Non tutti sanno che Trastevere, il rione più conosciuto al mondo e simbolo di romanità, quale prima riva occidentale del fiume Tevere ad essere abitata, trans Tiberim, fu luogo di insediamento dei marinai di Ravenna nel I secolo dopo Cristo. A loro veniva affidato il compito di sistemare i tendoni del Colosseo, i velarium, issati per proteggere gli spettatori dal sole. Una guida insolita di Roma mi conduce in ogni parte della sua città con un allegria insolita, poiché non si tratta di un volume pesante e denso di notizie storiche che imbarazzano più che invogliare il viaggiatore spensierato o il flaneur che vuole stupirsi senza fare troppi programmi preconfezionati.

È una piccola pubblicazione tascabile, leggera, con una veste tanto semplice quanto prezioso e ricco è il contenuto, Alberi a Roma. Itinerari di storia e natura tra i monumenti verdi della città, dalla penna di due donne romane. Prima di rivelarvi le ideatrici di questo piccolo volumetto che può iniziare coloro che nella città eterna non hanno ancora approdato e deliziare invece chi già l’ha percorsa e vissuta nei modi più diversi, ne incoraggio la lettura se si vuole comprendere di Roma i lati più nascosti, bizzarri, “pittoreschi”. A sentire questo termine inorridirebbe Maria Luise Gothein autrice di Geschichte der Gartenkunst che detestava tali suggestioni di stampo otto-novecentesco inglese! Si perché la storia può essere raccontata in molti modi e uno di questi è il sigillo dello stile delle autrici, la sapienza e la conoscenza supportate dal brio e dal piacere di intrecciare scienza , lettere e arti.

Ecco che Paola Lanzara e Lucia Rivosecchi, introdotte da Massimo De Vico Fallani, si addentrano come gazzelle senza difficoltà e con grande arditezza di pensiero tra la Roma antica, medioevale, rinascimentale e ottocentesca, con cinque itinerari ricchi di flora per farci capire come la città sia un giardino, un frutteto, un orto botanico diffuso ricchissimo di specie esotiche tra parchi pubblici, piazzette nascoste, viali e boschetti.

Ci addentriamo in un percorso a caso, dalle pendici del Palatino al Circo Massimo e poi dal Colosseo ci portiamo fino al Viale del Monte Oppio, per imboccare Via Merulana e approdare all’Esquilino toccando le piante che provengono dai paesi più distanti tra loro, dalla Cina al Libano, all’Himalaya, al Cile e all’Isola di Norfolk, al Nord America fino all’Afganistan. Solo una storica della città di Roma come Lanzara ha potuto non limitarsi ad un taglio settoriale, come apparrebbe quello botanico in senso stretto.

I grandi botanici sono quelli che possono ragguagliare agilmente il giardino alla storia, alla tecnologia, all’estetica. In questo caso in questo suo ultimo lavoro editoriale si è confrontata, dopo oltre mezzo secolo di vita dedicata alla ricerca, con la mano leggera e di grande qualità stilistica di Lucia Rivosecchi autrice raffinata dei disegni: gli itinerari, i dettagli degli scorci romani dove gli alberi crescono con schizzi leggeri a mano libera sui toni del seppia. Salire la scalinata del Campidoglio o quella accanto verso la Chiesa di Santa Maria d’Aracoeli è fare esperienza della storia, dell’umanesimo romano ed anche il più attento osservatore turbato da tanta bellezza potrebbe disdegnare un esemplare arboreo.

È la pianta che gli inglesi chiamano elephant tree, per il fusto largo alla base, la Phytolacca dioica L. che svetta sul colle del Campidoglio, la bella sombra brasiliana che cresce appunto nei paesi a clima mite tra Brasile e Argentina. Qui arriva proprio nel 1911 portata dagli italiani immigrati in Argentina per rendere omaggio allo loro patria d’origine nell’allora passeggiata Margherita, oggi passeggiata del Colle Gianicolo, sulla cui cima ne piantarono un altro esemplare. Circondata da un alone di immortalità, è resistente a parassiti e malattie - nel suo nome porta le sue caratteristiche phyton, pianta, e lacca latinizzazione di lack, per la qualità colorante dei suoi frutti portati in grappoli rosso porpora tra verdissime e lucide foglie acuminate della fittissima chioma ampia e sempreverde.

Più semplice e popolare invece è Piazza del Fico il luogo dove dimora un grande albero mitico e biblico. Sotto la sua chioma i tavolini di un bar accolgono turisti ma soprattutto clientela locale, anziani intenti a fare una partita di carte o di scacchi. Ci troviamo non lontani da Piazza Navona dove nella Piazza e Vicolo del Fico, queste piante sono state salvate al contrario di altre abbattute per far spazio a parcheggi, la scrittrice va poi a sottolineare quanto la civiltà romana dava importanza fin dai tempi “dell’età dei re”.

Della pianta di fico, Ficus carica L., ne dà notizia Archiloco di Paro 200 anni prima di Cristo, e a Roma la leggenda vuole che alla sua ombra, la lupa abbia allattato Romolo e Remo. Questa specie veniva venerata al Foro romano dove il Ficus ruminalis, piantato da Tarquinio Prisco, assisteva alle assemblee popolari. Ma con gran sorpresa la Piazza ci regala un’altra pianta altrettanto interessante e non solo perché esotica: la Bauhinia acuminata L., detta anche albero orchidea per il suo fiore, che compare sulla bandiera di Hong Kong, proviene da Cina; India e Malesia. La particolarità è data dalla foglia che è perfettamente divisa in due lobi cosicché Linneo, a cui è riferita la classificazione binomia in genere e specie delle piante, la dedicò a due inseparabili esploratori botanici del XVII secolo: i fratelli Joahnn e Caspar Bahunin. Vigorosa e folta con bellissimi fiori bianchi che la riempiono in estate, vegeta nei climi miti con grande successo, altrove ce ne sono di gialle o rosate.

Per chi cerca invece il sapore di Roma, l’autrice raccomanda una bella passeggiata al Circo Massimo risalente al 578 a.C., nella Valle tra Palatino e Aventino, luogo anticamente dedicato al Dio italico delle messi, Conso, ove avvenne il ratto delle Sabine. Qui nel luogo dove era posto il limite, la meta del circo dove correvano le bighe ora sorge un cipresso che ne segna il ricordo. E sul lembo del Palatino ci sono sette bellissimi Cupressus sempervirens L., dove nell’antichità c’era un boschetto dedicato alle ninfe romane protettrici delle acque e delle sorgenti, le Camene. Qui aleggia uno spirito antico che ci riporta al giovinetto tramutato in cipresso da Apollo o agli “spiritanti odor bruni cipressi” del giardino di Calipso (Odissea, V, 85).

Proseguendo il percorso ci imbattiamo nel giardino degli aranci prospiciente la Basilica di Santa Sabina i cui battenti sono in raro legno di cipresso del V secolo, un tempo utilizzato perché oltreché bello anche robustissimo e resistente agli attacchi di insetti. Si dice che proprio qui il moncone antico che rimane a lato della Basilica sia la prima pianta di Arancio amaro (Citrus aurantium sub. Amara L.), giunto a Roma con San Domenico che lo mise a dimora nel 1217, in occasione dell’approvazione ricevuta del suo ordine da Papa Onorio III. Domenico di Guzman (1170-1221) era spagnolo e gli aranci, di origine orientale arrivarono grazie agli arabi che in Spagna esercitarono una grande influenza. Non si dimentichi che l’essenza dell’arancio amaro, detta essenza di Neroli, prende il nome proprio dal principe di Nerola, località in provincia di Roma, Flavio Orsini, la cui moglie francese Anna Maria de la Tremoïlle de Noirmoutier la introdusse in Francia e ne sancì il successo in profumeria. Altra delizia di storia botanica la troviamo proseguendo sulla Piazza dei Cavalieri di Malta dove svetta un monumentale Cedro del libano (Cedrus libani A. Rich) giunto in Europa nel 1750, riportato nel 1734 dal botanico francese Bernard de Jussieu, che cercava piante in Oriente per il giardino del Re.

L’esploratore riportò il piccolo germoglio in un cappello pieno di terriccio salvandolo così da una tempesta di sabbia e privandosi della sua acqua per abbeverarlo durante la traversata in mare di ritorno a Marsiglia! Questo è il cedro del priorato dell’Ordine di Malta dove Giovanni Battista Piranesi realizzò la sua unica opera in muratura e restaurò anche il giardino. Avvicinando l’occhio al foro della serratura del portale si può inquadrare la cupola di San Pietro, come fecero anche gli illustri visitatori, pittori, artisti e scrittori romantici che trovarono una pace e una solitudine insperata, fuori del chiasso cittadino.

Sugli alberi di Roma, città in Europa con il primato per la superficie di verde per abitante, molti i lavori che hanno preceduto questo piccolo ma denso contributo, uno tra tutti I boschi sacri dell’antica Roma di G. Stara Tedde (1915) e poi il noto e corposo tomo di Pierre Grimal I giardini di Roma (1943, 1969). Recentemente si è rinnovato l’interesse verso il grande patrimonio arboreo romano dopo gli abbattimenti di lecci secolari come quello di Piazza della Quercia, a causa di attacchi di insetti che ne hanno pregiudicato la stabilità in diverse zone di Roma. Di questi giorni la presentazione del Manifesto degli alberi di Roma per avvalorare l’eredità storica e culturale del passato da parte del gruppo Green City, con il botanico appassionato Antimo Palumbo, per chiarire e stimolare le scelte più opportune della politica e dell’amministrazione affiché gli alberi romani così amati nel mondo tornino ad essere protagonisti indiscussi del paesaggio urbano e non solo scomodi accessori visti come fonte di spesa pubblica, soggetti di vincolo, problema di sicurezza stradale e di incolumità dei cittadini. I pini di Roma di Ottorino Respighi possono ancora stupire e accompagnare un itinerario fuori dagli schemi con intendimento eclettico e curioso come insegna l’autrice Paola Lanzara, una sorta di Madame de Staël nel suo affascinante libro Corinna o l’Italia!