Quante volte ti sarai chiesto il motivo di un determinato comportamento, di una certa risposta, di una serie di sfortune una dopo l’altra, di un vuoto incolmabile intorno a te? E quante volte avrai desiderato cambiare le persone intorno a te, criticato e invidiato la vita altrui, considerando te stesso l’unico sfortunato al mondo? Bene, le risposte le troverai solo se rimarginerai le tue ferite emotive infantili sanguinanti, che necessitano la sutura. Esse sono alla base della nostra personalità, che mostrerà diverse sfaccettature, secondo la tipologia di ferita o esperienza traumatica vissuta.

Ma cosa sono queste ferite infantili o emotive? Si tratta dei cinque principali condizionamenti della nostra vita, che influiscono sulla nostra personalità al punto tale da impedirci di essere ciò che siamo destinati ad essere: ferita da rifiuto, ferita da abbandono, ferita da umiliazione, ferita da tradimento e ferita da ingiustizia. Esse hanno origine da un forte dolore emotivo (che può derivare da una svalutazione, da un’offesa, da un’ingiustizia, da violenza psicologica e fisica e così via) provato generalmente nell’età infantile o in quella dello sviluppo, dal quale la nostra anima e la nostra sensibilità risultano notevolmente danneggiate. Infatti, presto cominceremo a renderci conto che non possiamo essere noi stessi, realizziamo che, per entrare a far parte della società, si deve fingere e cominciamo a indossare una maschera. La funzione di questa maschera è duplice: da una parte, quella di piacere agli altri e, dall’altra, tenerci all’oscuro della ferita emotiva che si cela dietro di essa. Di conseguenza, è la maschera che sceglierà il nostro corpo, il nostro sguardo, la nostra personalità e le nostre relazioni con gli altri, che, quindi, saranno negative perché legate alla ferita stessa. Una volta che avremo decodificato il messaggio che si nasconde dietro ogni specifica ferita, diventeremo consapevoli e potremo trasformare le esperienze negative del passato nella nostra più grande dote.

In quest’ottica, l’attaccamento ai genitori costituisce la pietra miliare di qualsiasi relazione che il bambino intesserà in età adulta. In particolare, l’attaccamento alla madre fornisce, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, l’input per lo schema relazionale ed emozionale che il bambino applicherà da adulto, perché il futuro adulto non farà altro che andare a caccia di persone (partner o amicizie, è uguale) che ripetano gli stessi schemi relazionali della propria infanzia. Pertanto, se l’attaccamento alla figura materna sarà stato sano e accudiente, allora si potrà avere un adulto sano e fiducioso, che si relaziona bene con tutti e sa donare e ricevere amore, se, invece, l’attaccamento sarà stato evitante, il bambino diventerà un adulto insicuro, freddo e distaccato, che avrà difficoltà a instaurare un sano rapporto di amore e di amicizia; se l’attaccamento sarà stato rifiutante, si avrà un adulto ansioso, preoccupato, incerto e desideroso di entrare in simbiosi con il proprio compagno o compagna, che avrà ancora più difficoltà a relazionarsi, soprattutto in amore. Il tipo di attaccamento più grave è quello che include gli ultimi due, in quanto darà origine a un dipendente affettivo, che vive con il terrore di perdere il partner, con la paura dell’abbandono, con l’ansia di sentire e stare con il partner in ogni istante, con la convinzione che lui sia al centro dell’universo e nient’altro esista di più importante e meritevole di attenzione, con la voglia di stare sempre in simbiosi con lui, al punto tale da sopprimere i propri bisogni e le proprie esigenze per dar spazio solo ai suoi, assecondandoli, sottomettendosi ad essi, fino al punto di vivere in funzione di essi.

Il dipendente affettivo non potrà mai instaurare una relazione amorosa ‘normale’, di reciproco scambio di affetti, di crescita in due, perché è un bambino che non è stato amato nell’infanzia e, pertanto, non ama se stesso e non può amare gli altri. Il dipendente ha un desiderio irrefrenabile di amare e di essere amato, ma non in maniera ‘sana’, troppo noioso per lui. Ha bisogno di qualcuno che lo ‘ami’ facendolo soffrire, in quanto ha imparato che il dolore e la sofferenza sono gli ingredienti dell’amore. Pertanto, molto facilmente si troverà impigliato nella ragnatela del vampiro energetico, che avrà bisogno, a sua volta, di succhiare al dipendente affettivo il ‘nutrimento’ a lui necessario per la sopravvivenza, avendo un disperato bisogno di essere amato e venerato. Chi, come il narcisista, si concentra troppo su se stesso, spesso è carente di affetto e riversa su di sé quel particolare tipo di amore che vorrebbe ricevere, ma che non trova da nessuna parte… In genere, chi non sa amare è perché o non ha ricevuto l’amore di cui aveva bisogno oppure lo ha perso. Alla ricerca disperata dell’amore, il narcisista è particolarmente attratto dalle persone empatiche, per il fatto che lui non è così, lui non prova assolutamente emozioni e sentimenti, di conseguenza invidia chi ne è in possesso. È così che originano le relazioni tossiche, in cui i due partner si incastrano alla perfezione, alla disperata ricerca di colmare le proprie lacune affettive dell’infanzia.

Ecco perché è importante suturare le proprie ferite sanguinanti lavorando su se stessi. Infatti, è vero che esistono diversi metodi che si avvalgono di tecniche molto efficaci per riuscire nell’intento, tra i quali segnalo la psicoterapia, la psichiatria, i percorsi di crescita personale in centri specializzati sulle dipendenze, i percorsi olistici in generale, il theta-healing, il counseling, il coaching, tuttavia, la guarigione definitiva dipende solo da noi. Infatti, solo con il perdono si può arrivare alla sutura completa di queste ferite.

Apro una parentesi a proposito del perdono, in quanto mi è capitato spesso, dopo aver postato sui social network articoli o semplicemente frasi al riguardo, di ricevere commenti quali: “Ma io non ci riesco”, oppure: “Come si fa a perdonare chi ti ha fatto causa?” O ancora: “No no, io non voglio più vederlo, altro che perdonarlo!” E tanti altri simili. Mi sembra, quindi, giusto specificare che il perdono non consiste in un condono del fatto accaduto, quanto nello scrollarsi di dosso la situazione, il carico emotivo ad essa collegato, quel fardello che, a lungo andare, ha generato emozioni e sentimenti negativi quali rabbia, risentimento, collera, vendetta, sensi di colpa, di inferiorità, di ansia che, ripercuotendosi sul corpo, lo fanno ammalare. In parole semplici, il perdono serve a noi. Infatti, continuando ad alimentare le nostre emozioni negative nei confronti dei nostri genitori, il nostro dolore aumenterà sempre di più. Non a caso, Buddha ha scritto: “Perdona gli altri non perché essi meritino il perdono, ma perché tu meriti la pace”. Ed è proprio così. Il perdono non guarisce il passato, il perdono guarisce il nostro futuro perché esso è l’unica strada che conduce all’amore verso se stessi e, di conseguenza, verso gli altri. In tal modo, non solo renderemo liberi noi stessi dal passato e dalle ferite ad esso collegate, ma libereremo anche gli altri.

A questo punto, saremo pronti per mostrare gratitudine. Sì, gratitudine ai nostri genitori per averci donato la vita, questa straordinaria esperienza terrestre che, una volta liberi, ci renderà consapevoli del nostro passato e ci farà generare un bambino sano, accudito e perfettamente pronto a relazionarsi con chiunque.