La notte di capodanno del duemila eravamo tutti blu, fosforescenti, eravamo oscillanti creature in trasformazione; il vecchio millennio, con quei numeri accavallati l’uno sull’altro ormai impossibili da pronunciare, lasciava il posto agli spazi siderali dello zero.

In città onde di eccitazione saettavano tra i palazzi; dagli attici spavaldi, ai vicoli impauriti, tutto tremava al sibilo del futuro, tutto crollava ed erano rovine di ottimismo. Nelle campagne, i botti illuminavano arrese torri di avvistamento e spaventavano le bestie che belavano rimpiangendo la vecchia era. I pechinesi di Montecarlo e i bastardi di Bucarest, tutti i cani del mondo si acquattavano impauriti cercando rifugio in posti sicuri: quella strana notte di guerra, tutta abbracci e cibo, sarebbe finita prima o poi lasciando montagne di avanzi.

Maniche di camicia, volti rossi, sudore gelato, complicate acconciature; ci pesavano i sogni e i braccialetti. Eserciti in paillettes e pantaloni stirati di fresco, fissavamo il conto alla rovescia più vertiginoso con incredula fiducia: il futuro gigantesco che stava per deflagrare induceva a urlare e baciare più forte, il mondo deludente e conosciuto si sarebbe frantumato e, da domani, ricomposto in modo inedito.

Duemila era dentro, era intorno, era ovunque: tipografie, parrucchieri, stazioni di servizio, lavanderie tutte nuove, tutte 2000. Nei negozi di biancheria intima, uomini di famiglia acquistavano tanga di pizzo alle nuove amanti dell’est e quel 2000 stampigliato in strass era il sigillo verso una nuova, portentosa giovinezza. Mamme nate negli anni cinquanta sospiravano ottimiste: i loro figli avrebbero presto indossato tute argentee e coi computer attaccati al polso, avrebbero trovato tutti i lavori del mondo, c’era spazio, tanto spazio, praterie di nuove opportunità, c'era il futuro.

Imprenditori controllavano i listini della borsa più che la vecchia contabilità: i prodotti, la manifattura, i calli alle mani, erano roba vecchia, del vecchio secolo, ruggine, ragnatele, ralenti; adesso c’erano tutti quegli zeri, palloncini per andare più veloci. E allora usciamo, crediamo in questo tsunami di champagne, abbandoniamoci ai tam-tam di tutte le musiche, il tempo, guarda, va più veloce!

La notte di capodanno del duemila io e te, insieme, non esistevamo; dispersi nel vecchio millennio, con la pressione di tutti quei secoli che volevano chiudere bottega, alzavamo calici di plastica lontani chilometri e pensieri. Come il meno ottimista dei tubini neri, osservavo la mia faccia diluita su una vetrata mentre intorno a me centrifugava una festa.

Fumavo e mi chiedevo se la nuova era sarebbe stata brava abbastanza da sventagliare via tutta quella nebbia, così che tu mi avresti trovata, seduta e senza scarpe, in fondo al corridoio.