Sarà che era una sera della settimana più fredda che Livorno abbia avuto da decenni, sarà che in un altro teatro cittadino era in cartellone un'interessante commedia, ma piuttosto, non sarà che è cronico per gli abitanti di questa città non mostrare interesse per Modigliani anche se poi è uno dei pochi nomi che viene da tutti sbandierato per dimostrare quanta arte ha visto questo porto di mare, ombelico del Mediterraneo?

Se non per pochi fedeli cultori e scherzi a parte, Modigliani non riesce a trovare la sua giusta e dignitosa collocazione in quella città che è Livorno e che lo ha visto nascere nel 1884 ma lo ha anche visto scappare a 22 anni destinazione Parigi, deriso e non compreso.

Livorno è la città dei Macchiaioli, un dato di fatto, quasi come se non ci fosse posto per altro, Amedeo Modigliani, Modì, era fuori dai canoni accademici e pittorici tradizionali, rappresentava una eresia artistica e il sarcasmo verso di lui, invece convinto artista di vedute più ampie e illuminate, ne sprigionò la ribellione e la conseguente voglia di fuga verso quella città, Parigi, che mostrava avanguardie più consone al suo spirito. Purtroppo in quegli ambienti di liberismo intellettuale e artistico, con pochi denari a disposizione, un carattere indomito e problemi polmonari pregressi, Amedeo si consuma poco alla volta, fino a spegnersi il 24 di gennaio del 1920 lasciando la sua Jeanne Hebuterne, compagna fedele, stregata e dipendente così tanto da non essere in grado di sopravvivergli.

Giovedì 12 gennaio, a pochi giorni dalla ricorrenza della morte di Modì, al Teatro Goldoni di Livorno, la compagnia teatrale Odemà, con la firma e regia di Gipo Gurrado, ha messo in scena, in anteprima per la Toscana, il musical Modì, l'ultimo inverno dopo la presentazione del 2013 a Milano e che lo ha visto replicato per tre anni.

La scena è divisa in tre zone: casa Modì, con Jeanne in attesa del secondo figlio (che non vedrà mai la luce) su un divano logoro, in eterna attesa del suo amato Modì che invece vive la parte principale e centrale del palcoscenico, quella del bistrot parigino, tra musica (ottima) prostitute-modelle, qualche amico artista (Utrillo), il suo paziente e coraggioso mercante d'arte (Zborowski) e le figure che appaiono dal buio come anime di una tragedia greca, la madre e la zia (Eugenia e Laura Garsin). Qua si compie la tragedia Modigliani tra assenzio, vino e dissoluzione. La terza parte della scenografia è piccola, di transizione e di riflessione, può essere una galleria d'arte, come la panchina di una strada, rappresenta il contorno del suo ultimo inverno, i momenti di consapevolezza del fallimento e dei tentativi andati a vuoto di entrare nel mercato dell'arte.

Gli attori, o per meglio dire interpreti cantanti, hanno belle voci, azzeccati gli abiti, strusci ma pregni dello charme francese degli anni '20 del Novecento. Gli strumenti: contrabbasso, pianoforte, violoncello e percussioni creano un jazz-blues su misura all'atmosfera noir del racconto. Un musical diverso da quelli che ci aspetteremmo, di stampo Broadway, un pezzo teatrale elegante, sobrio e intimo, che si sostiene con musica d'autore, ricordando qua e là, le note di Vinicio Capossela.

Giovedì 12 gennaio a Livorno faceva freddo, il teatro aveva la platea mezza vuota, anche io avevo freddo ed ero tentata di uscire di casa con un paio di pantaloni e stivali, magari indossando sopra un golf di lana pesante ma ho ancora rispetto per il teatro, fin da piccola è di abitudine vestirsi bene per andarci. Quindi mi sono fatta forza e ho sfidato il termometro con calze, gonna, camicia e giacca, ovviamente con un caldo ma rigoroso cappotto di cammello. Arrivata in sala la desolazione è stata disarmante, Modì veniva ricordato con un musical di successo, nella città che gli ha dato i natali, artista che il mondo si contende a colpi d'asta stratosferici, amato e mostrato nei più importanti musei del globo, con una anteprima in Toscana a pochi giorni dalla commemorazione della sua morte, ma il Teatro era mezzo pieno e di persone con doposci ai piedi, jeans, maglioni da neve, abiti da casa, piumini a tubolari, berretti con pom-pom, salvo pochi affezionati, educati al dress-code che l'andare a teatro vorrebbe.

Povero Modì, a distanza di quasi un secolo, non ha ancora fatto pace con la sua città.