il Marc’Aurelio diventa così il centro, il perno di due visioni dell’universo: il Sole al centro dello zodiaco e il Cristo di cui gli apostoli si fanno rappresentanti e proseliti. Simbolo del Cristo-Apollo del Cosmocrator dominatore del Cielo e della Terra, la statua assume così la funzione di ribadire il ruolo di saldatura tra potere temporale e rappresentanza trascendente che Paolo III ambiziosamente si propone.

La straordinaria storia del Campidoglio, dalle origini agli interventi di Michelangelo, si trova in un significativo libro dal titolo Campidoglio. La storia, La visita, appena pubblicato dalla “dei Merangoli Editrice”.