La persona più qualificata per scrivere la prefazione dell'ultimo lavoro di Riccardo Petrella, In Nome dell’Umanità, sarebbe in realtà Papa Francesco, che, con altre parole ma parlando di valori e facendo denunce, ha spesso sostenuto quanto il lettore troverà nelle pagine seguenti. Cito il Papa, perché dal dizionario politico attuale sono ormai scomparsi termini come “solidarietà”, “eguaglianza”, “giustizia sociale”, “partecipazione”, ormai usati solo da Francesco I. Sono stato chiamato io a questo compito, per la mia vita spesa a favore di un’informazione che desse ai cittadini gli strumenti per essere attori coscienti. Ma la ragione per cui da “professionista”, sono diventato un “attivista” della campagna per una governabilità mondiale, è proprio perché vedo nell’informazione un responsabile diretto della deriva nella quale ci troviamo.

Riccardo Petrella è un punto di riferimento centrale per coloro che non hanno ancora rinunciato a vedere in termini di valori e ideali la governabilità della globalizzazione. Riccardo ha alle spalle una lunga serie di lotte per una diversa economia e ha denunciato i pericoli di una globalizzazione neoliberale sin dall’inizio. Si deve a lui se si è cominciato a dibattere il tema dei “commons”, in particolare quello dell’acqua come bene pubblico, nel momento il cui il governo Berlusconi spingeva per la sua privatizzazione. Lo ha fatto in un’epoca, quella sorta dopo la caduta del muro di Berlino, che oggi sembra lontana ma che fu di una rara violenza intellettuale e politica. Chiunque non aderiva ciecamente al “pensiero unico” introdotto dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dal Tesoro americano (il cosiddetto Consenso di Washington) era visto o come un nostalgico dell’era sovietica o come un pericoloso sovversivo.

Petrella, con pochi economisti, ebbe la forza di opporsi al Consenso di Washington, irridendo alla sbornia generale, che raggiunse livelli che oggi paiono impossibili. Ricordo ancora una conferenza indetta dall’Ipalmo nel maggio del 1991 a Milano, nella quale l’allora direttore generale della Organizzazione Mondiale del Commercio, Renato Ruggiero, descrisse il mondo come ancora bloccato dal concetto di nazione o da accordi regionali (come la Unione Europea e l’accordo del Nord America) ormai superati dal corso della storia. La globalizzazione avrebbe eliminato ogni frontiera, avremmo avuto una moneta unica, non ci sarebbero più state guerre e i benefici della globalizzazione sarebbero arrivati a pioggia su tutti i cittadini del mondo, cosa che la teoria dello sviluppo e della redistribuzione non erano riusciti a fare. È stata necessaria una generazione di delusi ed emarginati perché la verità diventasse evidente.

Questo libro è il risultato di quaranta anni di studi, di ricerche, di impegni sociali e accademici di Riccardo, qui riuniti in modo organico. È un impegno olistico, con una visione umanistica della economia, della società e delle conseguenze della crisi che ci domina. Leggendolo, di fronte alla ricchezza di dati e riflessioni offerti, viene in mente il proverbio cinese: “Ogni uomo che muore è una biblioteca che brucia”. Ma al di là dei contenuti, quello che rende il libro stimolante, è che esso comunica un impegno morale e una empatia umana rare in questa epoca di transizione da un mondo che non è sostenibile a uno che è inevitabile, ma che non possiamo ancora vedere bene. Gramsci, nelle sueLettere dal Carcere, scriveva che “Nell’interregno appare una grande varietà di sintomi morbosi”.

Petrella analizza in modo minuzioso ma chiaro questi sintomi, ai quali la politica e la finanza di oggi non danno certamente risposta. Il libro è un lavoro organico, che analizza ogni sintomo sulla base di dati e proposte e che ci aiuta a camminare nell’ombra evocata da Gramsci. Finalmente si vede che esistono alternative alla deriva di una finanza che arriva a scontrarsi, nella ricerca di guadagni, con la stessa economia produttiva, di cui doveva essere solo un lubrificante. E la politica è a sua volta, come l’economia produttiva, soggetta alla finanza. La produzione di beni e servizi, cioè quella dove gioca un ruolo l’uomo, è oggi un quarantesimo delle transazioni finanziarie. La cupidigia ha portato le banche ad azioni sempre più criminose: le grandi banche hanno pagato, dalla Grande Crisi del 2008 un totale di 220 miliardi di dollari di multe …

Secondo numerosi storici, il corso della storia è stato cambiato soprattutto da due fattori: la Cupidigia e la Paura. Dopo la caduta del muro si è arrivati addirittura a dire che la storia era finita, come scrisse Fukuyama, e che entravamo in un mondo post-ideologico. L’unificazione del mondo in una sola ideologia vincitrice, il capitalismo, avrebbe portato alla fine degli scontri, in una realtà internazionale unita e dedita alla crescita economica. Quello che Fukuyama non aveva visto è che il capitalismo senza controlli avrebbe portato il mondo indietro nel tempo. Su questo Petrella porta dati incontrovertibili e gli fa eco Oxfam, quando dice che nel 2020 le diseguaglianze sociali in Inghilterra saranno eguali a quelle dell’epoca della Regina Victoria: quando un filosofo tedesco sconosciuto scriveva nella libreria del British Museum alcuni capitoli del Kapital … E le statistiche sulla diseguaglianza sono note a tutti: negli ultimi due decenni il capitale si va concentrando sempre più in poche mani e grande parte della umanità vede ridursi il suo livello di vita, di salute e di educazione, al punto tale che lo stesso Fondo Monetario Internazionale comincia a bisbigliare che l’ineguaglianza è un freno alla crescita.

Quanto alla Paura, c’è voluto la Brexit perché si cominciasse a vedere la deriva nazionalista, xenofoba e populista in rapida crescita nei Paesi europei (e anche negli Stati Uniti con Trump). La Paura ha trasformato paesi che erano simbolo del civismo e della tolleranza, come l’Olanda ed i Paesi Nordici, in paesi razzisti che arrivano persino a confiscare i pochi gioielli personali dei rifugiati (Danimarca). E in un solo biennio l’avanzata della estrema destra in Austria, Francia, Germania, Polonia, Slovacchia e Ungheria, sinora considerata una serie di coincidenze locali, sta finalmente creando un dibattito nei partititi tradizionali che non hanno una risposta concreta alle cause della Paura. Anche perché, come dice Petrella, siamo di fronte a un sistema che è una fabbrica della povertà, che non è un fenomeno naturale ma una creazione del sistema stesso. Le sfide da risolvere stanno tutte derivando da risposte sbagliate. La Pace si affronta con un aumento dell’impegno militare; l’ambiente con una devastazione ecologica; la democrazia con la privatizzazione del potere politico. La giustizia assiste all’aumento delle ingiustizie, l’economia è in una deriva di tipo finanziario e speculativo e si sgretola il senso della vita dei cittadini, che hanno perso il valore della solidarietà e accettano la mercificazione di tutto ciò che la circonda. Non preoccupa affatto che nel mondo si spenda per persona in marketing più che nella educazione …

La deriva nella quale ci troviamo sta colpendo la democrazia, che è diventata un processo formale, privo della partecipazione cosciente e attiva dei cittadini. In Nome dell’Umanità constata quanto dovrebbe ormai essere chiaro a tutti e che certamente non lo è al sistema al potere: ci troviamo in una impasse mondiale, che nessuno, con i paradigmi in atto, è capace di risolvere. Su questo, in modo analitico ma comunicativo, parte l’elenco delle ombre di Gramsci: la mancanza di rappresentazione della umanità, l’uso di Dio, della Nazione e del Denaro per trasformare in distruttori coloro che sono ancora convinti di essere dei costruttori; ed i dati della impasse globale. E qui l’importanza del libro.

Le analisi sull’epoca di transizione nella quale ci troviamo si divide, grosso modo, in due scuole di pensiero. La prima è quella di chi crede che il sistema attuale è, forse, in crisi ma ritiene che la risposta può venire dai politici, magari nuovi, che, in ogni Paese, siano in grado di dare risposte concrete ed efficienti con riforme audaci. L’altra scuola di pensiero, crescente, ritiene che sia il sistema attuale la causa dei problemi da risolvere e che senza mutazioni profonde di visione e di strategie la deriva continuerà.

Questa seconda scuola di pensiero – che peraltro viene seguita solo da un ristretto numero delle vittime, molte delle quali sono ai margini delle società o sono talmente frustate da rifugiarsi in un pessimismo individuale senza speranza – è una scuola forte nelle analisi e nella denuncia ma povera di proposte. Ed è qui che il libro porta una sua positiva originalità: un piano organico e olistico di proposte, che invocano un patto per l’Umanità come base per la rifondazione della società. Una rifondazione che dichiara illegale la povertà, che conduce al disarmo ed alla fine della finanza speculativa … Ma per raggiungere questa rifondazione è necessario tornare a parlare di valori, e su questi trovare un consenso ed una partecipazione mondiale, perché senza valori comuni non è possibile costruire insieme e senza una riposta globale non servono azioni nazionali o locali. E questo libro, oltre ad essere un’analisi, è anche un manuale per agire.

In tal senso è importante che In Nome della Umanità veda la luce nel momento di un sacrificio generazionale. La mia generazione, travolta dalla Cupidigia e dalla Paura, dagli egoismi e dal declino della politica, vive parametri di pensione e sicurezza che i giovani possono solo sognare. Il referendum inglese ha dimostrato chiaramente come le vecchie generazioni siano soprattutto autoreferenziali e non sentano nessuna responsabilità intergenerazionale. Gli anziani hanno votato al 65% per il Brexit, decidendo il futuro dei giovani, che erano favorevoli al 75% per il Remain. Questo è il risultato dell’assenza di valori comuni e la drammatica mancanza di politiche di impegno giovanile, mentre abbondano quelle di rigore fiscale e di priorità per la sopravvivenza del sistema finanziario – la prova più emblematica delle priorità attuali. Per salvare le banche dalla crisi del 2008, si calcola che il contributo alla finanza sia stato sinora di 8 trilioni di dollari. Per le politiche giovanili non si superano i 500 milioni di dollari.

Non è da meravigliarsi che i giovani si rifugino in un individualismo pessimista, creando proprie comunità solo virtualmente su Internet; che manchino di rappresentatività e partecipazione e, soprattutto, per la prima volta nella storia moderna, di idoli e riferimenti. Il libro di Petrella è uno strumento importante proprio per i giovani, perché trasmette un messaggio di speranza oggi inesistente. Non è inevitabile che il mondo continui così. Abbiamo gli strumenti per cambiarlo. Ma per farlo dobbiamo tornare a parlare di valori e tornare a parlare e capirci. “In nome della Umanità” dovrebbe essere distribuito gratuitamente nelle scuole …

Sono passati 15 anni dalla prima riunione a Porto Alegre del Foro Sociale Mondiale, in cui ci riunimmo, noi protagonisti di storie diverse, per denunciare la insostenibilità della globalizzazione neoliberale. Lo scetticismo e il rigetto che accompagnarono il processo del FSM non hanno impedito che oggi il Consenso di Washington sia solo uno screditato strumento del passato e che gli stessi proponenti della globalizzazione ammettano che le denunce del FSM avevano una base reale. Come dice Petrella, possiamo uscire dalla crisi solo con misure audaci. Questo libro verrà accolto come un’utopia, meglio, come una chimera, dai beneficiari dell’attuale sistema. Sarà interessante, fra 15 anni, vedere quanti saranno costretti ad ammettere che le analisi e le azioni che Petrella propone non erano poi lontane dal corso della storia. Chi si allena a tirare alle stelle, racconta una leggenda dello Sri Lanka, viene deriso, sino a quando il re convoca un concorso per arcieri; e quello che tirava alle stelle lo vince, perché era quello che arrivava più lontano.