Ecco un breve autoritratto che parla di me… vado a braccio, di getto. Sono diplomata in Graphic Design allo IED di Milano e successivamente ho deciso di fare l’attrice, lavoravo in un grande studio di architettura (Matteo Thun, a Milano) e piangevo davanti al computer perché anziché essere lì a lavorare avrei voluto essere a fare le prove in Teatro con i miei amici. Avevamo fondato una compagnia teatrale nel quartiere di Paolo Sarpi e facevamo i nostri spettacoli al Teatro Verga.

Un hobby diventato passione. Un “corso pomeridiano” divenuto una professione: quando mia mamma all’età di 15 anni mi chiese se preferivo fare il solito corso di tennis in via Mac Mahon o provare un corso di Teatro al Circolo Filologico Milanese, non ho avuto dubbi. Da sempre in famiglia e a scuola mi dilettavo nelle imitazioni, ho sempre adorato far ridere gli amici e i parenti, mia mamma è una marchesa, provengo da una famiglia aristocratica e numerosa, ho deciso di fare il giullare di corte. Alle medie ho scoperto Franca Valeri, una mia compagna di classe con cui facevo i compiti il pomeriggio aveva un disco in vinile con gli sketch radiofonici della Valeri. Ridevamo come pazze e passavamo i pomeriggi ad ascoltarlo.

Sono uscita con “sufficiente” dalle medie Parini, ma in compenso sapevo a memoria tutti gli sketch della Valeri. Li rifacevo in macchina quando andavamo in montagna o al mare con la mia famiglia, come se fossero delle canzoni, con lo stesso ritmo e gli stessi respiri, così ho imparato, ho introiettato il tempo comico. Credo sia andata così. Il Teatro è una vocazione, è arrivata. La prima volta che sono entrata in un teatro vuoto mentre i tecnici sul palco montavano le luci, mi sono seduta al buio nella platea, ho fatto un sospiro e ho avuto la forte sensazione di sentirmi a casa: “ah! Sono a casa.”. Questa per me è la vocazione.

Ma ce ne sono tante di vocazioni nella vita, la mia vita sento che non si ferma al solo lavoro, sogno una famiglia, un marito, dei figli. Sono ancora sogni perché per il momento non ho incontrato nessuno per cui tirare un sospiro e dire “ah! Sono a casa”. Trovare la propria vocazione è una grande GIOIA, amare è una grande gioia, amare il proprio mestiere è una grande gioia. Mi hanno deluso diverse persone nella vita, spesso degli uomini in ambito sentimentale e nel lavoro certi casting director o agenti, sono due figure professionali che casualmente mi hanno molto deluso in determinati contesti. Parlo solo di persone che lavorano a Roma, per ora che vivo a Milano, non ho avuto delusioni di questo genere. Non voglio fare nomi ma certi agenti e certi casting director mi hanno trattata veramente male, come un numero. Odio essere trattata come un numero, faccio l’attrice e c’ho l’ego un po’ superbo… hihihi. Soprattutto dopo aver realizzato il progetto Mina avevo fatto il giro delle sette chiese a Roma tra agenti e casting per far vedere questo lavoro, con un grande entusiasmo, come far vedere un bambino dopo il parto, per poco non c’hanno sputato sopra, non l’ha cagato nessuno. Grande delusione.

Progetti tanti, parallelamente al lavoro di attrice scritturata che negli anni andava e veniva, ho realizzato io da zero diverse cose, non mi è mai piaciuto oziare. Ho creato il progetto Mina, poi sono partita per Jakarta in Indonesia per fare un corso di teatro ai bambini di un orfanotrofio, poi ho scritto il mio primo spettacolo Mia mamma è una Marchesa, con questo sono entrata nella scuderia di Zelig che mi ha lanciato in TV con il personaggio di Lucia Agazzi, ora sto scrivendo il sequel di Mia mamma è una Marchesa e ho tanta paura. Sono una persona paurosa! Ma ironica! E mi butto.

È vero che donna non si nasce, ma si diventa?

Certo che è vero! Si nasce femmine, poi si diventa bambine, poi adolescenti e alla fine di queste salite prosegui il tuo cammino da donna, sempre in salita ma con un paesaggio stupendo e un sentiero incasinatissimo! Per questo non vedo l’ora di fidanzarmi!!! Così prendo il sentiero più semplice dell’uomo! Da sola continuo a perdermi …

Single, coppia, famiglia: qual è il futuro della donna?

Tutti e tre, dipende dalle scelte che uno fa. Basta essere felici e liberi in ciascuna di queste scelte, basta aver risposto di sì al disegno d’Amore pensato per te. Dipende cosa senti nel cuore, io sento nel cuore il desiderio di una famiglia e arriverà. Per ora corro verso la realizzazione di questo desiderio, non come Lucy (Lucia Agazzi) che si butta a 200 km orari contro gli uomini, ma vado anche io incontro al mio destino d’amore!

Pirandello aveva distinto il comico, un riso fine a se stesso, dall'umoristico, un riso amaro che nascondeva un dramma: Lucia Agazzi "Lucy" è più comica o umoristica?

Bella questa domanda! Penso che Lucia Agazzi nasca come una comicità umoristica. Il personaggio di Lucia nasce da una profonda ferita e da una paura grande, rimanere sola, mi sono immaginata che questa ragazza si sia lasciata malissimo nella sua storia precedente, è ferita e si butta nelle feste e sugli uomini con questa irruenza per non star ferma, per non sentire la ferita. Lucy allo stesso tempo però è una maschera, non avrà mai uno sviluppo, la troveremo sempre in questa situazione, in questo limbo, come Arlecchino sarà sempre un servo. Come maschera utilizza un linguaggio bidimensionale, uno schizzo, un fumetto, quindi utilizza il linguaggio della comicità, non dell’umorismo. Spero di aver risposto.

La sua "alter ego" "Lucy", è una giovane donna alla ricerca dell'Amore: quale?

Non so se ho capito la domanda, ma provo a rispondere… Lucy e io cerchiamo l’Amore. Lo incarniamo in un uomo bello, intelligente, sensibile, dai grandi valori, con il senso della giustizia e buono con cui fare una famiglia. Possibilmente anche ricco. Per questo sia io che Lucy siamo ancora single!

Come descriverebbe il corrispettivo maschile di Lucia Agazzi?

L’anno che ho debuttato a Colorado c’era anche un ragazzo che faceva il discotecario, un po’ zarro, ecco, ho sempre pensato che potesse essere il corrispettivo maschile della Lucy. Non mi ricordo il nome, un bravo attore genovese… La donna quando entra in questi loop d’ansia da “single” diventa un po’ sopra le righe e agitata e goffa (come Lucy), ma mai volgare, l’uomo, invece, nella sua Santa semplicità diventa inguardabile. Mi ricordo una sera in discoteca sul lago di Garda di aver visto degli uomini strusciarsi contro i pali e le tipe in maniera miseramente goffa, con la faccia contrita cantando a squarciagola una canzone agghiacciante I want to fuck in L.A. fuck in New York… . Ricordo ancora l’immagine.

È difficile, dopo aver rivestito i panni di Lucia Agazzi, ritornare ad essere Ippolita Baldini?

No! Lucia Agazzi è una parte di me! Molto giocosa e naive. Io mi diverto molto a farla. Ci sono però dei giorni in cui sono molto riflessiva e seria (noi comici non siamo sempre dei burloni nella vita normale). In quei casi di “pesantezza d’animo” è più difficile vestire i panni colorati e frivoli di Lucy, ma allo stesso tempo è estremamente terapeutico!

Ha calcato le scene di cabaret, teatro, televisione, cinema: in che cosa è rimasta sempre la stessa e in che cosa ha dovuto modificarsi?

In nessuna di queste cose sono rimasta la stessa. Nell’approccio di ciascun settore (cabaret, teatro, televisione, cinema) ho dovuto modellarmi e modificare certi automatismi, certi metodi di lavoro, imparare dagli altri, osservare, ascoltare… dopo aver esplorato il settore non sono mai tornata la stessa, è tutto in crescita e tutto cambia. Il Teatro è la cosa da cui arrivo e a cui torno sempre dopo aver esplorato cabaret, TV, cinema, ma non torno mai al Teatro come prima, porto tutta l’esperienza degli altri luoghi. In particolare il cabaret devo dire che mi ha modellato molto come attrice. Il cabaret insegna due cose importantissime, l’umiltà (che a noi attori fa sempre molto bene, abbiamo un ego un po’ sopra le righe) e il dialogo con il pubblico.

Quali sono state le attrici che l'hanno maggiormente ispirata?

Franca Valeri e Franca Rame. Le mie donne franche. Ho amato la loro ironia e franchezza nel recitare, con onestà, con amore/vocazione e con genialità (questo soprattutto la Valeri). Hanno scritto dei testi molto belli.

Nei suoi personaggi rappresenta un po' lo stereotipo della ragazza milanese: che cosa c'è di vero e che cosa di caricaturale?

Nel personaggio di Roberta in Mia mamma è una Marchesa, non c’è niente di caricaturale, è tutto vero! Anche la mamma! In Lucy, come spiegavo prima, essendo una maschera, ho esasperato degli aspetti veri delle donne. L’ansia che le rende esagitate e goffe con la parlantina… Sono tutte cose vere strecciate in uno schizzo. Ho anche esasperato gli inglesismi che vanno tanto di moda oggi soprattutto tra le grandi influencer.

In che modo l'ambiente milanese ha influenzato la sua formazione e la sua personalità artistica?

Tantissimo, nella mia autobiografia ho deciso di citare i luoghi milanesi che mi hanno forgiato in modo da rendere onore alla mia città. Anche la mia maestra artistica Franca Valeri mi rende ancora più meneghina. Zelig, la Martesana, le nutrie mi hanno lanciato nel mondo della TV. Ho studiato alla Silvio d’Amico di Roma ma ho sempre mantenuto la mia autenticità milanese, ci tengo e ci sono profondamente affezionata. Ho origini inglesi, la mia bisnonna proveniva da Londra, ma parlava solo due lingue, l’inglese e il dialetto milanese.

Milano è una città amica delle donne?

Mi sembra di sì, Milano l’ho sempre immaginata come una donna molto elegante, una di quelle donne super seducenti del Boldini per intenderci. Con la collana di perle, lo sguardo fiero sul pittore e una eleganza ineguagliabile. Milano è amica di tutti, ma te la devi conquistare, all’inizio sembra fredda, ma poi è un fuoco di passione e di bellezza! Come me!!!